Koné: "Dobbiamo essere ambiziosi: obiettivo quarto posto e vittoria dell'Europa League"

Arrivato la scorsa estate dal Borussia Mönchengladbach, Manu Koné è diventato uno dei giocatori più importanti della Roma a suon di prestazioni convincenti. Con l'arrivo di Gian Piero Gasperini sulla panchina giallorossa, quest'anno il centrocampista francese ha la possibilità di fare il salto di qualità per affermarsi come uno dei migliori centrocampisti del nostro campionato. Il numero 17 si è raccontato in un'intervista al Corriere della Sera: ecco uno stralcio delle sue parole.
Che vuol dire il primo posto della Roma?
«Si sta bene, lassù. Per questo lavoriamo. Non esaltiamoci. Ma l'anno scorso eravamo partiti male e poi l'abbiamo pagato alla fine».
Fuori dai denti: dichiari l'obiettivo.
«Arrivare tra le prime 4 e vincere l'Europa League: dobbiamo essere ambiziosi».
Una cosa per cui Gasperini è diverso dagli altri.
«Lui è tante cose. Non ho mai visto nessuno vivere la partite così. È come se fosse in campo. E ti viene voglia per forza di lottare per lui».
Quanto è stato davvero vicino all'Inter in estate?
«Se un club come l'Inter si interessa a me, per me è positivo. Ne parlai con Gasperini, gli ho detto che non sapevo cosa sarebbe successo. Ma ho aggiunto: "Finché indosso questa maglia, lo faccio al 100%". La Roma è l'unico club che ha creduto in me un'estate fa, è un dovere ricambiare».
È arrivata qualche telefonata da Sommer e Thuram, ex compagni in Germania?
«Ci abbiamo scherzato su. Mi hanno detto di fare la scelta migliore, ma non dipendeva da me. Io stavo molto bene alla Roma, non è che volessi a tutti i costi andarmene».
Un giorno lei disse: «La mia forza è non sentire la pressione». Come fa?
«Io non mi stresso mai prima delle gare, che sia contro una squadra più debole o una
molto forte. E sa perché?».
Prego.
«Vede: la partita è la parte più gioiosa del nostro lavoro, ci alleniamo tutta la settimana per giocare. E perché rovinarla con lo stress? Tanto vale divertirsi rispettando i consigli dell'allenatore. Ma questo non vuol dire non essere esigenti: io non sono mai felice di una mia prova, anche se col tempo sono diventato costante: prima giocavo bene una settimana e quella dopo no».
Però le mancano i gol.
«Arriveranno, so di saperli fare e devo migliorare. Ma il punto è che, con tutto il lavoro che dobbiamo fare noi centrocampisti, capita di arrivare stanco davanti alla porta e di sbagliare».
A quando le treccine giallorosse?
«Ci ho già pensato, in realtà l'ho anche fatto, anche se il colore è svanito subito. Sì, adoro giocare con stile».
La sua esultanza con la bandiera è diventata un cult.
«Nelle gare importanti bisogna lasciare il segno, con la Lazio lo era. Ho messo la mia maglia sulla loro bandiera. Qualcuno l'ha presa male, ma resta il derby».
Più severo Gasp o papà?
«L'allenatore è il primo che ascolto dopo le partite. Ma è più dura con mio papà: a volte non rispondo perché so che la telefonata durerà a lungo... ».
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