Che fine ha fatto - Cristiano Zanetti: "Quella dello Scudetto è stata una stagione pazzesca. Non escludo un ritorno nel calcio"
Torna l’appuntamento con la rubrica Che fine ha fatto. Ogni settimana andremo a scoprire cosa fa oggi un ex calciatore della Roma tramite aneddoti, dichiarazioni e curiosità. Oggi è il turno di Cristiano Zanetti.
Il centrocampista toscano ha attraversato tutta la trafila delle giovanili della Fiorentina fino al debutto in Serie A con la maglia viola nel 1995. Nella stagione successiva gioca ancora nel club gigliato, per poi trasferirsi in prestito un anno al Venezia e un anno alla Reggiana, prima del grande salto all’Inter nel 1998. Con i nerazzurri però non scende in campo neanche una volta, perché viene subito girato in prestito al Cagliari. Nell’estate del 1999 viene acquistato dalla Roma dove trascorre due stagioni, vincendo anche lo Scudetto del 2001. Lascia i giallorossi per tornare all’Inter, in cui resta per cinque stagioni, giocando anche il Mondiale 2002. Passa alla Juventus nell’estate della retrocessione in Serie B. Dopo tre anni in bianconero, in cui inizia ad avere diversi problemi fisici, torna per un anno e mezzo nella sua Fiorentina e poi chiude la sua carriera nel gennaio del 2012 a Brescia, svincolandosi dopo non aver ottenuto neanche una presenza stagionale.
Dopo il ritiro dal calcio giocato inizia la sua breve avventura in panchina, partendo dalle giovanili del Pisa e nella stagione successiva in quelle della Carrarese. Nel 2015 gli viene affidata una prima squadra, il Pietrasanta, compagine che milita in Eccellenza. Ottiene un buon quarto posto, ma nonostante questo al termine del campionato interrompe il proprio rapporto con la squadra di Lucca. Torna per un anno nel mondo delle giovanili, allenando la formazione Berretti della Carrarese. Anche qui resta solo per una stagione, lasciando l’incarico per riprendersi una prima squadra, quella della Massese, compagine di Serie D, con la quale raggiunge un buon piazzamento a fine anno. Terminata anche questa avventura, dice addio al ruolo di allenatore. Oggi Cristiano Zanetti è fuori dal mondo del calcio e attende il giusto stimolo per rimettersi in moto, magari sotto altre vesti.
Lo abbiamo contattato in esclusiva. Ecco le sue parole:
Che ricordi hai dei tuoi due anni alla Roma?
“Sono stati due anni fantastici. Quella dello Scudetto è stata una stagione pazzesca, un crescendo di emozioni concluso con lo vittoria del campionato: una cosa meravigliosa”.
Hai qualche ricordo particolare?
“Nulla in particolare, semplicemente è stato tutto perfetto, una stagione coi fiocchi”.
Com’era lo spogliatoio di quella Roma?
“Eravamo tutti molto uniti. È stato un anno bello, particolare. Sensi aveva comprato calciatori di livello come Batistuta, Samuel, Emerson, oltre a quelli che c’erano già. Diciamo che quell’anno non ha badato a spese, quello che c’era di meglio sul mercato lo ha preso”.
Ti senti ancora con qualche giocatore di quella squadra?
“Ci vediamo ogni tanto per qualche evento commemorativo organizzato dalla Roma. Io però sono sempre stato un ragazzo schivo, sulle mie. Un giocatore che sento spesso è Lupatelli”.
Dopo il ritiro hai iniziato quasi subito la carriera da allenatore: l’avevi già messo in programma da calciatore?
“In realtà no, è nato tutto per caso, per delle coincidenze”.
Come sono andate le tue esperienze in panchina?
“Sono partito facendo un po’ di settore giovanile, poi ho avuto due prime squadre: il primo anno è andato bene, il secondo invece non come speravo. Entrambe le volte comunque sono arrivato quarto: una bella classifica, niente di eccezionale. Poi però ho incontrato troppe problematiche”.
Che tipo di difficoltà?
