El Shaarawy: "Non avrei mai immaginato di essere uno dei capitani della Roma. Il primo gol in giallorosso il mio preferito". VIDEO!

Stephan El Shaarawy ha rilasciato un'intervista ai canali ufficiali giallorossi a St. George’s Park, nel ritiro della Roma. Ecco le sue parole.
Siamo al, diciamo, metà ritiro, più o meno. Abbiamo scavallato i primi giorni in questo bel posto. Molto bene. Si sta bene, mi sembra un posto adeguato a fare quello che dovete fare.
«Sì, struttura molto bella, stiamo lavorando bene, diciamo forte, con molta intensità, che è la cosa che sta richiedendo il mister in maniera prioritaria. C’è grande disponibilità e l’entusiasmo da parte di tutti, quindi ci sono tutti i presupposti per cominciare bene».
Tu ne hai fatti un po’ di ritiri adesso, perché inizi a avere una carriera importante. È cambiato qualcosa dai primi ritiri che hai fatto tu o tutto sommato è sempre la stessa dinamica?
«Ma un po’ di cose sono cambiate, ti posso dire magari per quanto riguarda adesso con l’ambito dei social, magari si dà un pochino più attenzione, più importanza a quelle che sono le attività di marketing, magari c’è più attenzione su quello. Prediligono magari fare, parliamo di grandi squadre, le tournée estive piuttosto che qualche amichevole di cartello. Però dal punto di vista del lavoro alla fine è cambiato non tantissimo, magari sì, c’è qualche metodologia nuova, comunque le tecnologie si sono sviluppate, però alla fine il focus è sempre quello di migliorare la propria condizione per arrivare poi al campionato pronti, quindi massima serietà, massimo impegno da parte di tutti quello che non è mai mancato».
Forse ho l’impressione, magari sono anche migliorati gli strumenti per misurare la performance, per vedere…
«Soprattutto quello che dicevo, quelle tecnologie che ci sono adesso sicuramente sono cambiati anche gli strumenti e metodi di lavoro».
Quindi non si può barare, se non corri si vede.
«Esatto».
Tu hai attraversato tante fasi nella tua carriera, non so se le hai contate: a che ritiro sei?
«Sono al 17°».
Quindi hai attraversato tante fasi. Ce n’è una delle tue fasi da calciatore che pensi ti abbia insegnato di più? Un anno, un periodo particolare, che magari riguardando indietro ti fa pensare “lì è cambiato qualcosa” o è stata una crescita in continuità?
«No, sicuramente le fasi che ti insegnano di più sono quelle dove hai più momenti di difficoltà, ecco, dove magari soffri un pochettino di più, dove stai male, tra virgolette. Nella mia carriera sì, ne ho vissute qualcuna. Penso al primo grande infortunio che ho avuto al Milan. Avevo vent’anni, mi ha tenuto lontano dal campo per un anno intero».
Hai avuto paura di smettere?
«No, paura di smettere no, però ero in un momento veramente difficile, perché comunque non avevo mai avuto un infortunio così lungo e quindi impari a rialzarti, che era l’unica via possibile, perché comunque quando hai un infortunio brutto stare lontano dal campo è veramente difficile. Impari comunque il valore anche della resilienza, nel senso di rialzarti e avere l’obbligo di rimetterti in carreggiata e cercare di ritornare ad essere pronto. Poi c’è quello del Monaco nel 2015, che lì stavo bene, non rientravo più nei piani dell’allenatore e della società».
A un certo punto smetti di giocare lì?
«Sì, sono state le volte in cui mi sono allenato da solo, però lì comunque impari che, prescindere da quello che pensano gli altri, vai avanti per la tua strada, ti alleni per te stesso e speri che ci siano delle opportunità nuove. Poi l’opportunità della Roma è arrivata, è andata bene. Poi c’è stata l’ultima della Cina: anche lì è stato un insegnamento molto, molto importante. Comunque sono sempre stata una persona molto razionale, e quindi quella scelta è stata molto pensata, ho ragionato un po’ più con la testa. Sono tornato però, sono stato veramente contento di essermi fermato qui».
E poi hai rifatto una scelta col cuore dopo, direi.
«Esatto».
Se l’avessi detto allo Stephan che arrivava il primo giorno a Trigoria che nel 2025 sarebbe stato alla Roma e uno dei capitani?
«Non lo sarei immaginato sicuramente. È un orgoglio, è un onore indossare la fascia di capitano, soprattutto quella della Roma, è un qualcosa di speciale, perché inevitabilmente senti il peso della storia di una città intera che si riconosce in questo, per cui ti senti in dovere di dare tutto, veramente di non risparmiarti. Questo è quello che ho fatto e che farò sempre, con o senza fascia. Chi mi conosce lo sa: sono sempre stato uno che ha dato tutto per la Roma, che quando è stato chiamato in causa ha sempre dato il massimo, e così continuerà ad essere adesso. Gasperini in questo è stato chiaro: vuole che ci siano all’interno dello spogliatoio più giocatori che guidino il gruppo, che trasmettano lo spirito giusto, un senso di appartenenza. Qui ci sono tanti giocatori che sono qui da tanto tempo, come me, come Lorenzo, Bryan, Mancio, e quindi questo lo hanno fatto in questi anni. Ci sono altri giocatori che magari sono qui da meno tempo, ma hanno tantissima esperienza, quindi c’è un giusto mix per far andare le cose nella direzione giusta».
