Gasperini: "L'obiettivo importante è acquisire credibilità. La Roma deve essere una squadra ambiziosa, deve guardare sempre in alto"

Gian Piero Gasperini ha parlato ai microfoni di Sky Sport. Queste le sue parole:
Gasperini, sono già alcune settimane alla guida della Roma: vuole partire da un primo bilancio o dirci invece quanto manca per vedere davvero la sua Roma?
«Un mese è già qualcosa. Se mi guardo indietro, credo che abbiamo fatto tante cose insieme, soprattutto perché ho avuto la fortuna di incontrare un gruppo molto coeso, molto legato, che mi ha dato grandissima disponibilità. In questo mese siamo stati capaci di costruire molte cose, ma è chiaro che se guardo avanti, dobbiamo ancora fare tantissimo, forse anche di più».
Si può sognare? C’è già un obiettivo stagionale che può promettere ai tifosi?
«L’obiettivo importante è acquisire credibilità, soprattutto nei confronti dei nostri tifosi. Dobbiamo far capire che stiamo lavorando per portare loro grandi soddisfazioni. Questa è la cosa più importante. Quanto tempo ci vorrà? Speriamo il meno possibile, assolutamente. La Roma deve essere una squadra ambiziosa, deve guardare sempre in alto. In questo momento, ciò che mi sento di chiedere e che mi auguro di poter ricevere è proprio la credibilità: far capire che abbiamo imboccato la strada giusta».
Gasperini, parliamo del mercato della Roma: che valutazione si può fare fin qui?
«Bisogna intanto guardarlo per quello che è stato realmente fino ad adesso. Sono arrivati Wesley, El Aynaoui, Ferguson, Ghilardi… tutti ragazzi di 21, 22, 23 anni, che hanno già avuto esperienze – più o meno – importanti. Sono i profili per i quali la proprietà si è rivolta a me, proprio per andare in questa direzione. Una direzione non usuale per una squadra e una città come Roma, ma è quello che stiamo cercando di fare: costruire una squadra che possa crescere attraverso questi profili. E sarà così anche se dovessero arrivare altri giocatori».
Si è parlato anche del gradimento di Fabio Silva: lo ha sentito personalmente?
«No, io in questo mese non riesco nemmeno a guardare altro che gli allenamenti della nostra squadra…»
Però ha un sorriso birichino, no?
«(Ride ndr) No, no… È effettivo. Però è innegabile che in questo momento ci sono tanti giocatori sul mercato. Adesso stiamo davvero entrando nella fase più cruciale della sessione. E, per quanto riguarda gli attaccanti in particolare, mi sembra che l’attenzione sia tutta rivolta a loro, qualunque sia la squadra. Questo fa parte del calcio».
Lei prima parlava del cambio di filosofia della Roma: è stato qualcosa condiviso già al momento della sua scelta?
«Sì, certamente. È un cambio anche un po’ epocale, se vogliamo, rispetto a quello che è stato in passato per le grandi squadre. È una direzione precisa che abbiamo concordato fin dall’inizio».
Gasperini, sembra che il suo arrivo alla Roma e il progetto della società siano due strade che si sono incrociate al momento giusto.
«Sì, sicuramente. Quando ci siamo parlati per la prima volta, la proprietà mi ha illustrato un progetto molto chiaro, che andava proprio in questa direzione. Ed è stato qualcosa che mi ha dato grande entusiasmo. È una cosa che ho fatto un po’ ovunque nella mia carriera, anche al Genoa per tanti anni».
Quindi non solo 300 milioni dai giovani, come detto prima.
«Esatto, probabilmente anche di più. Ma quel dato era riferito solo agli esordienti, no? I numeri precisi non li conosco, però sì, è una direzione che per una piazza come Roma rappresenta una novità. Solitamente, quando ti rivolgi a un altro tipo di mercato, vai su giocatori affermati che ti portano magari un miglioramento immediato, ma con altri costi e un’età diversa. In prospettiva, invece, può essere meno efficace. Ed è proprio questa la novità: costruire qualcosa di diverso, che possa crescere. Questo è lo stimolo forte che mi ha fatto dire: l’ho fatto altrove, se riesco a farlo bene anche qui, a Roma, sarebbe straordinario».
