Castan: "Spalletti mi mostrò una foto del Frosinone dicendomi che quello era il mio livello"

Leandro Castan, ex difensore della Roma tra il 2012 e il 2018, ha raccontato al Corriere della Sera uno dei momenti più drammatici della sua carriera, ossia la scoperta di un cavernoma cerebrale. Un evento che ha cambiato per sempre il corso della sua vita e del suo percorso calcistico.
13 settembre 2014. Empoli-Roma. All’intervallo Leandro Castan esce. Non tornerà per molto tempo. La sua vita è cambiata quel giorno?
«In quei 15’ è finita la mia carriera. È morta una parte di me. Durante il riscaldamento ho sentito un fastidio al flessore. Al termine del primo tempo Maicon ha avvisato Rudi Garcia: “Castan non sta bene”. Sono stato sostituito. Sono uscito dal campo, per sempre. Tornato a casa, ho iniziato a non stare bene. La mattina successiva la situazione è peggiorata, mi girava la testa. Ho pensato di morire».
È andato in ospedale?
«Subito. Dopo una risonanza magnetica mi hanno mandato a casa. Il dottore del club era preoccupato, ma non mi diceva cosa avessi. Mai avrei pensato di poter vivere qualcosa di simile. I primi 15 giorni furono terribili. Non mi reggevo in piedi, vomitavo molto, avevo perso 20 kg. Ero senza forze. All’inizio la Roma ha scelto di nascondere tutto. Ho deciso di isolarmi e togliere i social».
Ma quando ha scoperto del tumore?
«Dopo settimane mi hanno comunicato che avevo un cavernoma cerebrale. Avrei dovuto dire addio al calcio. Nella mia testa è sceso il buio. Ero confuso. Arrivato in clinica mi hanno spiegato la situazione: “Se prendi una botta durante una partita ti potrebbe partire un’emorragia cerebrale e potresti morire. O smetti o ti operi”. Mi avrebbero dovuto aprire la testa. Un intervento molto pericoloso, non volevo farlo. Ricordo che quello stesso giorno, tornato a casa mia moglie mi ha detto che sarei diventato di nuovo papà. Un segnale di Dio».
Quanto è stato importante Sabatini?
«È stato un secondo padre. Ricordo la frase detta a mio papà: “Da direttore della Roma neanche tu avresti fatto quello che ho fatto io per tuo figlio”».
Gli allenatori come si sono comportati con lei?
«Rudi Garcia mi ha sempre protetto, un secondo padre. Con Spalletti ho fatto più fatica. Ero rientrato dall’operazione. Prima della partita contro l’Hellas mi aveva chiamato in ufficio dicendomi che voleva rivedere il vecchio Castan. “Va bene, ma ho bisogno di giocare”, la mia risposta. Contro il Verona sono tornato titolare, giocando però una delle mie peggiori partite. Nei giorni successivi mi ha richiamato in ufficio, mostrandomi una foto del Frosinone. “Il tuo livello è questo, non puoi giocare qui. Tu con me non giochi più”. Mi è crollato il mondo addosso».
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