La Roma di Pallotta attraverso le sue parole

06.08.2020 16:14 di  Danilo Budite  Twitter:    vedi letture
Fonte: Redazione Vocegiallorossa - Danilo Budite
La Roma di Pallotta attraverso le sue parole
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

L’era Pallotta a Roma è giunta alla conclusione. Era il 27 agosto 2012 quando l’imprenditore americano divenne il presidente della Roma numero 23, prendendo il posto di Thomas Di Benedetto. Ripercorriamo gli anni della presidenza Pallotta attraverso le sue dichiarazioni più celebri. Il 6 ottobre 2012, alla vigilia della presentazione della Hall of Fame della società giallorossa, il neo presidente spiega i suoi obiettivi in un’intervista a Sky:  "Quando nove anni fa comprai i Celtics l'obiettivo era vincere entro 5 anni e ci siamo riusciti. Con la Roma vorrei fare la stessa cosa e riportarla al livello che le compete”. Obiettivi chiari, precedenti che danno conforto, sottolineati dallo stesso Pallotta. Ma il calcio non è il basket, e l’Italia non è l’America dove il sogno si può vivere e cavalcare. Tre giorni dopo arrivano altre dichiarazioni, stavolta sul famoso progetto dello stadio: "Siamo alla scelta finale: lo stadio, che avrà 60mila posti, negozi e ristoranti, è stato progettato da un architetto di fama mondiale come Dan Meis e dovrà essere pronto per i campionati europei del 2016”. La verità storica poi ha detto ben altro, la conferma del fatto che l’american dream in Italia trova difficile realizzazione, come si diceva prima. Il sogno dello stadio però prende piede, e sembra poter decollare. Alla fine dell'anno, il 30 dicembre 2012, le parole di Pallotta nella conferenza stampa di presentazione del progetto stadio sembrano chiare: “La costruzione dello stadio è un segno di fiducia nell'Italia e nella sua economia. Siamo stati molto fortunati ad incontrare un partner così speciale col quale intendiamo mantenere un rapporto che duri il più a lungo possibile”. La fiducia però nel gruppo di Luca Parnasi è mal riposta, come il futuro poi sancirà. Si scatenerà il caos che darà un duro colpo all’american dream giallorosso.

La presidenza Pallotta si è distinta per un’operazione di valorizzazione del brand Roma, che ha dato i suoi risultati, scontrandosi però più di una volta con la forza delle tradizioni giallorosse. Occasione di scontro fu la presentazione del nuovo logo, nel maggio 2013, accolto con rammarico dai tifosi, promosso con eccitazione dal presidente: “Avere Roma nel nostro logo e sul petto dei nostri calciatori rende omaggio in maniera appropriata a questo concetto e dice al mondo chi siamo”. Operazione di brandizzazione ben esemplificata da un’intervista rilasciata nell’estate 2013: “Stiamo facendo di Roma un brand, le squadre di calcio dovrebbero essere gestite come un business”.

Non basta però curare il lato economico, una squadra di calcio ha bisogno di risultati sul campo e quelli, nei primi due anni di Roma americana, sono stati tragici. Pallotta prende quindi la situazione in mano, portando nella Capitale Rudi Garcia: "Sono presidente solo dall'agosto scorso ed è la prima volta che scelgo un allenatore per la Roma”. Parole che sembrano finalmente testimoniare un impegno maggiore di Pallotta nel decidere le sorti della sua squadra, impegno invocato a più riprese ma che in futuro difficilmente poi verrà onorato.

I buoni risultati ottenuti dalla Roma con Garcia e i primi sollievi della Roma a stelle e strisce non servono ad avvicinare i tifosi a Pallotta. Un episodio, risalente alla primavera 2015 ha aumentato la tensione tra il presidente giallorosso e il suo tifo. Pallotta, in merito alla chiusura della Curva Sud per un turno a causa dei striscioni contro la mamma di Ciro Esposito, ha detto: “Non è giusto nei confronti di tutti i tifosi della Roma, essere puniti per colpa di un piccolo gruppo di stronzi e idioti”. Qualche giorno dopo il presidente torna sulla questione: "Voglio sbarazzarmi delle persone che non si comportano come tifosi". Una polemica che ha allontanato progressivamente Pallotta dai tifosi giallorossi. Come se non bastasse la nuova stagione si apre con la novità delle barriere in Curva Sud, altro motivo di scontro con i supporters, anche se il presidente americano afferma di fare di tutto per risolvere la faccenda: "Curva Sud? Giuro sulla tomba di mio padre che stiamo lavorando".