“Si trattava di categorie basse: Serie D ed Eccellenza. È molto difficile lì, purtroppo girano pochi soldi, i ragazzi fanno anche altri lavori. Se non c’è una società ambiziosa che vuole crescere negli anni diventa difficile per un allenatore puntare su un progetto. Vivi di momenti e quindi non hai possibilità di costruire un futuro. Sono categorie in cui purtroppo i ragazzi guadagnano poco, vengono al campo dopo aver lavorato, sono stanchi e sanno di non avere un futuro. Oltre al calcio c’era da pensare a tante altre cose. Alcune società vogliono navigare in questi mari per tanti anni, ma per fare il presidente di una squadra di calcio che vuole scalare la categorie ci vogliono i soldi, l’organizzazione, le attrezzature e i campi. Purtroppo i primi a risentire di questo sono gli stessi giocatori. A quel punto però, nonostante gli sforzi e l’impegno, ti passa la voglia, perché non è il calcio a cui eri abituato da calciatore. Ci sono troppe differenze rispetto al professionismo, in cui si gioca a calcio e basta. Credo che se si vuole fare l’allenatore si deve partire dai professionisti: deve esserci la possibilità di applicare le proprie idee con gente che lo fa di professione. Ammiro chi, come ad esempio Sarri e Allegri, è partito dal basso e per arrivare in alto. Loro devono averne subite di ogni: io ci sono passato, e devo dire che loro sono stati encomiabili. È molto più difficile rispetto a quando si parte già dall’alto, come successo a molti miei ex compagni”.
Ti ci vedi in futuro su un’altra panchina, magari nei professionisti?
“No, ora basta. Ho fatto questa esperienza, mi trovavo bene con i bambini, ma non ci penso più".
Ci racconti la tua esperienza nei settori giovanili?
“Anche qui si sono create delle situazioni che mi hanno portato alla scelta. Il problema era principalmente nel rapporto con i genitori. Non è facile spiegare loro che il figlio non ha le possibilità di diventare un Del Piero, ma che c’è la possibilità di diventare altri giocatori che comunque hanno aiutato molto in A. Credo che non ne valga tanto la pena, soprattutto per uno come me che ha fatto tanto professionismo e che è andato via di casa a 13 anni: in fin dei conti i ragazzi fanno ciò che ho fatto anche io. Questo è difficile farlo capire, non tanto ai ragazzi, ma ai genitori, che in queste società sono anche influenti e tutto diventa più difficile. Sul campo, devo dire la verità, mi divertivo, ma non pensavo ci fossero tutte queste situazioni esterne. Quando giochi, pensi solo a quello e terminata la partita stacchi. Un allenatore invece deve gestire tante altre situazioni extra campo e scendere a compromessi: non mi è mai piaciuto. Ciò che mi piaceva era allenare e mettere a disposizione dei ragazzi ciò che avevo imparato”.
Quali differenze hai trovato nel vivere lo spogliatoio da giocatore e allenatore?
“Non ci sono grosse differenze. Lo spogliatoio l’ho vissuto a 360 gradi. Gli allenatori oltre a gestire i giocatori devono anche gestire i rapporti con la società. Anche se si vuole pensare solo al calcio vengono fuori inevitabilmente anche altre dinamiche che sono difficili da controllare. Alla fine mi sono sempre trovato bene negli spogliatoi, ovunque sono stato”.
Oltre al calcio, che ha segnato tanti anni della tua vita, quali altre attività svolgi?
“In realtà nulla di che. Ho provato a fare l’allenatore come passatempo. Ho preso il patentino all’inizio perché la mia ragazza era di Pisa e lì mi si è presentata l’occasione di allenare la squadra delle giovanili, ma poi dopo le esperienze che ho avuto ho deciso di lasciar perdere”.
Che progetti hai per il futuro?
“Sul ruolo di allenatore ormai ci ho messo una pietra sopra, ma non escludo un ritorno nel calcio in altre vesti: in fin dei conti è sempre stata la mia vita. Deve essere però qualcosa relativo solo al calcio, dove c’è voglia di migliorare. Potrei entrare in una scuola calcio per bambini, magari potrei anche aprirne una mia, ma è presto per ora. Potrei anche pensare di fare il procuratore, ma anche lì credo che ci siano tante difficoltà. Ora come ora non lo so. In ogni caso vorrei entrare in una realtà importante: un settore giovanile di livello o una società professionistica. Le altre cose le scarto in maniera matematica: ho avuto altre proposte, ma le ho sempre scartate a prescindere, perché sapevo a cosa sarei andato incontro. Non ne faccio una colpa alle società, perché c’è una differenza abissale rispetto al professionismo, tra soldi spesi, tipologia dei contratti e incassi. Solo grandi società fallite, come successo a Parma o Modena, possono pretendere di tornare in alto partendo da una D”.
