Quadrini: "Fonseca mi ha fatto una buona impressione, si è messo in discussione rivedendo alcune situazioni tattiche"
Marco Quadrini, doppio ex di Roma e Genoa, è stato intervistato dal sito ufficiale giallorosso:
Come ha vissuto e come sta vivendo questo momento storico così delicato legato al COVID-19?
“È un periodo surreale per tutti. Sembra di stare dentro un film. Ogni giorno cambia lo scenario della nostra vita. Prima o poi passerà. Sono contento, invece, che la Serie A riesca ad andare avanti, con tutte le difficoltà del caso”.
È dura portare avanti la sua attività della scuola calcio?
“Noi stiamo riuscendo ad andare avanti. Con il decreto c’è possibilità di allenarsi. Però, a differenza del professionismo, non possiamo fare partitine, con il contatto fisico, ma possiamo rappresentare una valida valvola di sfogo per i ragazzi, alcuni di loro non vanno a scuola, ma sono impegnati con la didattica a distanza. E dargli la possibilità di venire al campo è sicuramente qualcosa di positivo”.
Lei, personalmente, sta bene?
“Io bene, fortunatamente lontano dal virus. Nel periodo invernale ho seguito i ragazzi con esercitazioni a distanza, cercando di stare il più vicino a possibile alle loro necessità. Nel frattempo, ho preso il patentino UEFA A da allenatore professionista”.
Aspira a fare il tecnico?
“Questo è un intendimento che c’è da sempre. Da quando ho smesso di giocare, mi sono laureato in scienze motorie. Mi sono dedicato alla scuola calcio, allenando i ragazzi in varie categorie. Quando mi sono sentito pronto, poi, ho sostenuto il corso per prendere il patentino. Ho iniziato a girare tanto, andando a visionare allenatori che conosco personalmente e seguo da tempo. Tra questi dico Di Francesco, Gautieri, anche Di Biagio”.
Tutti suoi compagni di squadra nella Roma 1998-99.
“Sì, ci sono rimasto sempre in contatto. Mi piacerebbe andare a vedere Pirlo e Gattuso, con cui ho condiviso alcune esperienze – sempre da calciatore – in nazionale under 21”.
Ha già avuto contatti per iniziare la professione?
“Ancora no. Vedremo quello che verrà fuori. Se guidare una squadra da primo allenatore o se sarà possibile fare esperienza all’interno di uno staff”.
Qual è la sua idea di calcio da addetto ai lavori?
“Sicuramente ho una visione offensiva, propositiva”.
Non a caso è stato allenato da Zeman.
“Zeman è un tecnico che non può non lasciarti un segno dentro, una traccia. Aveva principi di calcio che si utilizzano anche adesso. Sicuramente ho dei sistemi di gioco in testa di riferimento, che secondo me riempiono meglio il campo di altri. Ma molto dipende anche dai calciatori a disposizione”.
La Roma di Fonseca sembra in un momento di evoluzione tattica, unito al raggiungimento dei risultati. Le piace il portoghese?
“Fonseca mi ha fatto una buona impressione da subito, da quando è arrivato a Roma. È un allenatore intelligente, si è messo in discussione, rivedendo alcune situazioni tattiche e adattandosi al calcio italiano. Si vede che la squadra segue l’allenatore, ha un’impronta tattica precisa e riconoscibile”.
Parlando un po’ dei suoi trascorsi, Quadrini come arrivò a giocare nella Roma?
“Da piccolo facevo la Scuola Calcio Federale. Finiti i tre anni, ci fecero fare un provino per la Roma. Fui subito preso negli Esordienti 1978, anche se io ero del ’79. C’era Gildo Giannini come responsabile del settore giovanile. Franco Superchi fu tra quelli che mi segnalarono. E come primo allenatore avevo Francesco Quintini. Anche lui, come Superchi, un ex portiere”.
Lei e Quintini, peraltro, siete gli unici calciatori della storia giallorossa ad avere il cognome che inizia per Q. Siete solo due.
“Non lo sapevo… Però mi fa piacere essere accostato a lui. Ho un ricordo molto positivo del suo periodo. Anche perché da lì iniziò tutta la mia trafila, fino all’esordio in prima squadra”.
Che avvenne prima in Coppa UEFA a Zurigo e poi in campionato a Cagliari.
“Due partite indimenticabili per me. La prima significò qualificazione ai quarti di finale della coppa, l’altra la perdemmo 4-3 in trasferta. Una beffa”.
Poi arrivò l’esordio dal primo minuto in casa con il Vicenza.
“Vittoria molto bella, per 3-0. Feci una buona prestazione e sul finire di gare fornii un assist vincente a Gautieri per il terzo gol. Dopo quella partita giocai da titolare contro la Juventus a Torino, contro il Parma e contro l’Inter in casa, entrai al derby del Vi ho purgato ancora. Alcune belle vittorie, altre meno”.
Tipo il 4-5 subito all’Olimpico contro l’Inter del debuttante Hodgson.
“Vero, quella gara la perdemmo solo perché puntammo a vincerla una volta raggiunta l’Inter sul pareggio. Invece di accontentarci del punto, ci proiettammo in avanti per trovare il successo, però non andò bene. Di quella serata ho il ricordo nitido della spinta dello stadio. Sentivamo che la gente ci spingeva a cercare i tre punti. Gran parte dei tifosi condivideva l’idea zemaniana di non accontentarsi mai, così come noi in campo”.
E quando arrivò Capello alla guida del club?
“Il rapporto con il mister era buono, solo che una volta che fecero il cambio da Zeman a Capello mi misero subito sul mercato. Lui aveva un’idea di calcio diversa dal predecessore, con calciatori più affermati. Tuttavia, le trattative andarono per le lunghe e i primi mesi mi allenai con il resto del gruppo. Solo a gennaio andai al Genoa, in Serie B”.
Con il “Grifone” come andò?
“Scelsi il Genoa perché c’era Delio Rossi allenatore. Lui mi chiese pure quando era alla guida della Salernitana. Aveva come Zeman delle idee di calcio offensive. Lo seguii volentieri. Peccato che quando arrivai là, lui fu esonerato poco dopo. Al suo posto subentrò Bolchi”.
Che aveva idee di calcio più conservative rispetto a Rossi.
“Senza dubbio. Dalla difesa a quattro, lui passò ai cinque. Ma il cambio ci diede comunque tranquillità e alla fine ci salvammo. Rimasi al Genoa solo sei mesi. Poi andai a Palermo, Napoli e conclusi con la Fermana”.
Ha chiuso con il calcio nemmeno a 30 anni.
“Per varie motivazioni presi questa decisione, ma non volevo chiudere in categorie inferiori come fanno tanti altri. Ho preferito smettere e iniziare a studiare per laurearmi. E non mi pento”.