Il bilancio preoccupa: cause e prospettive di un rosso sempre più profondo

07.06.2020 07:30 di Gabriele Chiocchio Twitter:    vedi letture
Fonte: Redazione Vocegiallorossa - Gabriele Chiocchio
Il bilancio preoccupa: cause e prospettive di un rosso sempre più profondo
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

I numeri della Roma sono sempre più preoccupanti. L’ultimo aggiornamento è quello contenuto nella relazione del CdA pubblicata il 4 giugno, con il risultato dei primi tre trimestri del bilancio in corso. La perdita è arrivata a 126,385 milioni, mentre l’indebitamento è di 280,479 milioni, risultato di un rifinanziamento attraverso il bond emesso, tra le altre cose, per rimborsare il finanziamento ottenuto in precedenza da Goldman Sachs: numeri entrambi destinati a salire nell’ultimo quarto di anno fiscale, viste le mancate entrate causate dalla pandemia da una parte e 26 milioni immessi da Pallotta e soci sottoforma di factoring, con relativo tasso di sconto per la restituzione, dall’altro. Una situazione in costante peggioramento da anni, a fronte di una competitività tecnica che non solo, toccato un certo livello, non è aumentata, ma che ha fatto sì che i risultati sportivi fossero sempre meno soddisfacenti dal 2018 in poi, con un mancato accesso alla Champions League e una qualificazione, la prossima, appesa a un filo decisamente sottile.

DAGLI WALLACE AI MAICON - “Abbiamo capito che ci voleva gente che ha già vissuto certe esperienze, che riuscisse a fruttare un certo tipo di partite. Altrimenti al posto di Maicon, secondo quel che penso io rispetto al romantico periodo dell'utopia, avrei preso Wallace (terzino classe 1994, allora del Fluminense, ora alla Figueirense dopo essere passato per Chelsea, Inter e Carpi tra le altre, ndr)”. Con queste parole in conferenza stampa nel settembre 2013, Walter Sabatini ufficializzò il cambio di strategia della Roma, che nei precedenti due anni aveva puntato sulla riduzione di costi non più sostenibili e una squadra giovane e meno onerosa, che però non centrò alcun obiettivo sportivo (non solo la Coppa Italia del 2013, ma anche qualificazioni ai preliminari di Champions League appannaggio di Udinese e Milan), provocando, tra le altre cose, contestazioni da parte dei tifosi. Da lì in poi si iniziò ad aumentare i costi, offrendo stipendi più alti, pagando sempre di più i cartellini e allargando la rosa, per poter ambire al vertice e, soprattutto, accedere ai ricavi della competizione europea più importante. Un sistema che, per cinque stagioni e nonostante il buco del mancato accesso del 2016 (tra l’altro non preventivabile con certezza fino al 23 agosto, data del ritorno del nefasto playoff con il Porto), aveva garantito ai giallorossi di stare in alto facendo qualche sacrificio, comunque controllato, sul piano delle cessioni, in un mercato giustamente movimentato tra arrivi e partenze anche per evitare l’incancrenirsi della situazione in modo simile a cui era stata trovata dall’attuale proprietà nel 2011, con tanti giocatori ormai svuotati delle loro ambizioni e diventati costosi a causa dei rinnovi di contratto sottoscritti per trattenerli.

L’ALLARME - Il 2018, probabilmente, è stato l’anno in cui doveva esserci una svolta che, invece, non c’è stata. Dover realizzare oltre 63 milioni di plusvalenze nonostante circa 98 milioni di ricavi ottenuti da una Champions League vissuta fino alla semifinale dovevano essere indice di una saturazione (ampiamente) raggiunta e di una marcia indietro da dover fare per riassestarsi e ripartire, con l’ulteriore incentivo di quattro posti buoni, e non più due e mezzo, per qualificarsi nuovamente e quindi incamerare maggiori risorse. Monchi, paradossalmente l’uomo più adatto per poter condurre sessioni di mercato alla ricerca di affari a basso costo (prima di venire a Roma non aveva mai speso più di 15 milioni per un singolo giocatore), ha invece ulteriormente rilanciato, portando in giallorosso anche calciatori di per sé molto costosi e poco rivendibili come Javier Pastore e Steven Nzonzi facendo saltare il banco. 130 milioni di plusvalenze in un bilancio corroborato dai 67 della coppa giocata fino agli ottavi erano evidentemente cifra di conti fuori controllo, appesantiti da affari utili per l’immediato ma dannosi in prospettiva quali sono gli scambi con alte valutazioni, come per esempio quello tra Luca Pellegrini e Leonardo Spinazzola (che oggi a bilancio pesa per 6,6 milioni annui di solo ammortamento, più uno stipendio stimato da circa 6 milioni lordi, per un totale alle cifre su cui viaggia Edin Džeko, per essere chiari) all’inizio della scorsa estate.

