Totti: "L’ultimo mio anno non lo auguro al mio peggior nemico. I ruoli non erano chiari da dirigente"

14.04.2022 16:15 di  Redazione Vocegiallorossa  Twitter:    vedi letture
Totti: "L’ultimo mio anno non lo auguro al mio peggior nemico. I ruoli non erano chiari da dirigente"
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In questo periodo, a Milano si sta discutendo sul possibile ritiro a fine anno di Zlatan Ibrahimović, quest'anno poco impiegato a causa dei tantissimi problemi fisici avuti dal calciatore. La Gazzetta dello Sport ha intervistato Francesco Totti per riparlare proprio dei mesi precedenti al ritiro dell'ex campione giallorosso. 

Francesco, te la senti di riavvolgere il nastro
"Così mi vuoi male... (sorride, ndr). Sono passati 5 anni ma le sensazioni me le ricordo tutte e guardando Ibra nell’ultimo periodo le rivivo. Anche se la mia situazione era un po’ diversa dalla sua. Io non avevo avuto particolari infortuni. Sentivo di poter ancora dare il mio contributo, ma fui messo subito da parte e se giochi tre minuti o cinque o dieci una volta ogni tanto diventa uno stillicidio. L’ultimo mio anno non lo auguro al mio peggior nemico. Fu pesantissimo a livello mentale. Logorante. Perché quando dopo una vita in campo non giochi con continuità, soprattutto a una certa età, il fisico non lo stai facendo riposare, lo stai facendo arrugginire. Quando ti abitui solo a subentrare, piano piano perdi il ritmo partita. E quando poi entri ti accorgi che arrivi secondo sul pallone, che stai perdendo quei centesimi di secondo che fanno la differenza. Perché la testa ti dice ancora perfettamente cosa fare, ma le gambe ci arrivano un attimo dopo. Tu lo sai di essere più bravo degli altri ma se il fisico non resta in partita diventa dura. Zlatan in questo momento gioca poco e mi immagino le sue difficoltà anche perché il suo corpo è una macchina impegnativa"

E magari ti dici: forse potevo continuare un altro po’.
"È normale avvenga, è stata la nostra vita. Io potevo continuare ancora all’estero o in Italia. C’erano la Samp, il Bologna, il Torino... Ma con una maglia diversa da quella della Roma non mi ci sarei mai visto. Ibra però non avrà quel dubbio: se vuole può continuare al Milan".

Il passaggio dal campo al bordo campo spesso è più complicato del previsto.
"Uno come Ibra, per l’immagine e l’impatto che ha, credo lo vorrebbero tutte le società. Certi atleti o ex atleti da soli hanno più seguito di un club intero. Ma bisogna stare attenti a non diventare un poster o una bandiera da sventolare solo quando serve. Il giorno che deciderà di smettere, Ibra capisca cosa vuole fare realmente: quale ruolo operativo pensa di poter occupare. E quando gli dovesse arrivare la proposta pretenda chiarezza e trasparenza. Due sono le domande da porre: cosa devo fare e con chi devo farlo. Deve saperlo subito, dopo diventa troppo tardi".

Anche in questi consigli c’è molto di autobiografico.
"Io sono passato da un addio lacerante a fare subito il dirigente della Roma: un percorso che a tutti sembrava naturale e scontato, ma i ruoli non erano chiari. Lì per lì all’inizio ti senti in balia di tutto. Se sei stato un giocatore e hai vissuto sulla pelle le dinamiche del campo e dello spogliatoio ti rendi conto come ragioni in maniera totalmente diversa chi lavora accanto a te e il campo non l’ha mai calcato. Ignorano aspetti che invece nel calcio fanno la differenza. Forse anche per questo non ero mai realmente chiamato a partecipare e a decidere, perché le mie idee al momento delle scelte risultavano totalmente diverse dalle loro. Io ho cercato di calarmi in un nuovo ruolo con umiltà: non ho mai preteso di sapere di finanza, marketing, contratti, organizzazione come altri dirigenti esperti nella gestione aziendale, ma se parliamo di calcio, di giocatori, di tecnici, penso di saperne abbastanza per essere ascoltato... La sinergia tra uomini di campo e uomini d’azienda non è sempre facile. Ecco perché a Ibra ricordo, quando verrà il giorno, di fare quelle due domande".