Il tuo gol preferito?
«Io dico sempre il primo, perché come ti ho detto prima, riguardo al periodo che avevo vissuto prima, è stato come una rinascita. Quindi presentarsi all’Olimpico con un gol di tacco sotto la Sud, all’esordio, penso che oltre che bello è stato molto significativo e importante per me».
Un gol nella storia del calcio che mostreresti a un alieno per fargli capire cos’è la bellezza del calcio?
«È dura… dico i tre gol del Mondiale del 2006: il gol di Grosso, quello di Del Piero e il rigore finale contro la Francia. Quelli sono brividi, continui. Poi, tolti quelli, i miei preferiti sono quelli dei miei due idoli: Kaká contro il Manchester, quello è stato pazzesco; quello di Ronaldinho, la doppietta al Bernabéu; e poi anche quello di Neymar, quello che ha vinto il Premio Puskás, al Santos, contro, tra l’altro, Ronaldinho. È una serpentina: partito dopo la metà campo, ha fatto un gioco di tacco, 1-2, e poi ha scavalcato il portiere con l’esterno destro. Stratosferico».
Il gol che ancora ti brucia per non essere entrato?
«Semifinale con il Liverpool: ho preso un palo e poi una mano, quello sarebbe stato utile, non avrebbe guastato».
Cos’è per te il talento?
«Io penso che si debba partire da una buona base di talento sempre, perché il talento ti permette poi di dimostrare quanto vali, di emergere e di arrivare a un certo livello. Quello sicuramente, il talento per quello serve. Però poi, una volta che arrivi ad alti livelli, la cosa che ti mantiene alto è sicuramente il lavoro, il sacrificio, la dedizione e la testa soprattutto, perché il talento non ti prepara al fallimento. Il lavoro sì: con il lavoro puoi ritornare ad alti livelli. Solo con il talento, secondo me, fai fatica. Penso che la ricetta migliore sia una buona dose di talento, ma senza il lavoro non vai molto lontano. Non so darti una percentuale esatta, però quando arrivi a un certo livello devi sempre avere quell’ambizione, quella voglia di migliorarti sempre. E solo con il lavoro la ottieni, per cui ci vuole costanza soprattutto, impegno e dedizione in quello che fai».
Cosa ti emoziona ancora nel calcio?
«Da protagonista in campo sicuramente il momento del gol, per me è il momento più alto di soddisfazione: proprio ti riempie il cuore quando realizzi che la palla entra, soprattutto se sei in casa, perché uno stadio intero che grida il tuo nome è qualcosa di veramente unico».
Non ci si abitua a quella cosa?
«Mai, mai. Anzi, col passare degli anni ti emoziona sicuramente molto di più».
Da spettatore?
«Mi sono sempre piaciute le giocate dei singoli. Sono sempre andato a ricercare le giocate dei miei idoli. Io, quando ero piccolo, anche magari non in campo, guardavo i video delle loro skill per poi cercare di replicarle. Quindi la giocata del singolo mi entusiasma sempre: accendere la tv e guardare una partita solo per quel giocatore lì è una cosa che mi emoziona».
Eppure oggi sei anche un giocatore più di squadra…
«Sì, con gli anni a Roma, soprattutto quando sono tornato dalla Cina, ho visto questo cambiamento. Nelle volte in cui c’era bisogno di aiutare la squadra, io ero sempre lì in prima linea, magari mettendo da parte l’individualità, però è una caratteristica mia, un tratto del mio carattere che è sempre stato lì».
Come ti sei adattato a fare anche l’esterno di copertura?
«Ti riesci ad adattare a quelle che sono poi le esigenze del mister, le esigenze che richiede la situazione in quel momento e diciamo che sono riuscito a farlo abbastanza bene».
Serie tv o film?
«Guardo entrambi, sia film che serie tv. Generi? Tutto: quello che mi colpisce lo guardo».
Consigliami qualcosa.
«Serie tv, l’ultima che ho visto è Adolescence, un solo sorriso: mi ha colpito perché è particolare, è diversa da tutte, nel senso che è tutta in piano sequenza. È bella, pesante: tratta tematiche delicate, è bella anche per quello, parla di cose vere, di cose che esistono nella vita».
Musica?
«Anche lì, tutto».
Non ti vergognare…
«No, reggaeton, un po’ di tutto».
La metti nello spogliatoio?
«Ogni tanto, poche volte. Ci sono due o tre che la mettono sempre: mette un po’ di reggaeton Dybala. A me è un pochettino un po’ più spinta, però nello spogliatoio magari non è il caso».
Momento “test vita reale”: quanto costa un litro di latte?
«Dipende. Più o meno siamo su due euro. Io ad esempio prendo quello senza lattosio: già lì un euro in più, anche due, soprattutto se lo compro importato, come il latte di mandorla».
Quanto costa un biglietto della metro a Roma?
«1,50€. Però ho il dubbio che forse ho sentito di aumenti, forse 2€ per i turisti, non lo so».
Quante uova ci sono nella confezione standard?
«Io faccio sempre colazione con le uova. Quando vado a fare la spesa, classica confezione da 6».
Sai il nome del sindaco di Roma?
«Gualtieri».
Conosci il tuo codice fiscale a memoria?
«Sì».
Hai mai fatto una lavatrice?
«Pochissime volte, però l’ho fatta».
Senza danni?
«Sì, so che bisogna dividere bianchi e colorati».
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