Le chiedo una curiosità: quando si parlava del suo nome, Ranieri in conferenza stampa lo smentì categoricamente. Era vero o era una strategia?
«Questo dovete chiederlo a Claudio (ride ndr). Ma in quel momento eravamo in una fase importante del campionato, e lui è stato bravissimo a gestirla. Per quanto mi riguarda, la mia decisione vera l’ho presa solo a fine stagione, dopo l’ultima partita. Ho chiesto all’Atalanta la possibilità di incontrare un’altra società, e in tre giorni è successo tutto».
Parliamo dei suoi attaccanti. Ha Dybala e Soulé, entrambi talentuosissimi e mancini. Possono coesistere?
«I giocatori bravi possono sempre coesistere. Anzi, ne vorrei sempre di più. È vero che entrambi prediligono giocare nella stessa zona del campo, ma Dybala ha già giocato in posizioni diverse, mentre Soulé, che è giovane, deve ancora ampliare il proprio raggio d’azione. Non deve limitarsi solo alla giocata a rientrare e al tiro da fuori, può occupare altre zone. Lo scorso anno con Ranieri ha fatto anche il quinto, dimostrando duttilità. Avere più soluzioni è un valore, non una difficoltà. Il problema c’è solo quando un giocatore è limitato a una singola zona».
Infine, sul tema della fascia da capitano: ha fatto discutere la sua scelta di affidarsi all’anzianità di militanza. Ne ha parlato con Pellegrini?
«No, sinceramente no. Ma è una gerarchia che adotto da sempre. Mi ha stupito che abbia generato così tante discussioni. Non ho detto che tutti possono fare i capitani: credo che in una squadra i potenziali capitani debbano essere diversi, perché la fascia è qualcosa di prestigioso e serve avere i requisiti per indossarla. Avere più giocatori con questo tipo di leadership ti rende un gruppo più solido. Ricordo Dublino: Toloi non giocava, De Roon era squalificato, e la coppa l’ha alzata Djimsiti, ma erano lì tutti insieme. Questo è il mio concetto di squadra».
Un criterio oggettivo, quindi, più che una scelta basata su leadership percepita.
«Sì, non è soggettivo. Non si tratta di chi è il più forte o il più carismatico. È un criterio numerico e chiaro. Chi è alla Roma da tanti anni ha sicuramente acquisito i requisiti. E per me i capitani sono il nucleo forte della squadra».
Mister, intanto la saluto e mi complimento con lei. Vorrei farle una domanda: in fase di calciomercato, se potesse scegliere, preferirebbe scegliere un giocatore o scegliere il tempo? Perché nel calcio di oggi, in piazze come Roma, il tempo praticamente non esiste più. Lei ha un’idea di gioco chiara e un biglietto da visita invidiabile, ma mettere radici richiede tempo. Quanto conta per lei?
«Ciao Alessio. Se guardo il tempo… non basterebbe mai. Quindi dico che il tempo è questo. Ed è proprio per questo motivo che non parlo tanto di risultati, ma di credibilità. Quando riesci a trasmettere qualcosa che la gente riconosce, poi il tempo te lo concede. Certo, tutti vorremmo partire subito forte, vincere, avere una squadra già amalgamata e competitiva, con un’identità chiara. Ma non mi sento di promettere questo, anche se è l’obiettivo».
Posso tradurre in maniera prosaica la sua risposta? Portatemi i calciatori, al tempo ci penso io.
«Esatto. La scelta è questa. È chiaro che i calciatori sono fondamentali, ma anche lo spirito con cui gioca una squadra, se è apprezzato dal suo pubblico, è altrettanto importante. Poi ovviamente contano anche i risultati».
Prima di lasciarla andare, però, un’ultima curiosità: l’anno scorso lei ha vissuto da allenatore dell’Atalanta la stessa situazione che il club sta vivendo ora con Koopmeiners e Lookman. Si aspettava che la storia si ripetesse? E secondo lei Lookman è pronto per il salto all’Inter?
«Posso solo dire che mi dispiace. Abbiamo vissuto momenti così belli che si rischia di ricordare certi giocatori solo per l’ultimo episodio. Invece ci sono stati tanti momenti straordinari. E ora risalta solo questo. Sono dispiaciuto sia per il ragazzo sia per la società. Mi auguro che questa situazione si risolva presto».
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