Cosa ne pensi della Roma di Fonseca?
“È una squadra che gioca bene a calcio e ha ottimi giocatori. Secondo me ha bisogno ancora di qualcosina sia a livello caratteriale che tecnico. Fonseca mi ispira fiducia per come si esprime e per il suo modo di giocare: a me piace, secondo me è molto bravo. Chiaramente, gli deve esser data la possibilità di spendere. È la solita situazione: i calciatori vengono se c’è la disponibilità di acquistarli. Vanno benissimo i giovani, ma devono essere messi insieme a qualcuno un po’ più esperto. Credo che se la Roma farà un paio di colpi in difesa può migliorare, ma per arrivare al livello della Juventus ci vuole ancora un po’”.
Cosa manca per arrivare a quel livello?
“Basta guardare il monte ingaggi. Con la Juventus in Italia non c’è paragone. L’Inter ha provato a starle dietro, ma non c’è riuscita. La Lazio sta facendo un campionato strepitoso, ma il livello delle rose e il monte ingaggi è molto differente. La Juve se la gioca con le big d’Europa, ma in Serie A c’è tanta differenza. Quando giocavo io mi ricordo che non c’era tutta questa differenza: Roma, Lazio, Milan, Inter, avevano tutte grandi giocatori e monte ingaggi simili. Ora basta vedere i soldi a cui rinuncia la Juventus, che sono tanti in confronto a quanti ne spende l’Inter. Conte sta facendo un gran lavoro, ma per arrivare al pari dei bianconeri deve mettere dentro altri 3-4 elementi importanti. La Roma è in una buona fase, ha dei giocatori interessanti, ma i giovani li ha già acquistati, è ora di puntare su due o tre nomi esperti che costano e hanno ingaggi importanti e che le permettano di fare il salto di qualità, altrimenti sarà per sempre la favola del prima o poi arriverà e non riuscirà mai a competere con la Juventus. Questo è ciò che vedo da fuori, poi non so se nascondano dei gioiellini dentro Trigoria (ride, ndr). Servono giocatori che facciano la differenza, soprattutto nelle partite importanti, negli scontri diretti, che sono indicativi della propria forza”.
Quale potrebbe essere secondo te la soluzione giusta per il finale di stagione?
“Credo che la decisione della Juventus di sospendere gli stipendi sia già un chiaro segnale. La vedo dura riprendere. Siamo in casa da più di 20 giorni e ci vorranno dei mesi prima che tutto torni alla normalità. Serve ancora molto tempo prima che si trovi un vaccino o una cura, e credo che quando ritorneremo ad uscire di casa il virus continuerà a circolare. Non sono un virologo, ma da quanto ho capito basta una persona per contagiarne almeno altre tre. Credo che queste misure siano solo per prender tempo, sperando che si trovi al più presto una cura, altrimenti è un cane che si morde la coda. Tornando al calcio, quindi, la possibilità di giocare d’estate a me piacerebbe, ma per farlo bisognerà avere un vaccino, altrimenti la vedo difficile. Credo che questo Scudetto, purtroppo, non debba essere assegnato, al contrario dei posti europei e delle retrocessioni, come è giusto che sia. Ma assegnare il titolo credo che sia una cosa ingiusta per ogni squadra, anche per la Lazio che era in grande forma”.
Come stai passando questa quarantena?
“In casa senza dubbio (ride, ndr). Si legge un libro, si gioca alla play, si guarda la tv alle 18:00 con la Protezione Civile che ci dà le ultime informazioni. Poi gioco in giardino con mio figlio di 4 anni per fargli prendere una boccata d’aria e faccio delle videochiamate con gli amici. Purtroppo non si può far altro”.