Mantovani: "L’unica società che sta proponendo una politica innovativa è la Roma di Pallotta"

13.03.2015 19:21 di  Alfonso Cerani   vedi letture
Fonte: AS Roma match program
Mantovani: "L’unica società che sta proponendo una politica innovativa è la Roma di Pallotta"
Vocegiallorossa.it
© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

Enrico Mantovani, ex presidente della Sampdoria, ha rilasciato un'intervista, pubblicata sull'AS Roma match program. Queste le sue parole:

È da un po’ di tempo lontano dai radar della Serie A e del pallone in generale. Nostalgia?

“Diciamo che non sono fuori del tutto: ho investito su un paio di aziende finanziarie vicine al mondo dello sport, in particolare vicine al calcio. Non escludo un domani di tornarci, ma dovrà essere un progetto serio altrimenti non avrebbe senso”.

Quanto è cambiato il calcio italiano da quando l’ha salutato?

“Poco, molto poco. In un mondo in continua evoluzione, il calcio resta ancorato ai vecchi principi. Sembra un sistema feudale, dove si pensa solo al proprio orticello, dove ci si fa la guerra tra un club e l’altro. Se negli anni Ottanta eravamo la prima scelta di tutti i campioni, oggi siamo la terza o quarta scelta”.

La colpa di tutto ciò?

“Uno dei problemi è noto: i dirigenti di questo sistema restano più o meno sempre gli stessi. Ma non è colpa solo loro, c’è anche una componente della politica: il calcio è un’azienda vitale per il Paese, basta vedere il fatturato che genera. C’è tutto il potenziale per migliorare questo stato di cose, ma al momento le risorse sono sfruttate malissimo”.

Un modo per uscirne?

“Bisogna ripartire dagli impianti di proprietà, capire quanto uno stadio sia determinante per un club: porterebbe soldi e business. Sarebbe ora di iniziare a capire che la parola “business” legata al calcio non è male. Guardate all’estero, andate a vedere le partite del Manchester United o del Bayern Monaco e capirete quanto business c’è, ma quanto è importante per la vita e la competitività di quelle società”.

La Roma di Pallotta ha una politica societaria molto vicina alle idee dei club inglesi o tedeschi.

“Lo so e mi si apre il cuore… James Pallotta è un investitore con idee, serio, che sa dove arrivare e a quale obiettivo. Per fortuna non è lo sceicco arabo che ci mette i soldi per qualche anno solo perché vuole divertirsi. Ha strutturato una società seria, con manager anche esterni al calcio ed è la cosa migliore per determinati ruoli. Un nome che mi viene in mente è Giorgio Francia, un professionista nell’ambito finanziario (nella Roma ricopre il ruolo di Financial Controller, ndr)”. Stanno facendo le cose per bene e si vede anche dai risultati che la squadra sta ottenendo negli ultimi due anni”.

Uno dei cardini del progetto americano è proprio la realizzazione del nuovo stadio.

“Spero si realizzi il prima possibile. Lo dico davvero. Una squadra come la Roma non può avere un impianto come l’Olimpico, che non è stato costruito per il calcio. Mi fa rabbia, è arcaico, andava bene per i tempi dei Flintstones…”.

Lunedì è in programma Roma-Sampdoria. Impossibile non spendere due parole per l’attuale numero uno della Sampdoria, Ferrero.

“Che dire… È il presidente della mia squadra del cuore e va fatto lavorare. Finora sta facendo bene, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. È un personaggio particolare, caratterialmente è diverso dalla mia famiglia o dai Garrone da cui ha ereditato il club”.

Tornando qualche anno indietro, a quando la sua famiglia gestiva la Samp, resta il ricordo dell’ottimo rapporto tra suo padre, Paolo Mantovani, e Dino Viola.

“Vero, erano molto amici, entrambi hanno dato tanto al calcio cercando di cambiarlo. Colgo l’occasione per ringraziare i tifosi della Roma, quando omaggiarono la morte di papà con due striscioni a Marassi belli e toccanti. Lui era un uomo d’onore, quando dava la sua parola doveva essere rispettata. Le posso raccontare cosa accadde con Franco Sensi una volta…”.

Cosa accadde?

“Prima della morte di papà, Sensi si fece avanti per prendere Pagliuca. Mio padre rifiutò la proposta, ma promise al presidente che se avesse deciso di cederlo, lo avrebbe fatto sapere subito alla Roma. Nel ’94, un anno dopo la scomparsa di Paolo Mantovani, decidemmo di dare via Pagliuca. E io interpellai immediatamente il club romanista, come era stato stabilito in precedenza. A quel punto Sensi decise di rinunciare all’acquisto perché preferì tenere Cervone. E Pagliuca passò all’Inter”.

Nel gennaio ’97, periodo della sua presidenza, Totti fu davvero così vicino ai blucerchiati?

“Ci provammo. Francesco non aveva un buon rapporto con Carlos Bianchi, così contattai Sensi per sondare una disponibilità a cederlo. Disponibilità che in un primo momento ci fu. Per noi sarebbe stato un sogno averlo in rosa, sarebbe diventato un simbolo come Mancini”.

Su quali basi trattaste l’acquisto? Prestito come si disse all’epoca?

“No, provammo a prenderlo a titolo definitivo. Io avrei fatto qualsiasi sforzo, e anche di più, per portarlo a Genova, ma alla fine non se ne fece nulla. A dire il vero, non ci ho mai creduto fino in fondo. E fatemi dire una cosa…”.

Prego.

“Ho ancora una visione romantica del calcio e vedere un calciatore di quel livello – uno dei più forti di sempre – indossare una sola maglia in carriera è una storia bellissima. Meglio che sia rimasto a vita alla Roma”.