Presentata la legge Bove, il centrocampista: "L’episodio che mi ha coinvolto è stato importante per me, ma c’è chi si batte da moltissimo tempo"
Edoardo Bove ha parlato in conferenza stampa in occasione della presentazione della legge Bove sul primo soccorso tenutasi oggi presso l'aula convegni del Palazzo Carpegna in Senato. Queste le parole del calciatore: «Buonasera a tutti, e grazie mille per essere venuti. Parto dai ringraziamenti, perché per me è motivo di grande orgoglio essere qui. Grazie al senatore Marco Lombardo, al presidente Scapigliati, alle senatrici e al ministro Abodi per la loro presenza.
L’impegno e la dedizione mostrati dal senatore e dal presidente mi hanno davvero contagiato, e per questo motivo ho deciso di essere un po’ il testimonial di questa legge. Ci tenevo a spiegare il motivo per cui sono qui oggi: parliamo dell’1 dicembre, del mio episodio, che sicuramente è stato il motore di tante cose, ma non è la causa principale della mia presenza qui. Secondo me quell’episodio ha una natura totalmente diversa.
Io sono un professionista che si trovava in un campo di Serie A, dove le misure di sicurezza e tutela sono completamente differenti rispetto a quelle dei dilettanti o rispetto a ciò che può accadere semplicemente per strada. Sono qui perché ho avuto la fortuna di entrare in contatto con tante associazioni e fondazioni: vedo la Fondazione Castelli, vedo la Fondazione “Per Matteo”, ne ho conosciute davvero molte. Non ho avuto modo di toccare con mano il dolore che vivono i fondatori di queste realtà, perché tutte — tutte — nascono da genitori che perdono dei figli. Padri e madri che perdono figli, fratelli che perdono fratelli; e da quel dolore sentono il bisogno, quasi il dovere, di fare qualcosa in loro memoria. Non è nemmeno giusto che debbano farlo, e ho provato a mettermi nei loro panni, pur non essendo genitore. Ma la cosa che mi ha colpito più profondamente è quella sensazione che, in qualche modo, non si sia fatto abbastanza per salvarli. Credo che questa sensazione resti anche a loro.
Leggo qui “Legge Bove”: sono davvero onorato che ci sia il mio nome, ma se posso essere sincero, senatore, sono anche un po’ imbarazzato. Perché non è giusto prendersi meriti che non sono propri. L’episodio che mi ha coinvolto è stato importante per me, certo, ma c’è chi si batte da moltissimo tempo. Ho incontrato persone che dal 2015 lottano per promuovere la cultura del primo soccorso e per diffondere informazioni fondamentali.
Essere citato in questa legge è motivo di orgoglio, ma al tempo stesso vorrei che fosse la legge della Fondazione Castelli, della Fondazione “Per Matteo”, di Stefano Carone, di Mattia e Filippo Alessandrini, che a Piacenza hanno salvato una persona che si stava sentendo male. E potrei fare tantissimi altri esempi: mi viene in mente Mattia Giani, mi viene in mente Davide Astori. Questa legge è per loro. Io capisco che un nome debba esserci, ma il senso è un altro.
Per me, per la mia famiglia e per le persone che mi vogliono bene, è un motivo di grandissimo orgoglio essere qui. Avevo persino promesso di non emozionarmi. Ma ci tenevo soprattutto a dire una cosa: dobbiamo combattere la disinformazione. Perché io, prima che mi accadesse ciò che è accaduto, ero il primo a non conoscere i dati statistici che il senatore ha riportato sugli arresti cardiaci.
La disinformazione porta anche paura. I dati dimostrano che, quando si chiede alle persone se interverrebbero in una situazione di emergenza per salvare una vita, molti si tirerebbero indietro. E secondo me lo farebbero perché hanno paura di sbagliare, di non sapere cosa fare. Il nostro impegno — e l’impegno di tutte le associazioni — è proprio quello di diffondere informazione e cultura del primo soccorso.
Ci proviamo anche con il presidente, nel nostro centro sportivo a Casa Viola, con i ragazzi, tramite la Fondazione Castelli. Ci proviamo nelle scuole, insieme alle associazioni. E la cosa che ci dà più speranza è che, se facessimo la stessa domanda ai bambini — “interverresti per aiutare qualcuno in difficoltà?” — loro alzerebbero la mano subito. Questo ci indica chiaramente dove dobbiamo concentrare i nostri sforzi.
Il nostro rettangolo di gioco — per usare una metafora — sono le scuole, i centri sportivi, i luoghi in cui c’è la volontà di imparare e il coraggio di farlo. Credo sia arrivato il momento di alzare tutti la mano per dire che siamo presenti e che vogliamo fare qualcosa su questo tema. Grazie a tutti».
LE PAROLE DI BOVE A GQ ITALIA - Edoardo Bove ripercorre con lucidità e maturità un anno complesso, segnato dallo stop forzato e dal lungo percorso riabilitativo che sta affrontando. Il centrocampista della Roma, diventato simbolo della legge sul primo soccorso che porta il suo nome, parla con serenità del presente ma senza nascondere il proprio desiderio di tornare protagonista in campo. Allo stesso tempo, però, evita facili proclami e racconta un percorso costruito giorno dopo giorno, con grande attenzione all’aspetto mentale oltre che fisico.
L'AUSPICIO DI BOVE: "SPERO DI TORNARE A GIOCARE TRA UN ANNO" - Bove riconosce come lo scorso anno sia stato segnato da momenti difficili, che però gli hanno permesso di conoscersi meglio e di sviluppare una consapevolezza nuova. La sua riflessione è lucida: dopo mesi di allenamenti individuali, consulti medici e lavoro in palestra, ha imparato a vivere il calcio con un equilibrio differente. Sa che ogni passo avanti conta e che serve pazienza, anche quando la voglia di tornare a giocare è enorme. L’impatto emotivo dell’infortunio, secondo Bove, è stato significativo. Non solo per l’impossibilità di aiutare i compagni, ma anche per la gestione quotidiana di un imprevisto che ha rivoluzionato obiettivi e priorità. Eppure, proprio in questo percorso ha trovato una forma di maturazione personale: ascoltare il proprio corpo, accettare i tempi della guarigione, rimanere concentrato su ciò che può controllare. È in questo contesto che nasce la frase che sintetizza il momento che sta vivendo: «Io fra un anno spero che sarò tornato a giocare, però vediamo. Devo essere sincero, in questo momento sono contento di come sto e penso al presente, però sto lavorando per tornare a giocare». Una dichiarazione limpida, che racconta un ragazzo cresciuto dentro le difficoltà e determinato a riprendersi il suo futuro.
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