DUE MERCATI TROPPO NORMALI - Si arriva quindi al 2019, con gli alti costi ereditati da Gianluca Petrachi e Guido Fienga e con la certezza (che nel 2016, paradossalmente, non c’era) di non giocare la Champions League. Ci si immaginava almeno un tentativo di rivoluzione, ma anche questa volta si è rimasti spiazzati. Ceduto, oltre a Pellegrini nel sopracitato affare, Kostas Manōlas prima del 30 giugno nello scambio con Amadou Diawara, nel bilancio in corso sono state finora realizzate plusvalenze per appena 19 milioni vendendo Stephan El Shaarawy, Gerson e Ivan Marcano. Molti degli esuberi sono stati piazzati solamente in prestito, in alcuni casi con ingaggi parzialmente ancora a carico della Roma, in altri con la ragionevole speranza di poter chiudere il conto a titolo definitivo a fine stagione (Gregoire Defrel e Maxime Gonalons, per i quali Sassuolo e Granada avrebbero un obbligo di riscatto in caso di salvezza), ma comunque senza un significativo impatto positivo a bilancio, appesantito dai vari nuovi arrivi, prelevati con operazioni condotte sempre al limite delle proprie possibilità, e dal rinnovo di contratto del 33enne (oggi 34enne) Džeko. Anche a gennaio gli arrivi di Roger Ibañez, Gonzalo Villar e Carles Perez, oltre al ritorno di Bruno Peres, a fronte di zero cessioni a titolo definitivo (al di là del caso Pastore, probabilmente oggetto della partenza impedita dalla pandemia citata nella relazione) e una in prestito, quella di Alessandro Florenzi, effettuata quasi a solo vantaggio del giocatore in vista degli Europei poi rinviati, hanno dato l’idea di una pianificazione da società normale, come se la Roma, invece, non fosse in una situazione almeno particolare. Le tempistiche della trattativa per la cessione della società, poi non concretizzatasi per gli effetti della pandemia, a Dan Friedkin (e soci), possono far pensare a una sorta di scarico di responsabilità a chi sarebbe dovuto venire dopo, ma, al di là dell’oggettiva difficoltà di liberarsi di determinati elementi, l’impressione resta quella di una sessione di mercato avulsa dal contesto. Con tanta curiosità di capire il perché, specie registrando ipotesi di trattative che condurrebbero a calciatori come Pedro o Jan Vertonghen, in là con l’età e disponibili sì a parametro zero, ma a fronte di una commissione e, soprattutto, di un ingaggio che essi vorrebbero in linea col loro status di calciatori di livello internazionale. 

GLI SCENARI - Normale essere allarmati da questa situazione (e non solo per le possibili cessioni di calciatori importanti), altrettanto normale (si spera) pensare che, se il proprietario rifiuta un’offerta di oltre 500 milioni per la cessione, ritenendola non sufficiente per rientrare con profitto di quanto investito (tra acquisto di quote e tre aumenti di capitale, l’ultimo dei quali ancora da completare), tale proprietario abbia interesse a non far depauperare il suo avere e, quindi, a continuare a immettere denaro, ove necessario per tenerlo operativo in attesa di tempi migliori: in caso opposto, sarebbe più comodo avere i soldi pochi, maledetti e subito, limitare i danni (idea, tra l’altro, che ai soci di Pallotta sembrerebbe non dispiacere) e lasciare l’incombenza di risistemare i conti ad altri, cosa che, al momento, non è però accaduta. Resta però l’incertezza su quasi tutti i fronti: un prestito e non un’iniezione di liquidità (com’era stato invece fatto in precedenza) è un pericoloso segnale di disimpegno o un’azione provvisoria di attesa di nuovi (o vecchi, attendendo la fine della partita a scacchi tra Pallotta e Friedkin) investitori, a cui si fa comunque riferimento nella famosa relazione? In un mercato svuotato dalla pandemia, si riuscirà lo stesso a realizzare plusvalenze per sanare, a questo punto, almeno una buona parte delle perdite? Cosa si farà, o si potrà fare, per assicurare la continuità aziendale “almeno fino al 31 dicembre”, come confermato dall’azionista di riferimento? E cos’altro accadrà, eventualmente, dopo? Negli anni siamo stati, giustamente, sempre più abituati a passare dal campo alle relazioni finanziarie, dai numeri dei moduli a quelli dei bilanci per cercare di comprendere e spiegare, nel limite del possibile, le dinamiche di quella che è e resta, checché se ne voglia pensare, un’azienda: da ora si può solo attendere per capire quale sarà il finale di una storia che, ormai, di calcio non è più.