Esonerato Di Francesco: le tappe del declino

08.03.2019 11:30 di  Alessandro Carducci  Twitter:    vedi letture
Esonerato Di Francesco: le tappe del declino
Vocegiallorossa.it
© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

È ufficialmente finita l'avventura di Eusebio Di Francesco sulla panchina della Roma.
L'ormai ex tecnico giallorosso, prima giocatore e poi team manager, guidava i capitolini dal 2017 anche se le prime indiscrezioni risalgono a qualche anno prima.
Era il 2017 e Andreazzoli si era appena insediato al posto dell’epurato Zeman: si parlò di un apprezzamento dell’allora dg della Roma, Franco Baldini, verso Eusebio Di Francesco, che tanto bene stava facendo al Sassuolo.
Quattro anni più tardi, Eusebio è effettivamente approdato a Roma, scelto dal ds Monchi, arrivato nella Capitale solo pochi mesi prima.
Tifoso romanista e tra i protagonisti del terzo scudetto giallorosso, Di Francesco era tornato a Trigoria dopo aver ricoperto il ruolo di team manager per un anno, dal 2005 al 2006.
Nel giugno del 2017 ha firmato un biennale iniziando la sua avventura in giallorosso, contratto prolungato di un anno al termine della prima stagione in giallorosso.
Arrivato per la sua propensione a un calcio propositivo, aggressivo, europeo, Di Francesco era stato scelto anche per la sua profonda conoscenza dell’ambiente romano e per la sua innata pacatezza, che gli ha fatto attraversare i momenti più delicati con serenità e senza mai trasmettere pubblicamente nervosismo.

IL PRIMO EUSEBIO - L’inizio non fu facilissimo. A causa degli impegni con le nazionali, Di Francesco portò pochissimi titolari nel ritiro di Pinzolo: Alisson, Florenzi, Jesus, Pellegrini, Gonalons e Perotti. Partì anche Karsdorp ma con il problema al menisco e, quindi, non utilizzabile in campo.
Tutti gli altri si aggregarono nel ritiro negli USA.
Le amichevoli estive furono un primo, piccolo, banco di prova e le critiche arrivarono feroci dopo il tracollo contro il Celta Vigo (4-1), ultimo test prima dell’esordio in campionato.
Il tecnico faticò a far comprendere rapidamente i suoi principi di gioco ai calciatori.
La prima di campionato venne decisa da Kolarov e, già ad agosto, Di Francesco tirò il primo sospiro di sollievo, uno dei tanti della sua esperienza romana.

LA SVOLTA - Il pareggio nell’esordio Champions contro l’Atletico Madrid fu uno spartiacque della stagione. La Roma non disputò una gran partita ma chiuse con un prezioso 0-0, merito anche di Alisson.
Da lì i giallorossi inanellarono diversi risultati positivi in campionato e chiusero trionfando un girone di Champions composto da Atletico Madrid, Chelsea Qarabag, con lo spettacolare pareggio di Londra a impreziosire il cammino.

LA PRIMA GRANDE CRISI - Il problema atavico di questa squadra è la mancanza di continuità, la mancanza di quella mentalità vincente che non consente di rilassarsi mai, soprattutto senza aver vinto ancora niente.
Di Francesco, così, non riuscì a evitare che la squadra si adagiasse dopo aver superato il girone di Champions.
Arrivò l’eliminazione dalla Coppa Italia ad opera del Torino, le sconfitte contro Juventus, Atalanta e Sampdoria e i pareggi contro Sassuolo, Inter e ancora Sampdoria.



IL TURCO - Fu Ünder a suonare la carica decidendo la sfida di Verona a gennaio e tirando via la Roma dalla melma in cui si era impantanata.
I capitolini ricominciarono a correre. La vittoria contro il Napoli, insieme al passaggio ai quarti di Champions, ridiede tranquillità a Di Francesco e all’ambiente ma il tecnico giallorosso continuerà a essere messo in discussione ancora parecchie volte.

L'IMPRESA - La vittoria contro il Barcellona e la semifinale centrata consentirono all’allenatore giallorosso di occupare comunque un posto nella storia, non particolarmente vincente, del club. La stagione terminò poi con l’essenziale qualificazione per la Champions di quest’anno e il rinnovo del contratto sembrò il preludio di un’altra stagione di soddisfazioni.

IL CASO PASTORE - Di Francesco chiese, e ottenne, di non andare in ritiro per lavorare bene a Trigoria, prima di partire per l’America. Monchi gli consegnò quasi tutta la rosa già a fine giugno. Solo Fazio e Alisson non si radunarono subito con la squadra, avendo giocato il mondiale.
Di Francesco ebbe così la possibilità di lavorare nelle condizioni migliori, con tutti gli effettivi fin da luglio.
Forse non con la migliore rosa possibile o, almeno, non con gli uomini a lui più congeniali. Al di là delle dichiarazioni di circostanza, l’acquisto di Pastore fu destabilizzante. Un’estate intera passata a sentire il tecnico dire che l’ex PSG avrebbe giocato da mezzala e poi, dopo la prima partita, cambiò tutto e Pastore fu schierato da esterno offensivo per poi passare da trequartista nel 4-2-3-1 che, dopo un’estate di lavoro sul 4-3-3, l’allenatore aveva deciso di adottare per trovare i giusti equilibri.
La sensazione di navigare a vista si appiccicò e non si scrollò più di dosso, il tutto condizionato dalla cessione di un leader come Strootman, ineccepibile sotto il profilo tecnico, meno come tempistiche.
A mercato chiuso, la cessione fu percepita dall’ambiente e della rosa come un ridimensionamento degli obiettivi e delle aspirazioni.

IL LENTO DECLINO - La Roma ha faticato a ingranare e, anzi, spesso ha dato l’idea di essere completamente scarica, svuotata e fragile.
La panchina di Di Francesco è stata più volte in bilico quest’anno: dopo la sconfitta di Bologna, a settembre, già si era parlato di un Pallotta desideroso di mandar via l’allenatore, con l’opposizione ferma di Monchi.
Il copione si è ripetuto anche dopo le sconfitte contro Udinese e Real Madrid, le sconfitte contro Cagliari e Viktoria Plzen e infine dopo il 7-1 contro la Fiorentina.
E così ancora dopo la recente sconfitta nel derby, prima dell'ultimo atto di Oporto e dell’ormai consueto dramma in salsa giallorossa.