Arriva il fatidico 2016 e dello stadio neanche l’ombra. Alla fine dell’anno Pallotta ripercorre il 2016 che si è appena concluso, non mollando di un centimetro sull’obiettivo stadio: “Ci sono stati alcuni ritardi, forse un po’ per colpa nostra, ma anche per via dei cambiamenti nell’amministrazione cittadina e per quello che è successo a Roma, ma siamo fiduciosi sul fatto che a marzo otterremo l’approvazione”. Il 2017 però non porterà buone nuove all’ombra del Colosseo, ma solo ulteriori polemiche, riguardanti stavolta il caso Totti, la gestione di Spalletti e l’assenza di Pallotta, accusa a cui il presidente risponde prontamente: "A Roma la stampa dice che sono un presidente assente ma è falso". In occasione dell’addio del capitano giallorosso, il presidente ci ha tenuto ad elogiare la carriera del 10 giallorosso: "Totti è una persona meravigliosa, la sua è stata una carriera degna di Hollywood. Non ci sarà mai un altro come lui”. Il giorno dopo l’addio di Totti, arrivano altre dichiarazioni di Pallotta, che si riveleranno particolarmente profetiche: “Senza stadio nel 2020 avrete un nuovo proprietario”.

Il 2018 regala un po’ di tranquillità a Pallotta e alla tifoseria giallorossa, con l’entusiasmo della semifinale di Champions, ben esemplificato dalle parole del presidente: "Dove può arrivare questa Roma? Sognare la finale si può, abbiamo eliminato il Barcellona, li abbiamo riportati sulla terra". Ma tutto precipita nel 2019. La squadra arranca, dello stadio nemmeno l’ombra, nonostante le continue affermazioni di fiducia di Pallotta: "Tra cinque anni la Roma deve giocare nel nuovo stadio. Mi piacerebbe vedere una grande squadra sul campo, competere per i trofei, davanti a dei tifosi entusiasti a Roma e in tutto il mondo". La situazione precipita con la sconfitta con il Porto, l'esonero di Di Francesco e l'addio di Monchi, additato come responsabile del fallimento giallorosso da Pallotta: "Mi sono fidato di Monchi, gli ho dato pieni poteri e rischiamo di non finire tra le prime tre. Qualcosa non ha funzionato". In tutto questo, al termine di una stagione sportivamente deprimente, il controverso addio alla Roma di De Rossi, con tutte le polemiche annesse. A fine giugno arriva la lettera di Pallotta ai tifosi della Roma: "Nessuno è più deluso e arrabbiato di me. Mi assumo la responsabilità degli errori commessi”. A rincarare la dose, qualche giorno dopo è arrivato anche il definitivo addio di Totti, una situazione da cui Pallotta ha provato a uscire nel miglior modo possibile: “Abbiamo offerto a Totti il ruolo di Direttore Tecnico, non so perché non sia venuto alla riunione di Londra”.

Il 2020 segna infine la capitolazione della Roma di Pallotta. A inizio anno sembrava tutto fatto, poi però è arrivato l'inaspettato, il COVID-19 che ha stravolto l'intero sistema mondiale in ogni suo contesto. Il passaggio della Roma nelle mani di Friedkin sembrava cosa fatta, ma la pandemia si è messa di mezzo e come ha detto lo stesso Pallotta: "Il virus ha avuto un impatto finanziario significativo sul mondo del calcio e, certamente, sulla Roma". Ora però il peggio è passato e il tempo giallorosso di Pallotta è agli sgoccioli. I risultati posti in essere otto anni fa non sono stati totalmente raggiunti, ma qualcosa comunque si è mosso. Pallotta è riuscito a rendere la Roma un brand, facendogli conoscere una potenza economica mai sfiorata. Non è però riuscito a vincere qualcosa e non ha mosso significativi passi avanti per lo stadio. Questa rimarrà la grande sconfitta di Pallotta, la morte dell’american dream giallorosso. Ora una nuova avventura a stelle e strisce aspetta la Roma.