Gabriele Paparelli: "La scomparsa di mio padre Vincenzo distrusse la nostra famiglia. Non ho mai ricevuto messaggi dalla Roma"
Quarantasei anni fa, la tragedia di Vincenzo Paparelli segnò per sempre la storia dei derby tra Roma e Lazio. Era il 28 ottobre 1979, quando un razzo, partito dalla Curva Sud, colpì il tifoso della Lazio, presente in Nord, che morì subito dopo. Ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, ha parlato il figlio Gabriele. Questo un estratto:
Quando realizzò cosa fosse successo?
"La sera. Nel pomeriggio i vicini di casa mi portarono al lunapark ma avevo già intuito. La vita della nostra famiglia non è stata più la stessa. Si è sgretolata in milioni di pezzi. Mia madre era con lui quando morì: gli estrasse il razzo dall'occhio provocandosi un'ustione. Aveva 29 anni, cadde in una depressione da cui non si è mai ripresa totalmente. Ha tentato più volte il suicidio. Io e mio fratello, che non c'è più da anni, siamo cresciuti col terrore di tornare a casa e non trovarla più. Non abbiamo avuto un'infanzia semplice: io andai da una zia, lui da un'altra. Ci hanno protetti".
Perché infangano ancora il suo nome?
"Me lo chiedo da quasi cinquant'anni, è un modo per colpire i laziali. La chiamano goliardia, ma goliardia di cosa? Sandri, De Falchi, Spagnolo e gli altri tifosi vengono rispettati, mio padre no. Mi tocca ancora leggere 10-100-1000 Paparelli e bestialità simili. Una vergogna. Sono sempre meno, ma giro ancora con uno spray sotto il sedile per cancellare le scritte. Ricordo ancora le lacrime di mia madre. Io mi svegliavo prima di lei, percorrevo il tragitto che avrebbe fatto e cancellavo tutto".
Dalla Roma ha mai ricevuto qualche messaggio?
"Mai. Né Totti, né nessuno. Mi sono sempre chiesto perché".
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