Alberto De Rossi: "Gasperini una garanzia anche per il settore giovanile della Roma"

Alberto De Rossi è la storia della Roma. Delle giovanili, dai più piccoli alla Primavera, che ha guidato per una vita intera, da dove sono usciti tantissimi giocatori che sono diventati dei professionisti, segno del grande lavoro svolto in quasi tre decenni. A TuttoMercatoWeb.com, direttamente dall'interno di Trigoria, si è raccontato e ha raccontato quelle che sono le sue idee, in un campo non sempre facile da gestire, ma che può regalare grandissime soddisfazioni. Ecco le sue parole:
È stato diciannove anni alla guida di una formazione, cosa ormai rara nel calcio moderno: cosa significano per Lei?
«Non solo. Si tratta del settore giovanile della tua città, della squadra per cui tifi, aggiungerei questa parte emotiva perché è forte. La prima parola che mi viene in mente è orgoglio. Poi c’è la soddisfazione. Ho avuto l’enorme fortuna di partecipare attivamente alla vita del club, alla crescita di tantissimi ragazzi. Per me l'appartenenza è un concetto importante, che cerco di trasmettere e incentivare. La nostra volontà è sempre quella di partire dal nostro territorio, da Roma, dai ragazzi che vogliono diventare calciatori della Roma. Dobbiamo essere presenti sul territorio, mi piace che la maglia della Roma sia un sogno per i giovanissimi”.
Annate, quelle trascorse, con generazioni tutte differenti tra loro: come sono cambiati l’approccio e il metodo negli anni?
«Tempo fa ho partecipato a un corso sulla comunicazione a proposito di questo tema. Sono cambiati i giovani, hanno stimoli diversi e hanno strumenti diversi. I ragazzi sono più ricettivi e meno riflessivi, dobbiamo adattarci noi al momento storico, la proposta di lavoro deve andare di pari passo, tutto è frenetico e molto più rapido, ma non so se questo sia un vantaggio o uno svantaggio».
Non rappresenta forse uno svantaggio questo mondo perennemente di corsa? Anche il calcio ormai calcio viaggia molto velocemente.
«Si, personalmente ritengo sia uno svantaggio, però non c’è altra soluzione che adeguarci e adattare le proposte di lavoro. Gli interventi, le correzioni, devono viaggiare a quella velocità. bisogna ragionare in maniera diversa, è inevitabile. Ora si sta nell’immediatezza, nel qui e ora, tra qualche decennio vedremo se questo è stato positivo per le nuove generazioni».
A proposito di giovani e cambiamenti, anche in Italia si vedono formazioni Under 23. Per come è sviluppato il progetto, può essere funzionale nel nostro paese?
«In generale, qualcosa bisogna fare. La criticità maggiore per i ragazzi è il passaggio dalle giovanili alle prime squadre, dall’essere giovane all’essere adulto. Come AS Roma, stiamo valutando la creazione della formazione Under 23, vediamo che le altre società hanno ottenuto vantaggi. Ne stiamo parlando, vedremo come andrà avanti il progetto, è in discussione. Io però aggiungerei due aspetti strettamente personali inerenti al tema: come sistema calcio dovremmo dare un contributo per le seconde squadre e rivedere la questione Primavera. Non sono d’accordo sulla riforma attuata. Alzare l’età del campionato non è funzionale. E lo dico con cognizione, il campionato Primavera è stato la mia vita».
I giovani italiani effettivamente faticano. E si attinge sempre di più agli stranieri...
«I ragazzi che vengono da campionati stranieri sono più pronti, non necessariamente più bravi, perché giocano prima, hanno avuto esperienze negative con gli adulti e ne hanno fatto tesoro. L’Italia è indietro in questo, lo vediamo. Prima non era così, basti ricordare il famoso mondiale del 1982, quello di Bruno Conti. Nel passato si lavorava sulla tecnica individuale, per la crescita dell’individuo, poi abbiamo visto e ammirato l’Olanda, l’Ajax, il Barcellona, tante realtà che si mettevano in mostra. Abbiamo perso un po’ della nostra cultura, avevamo una preparazione di base formidabile, ora paradossalmente la stiamo rincorrendo di nuovo, un cerchio che si chiude. La preparazione tecnica è fondamentale e l’abbiamo persa, passando alla tattica, al fisico, tralasciando la cosa più importante, che per me rimane la tecnica. Alla Roma pensiamo a un percorso diverso per i ragazzi: nel settore giovanile giocano sotto età e partono per fare esperienza fuori appena c’è la possibilità, così da essere più pronti ed esperti al loro ritorno. Pensiamo sia importante per la loro crescita e anche per il club».
Si parlava prima di struttura fisica: i ragazzi sono sempre più strutturati, passano molto tempo in palestra, magari a discapito di un palleggio in più. Per lei è un fattore positivo?
«Togliere troppe ore al campo non mi piace. Noi siamo attenti a tutto qui alla Roma, dalla palestra alla dieta. La preparazione fisica è importante, ma l’aspetto tecnico rimane fondamentale, devi saper dominare la palla. Sembra banale ma siamo convinti che questa sia la strada giusta».
Tornare a lavorare sulla tecnica per lei è possibile?
«Noi alla Roma non abbiamo mai smesso di farlo e penso che anche in altre realtà d’Italia stiano capendo la centralità dell’aspetto tecnico. Ho visto Italia-Inghilterra Under 15, a esempio, e la nostra fisicità era inferiore. La domanda è: "come fai a giocare con un ragazzo più alto e strutturato fisicamente?". Con la tecnica».
C’è un calciatore, passata dalle vostre giovanili, che pensava potesse fare una carriera diversa?
«Non vorrei pressarlo tanto, ma l’ho già detto: Alessio Riccardi, ora al Latina. È ancora in tempo ovviamente. Giocava da protagonista con me, tre anni sotto età. Non lo vedevo solo io il talento di quel ragazzo, poi forse s’è inceppato qualcosa, soprattutto in se stesso. A un certo punto è stato utilizzato in varie formazioni, sono arrivate le richieste da fuori, cifre astronomiche, un ingaggio molto alto, forse tutto ciò ha alzato troppo la pressione sul ragazzo, che poi si è fermato nella crescita».
Forse c’entra anche la fortuna?
«Ci credo poco alla fortuna, dico la verità. Devi stare sempre sul pezzo, qualsiasi cosa succeda, con disciplina e lavoro. Devi essere inquadrato, sapere cosa sei e dove vai. Poi non è facile gestire mentalmente questo mondo. Ma noi ci siamo, siamo con loro, con i ragazzi, non li pressiamo, la componente ludica deve essere fondamentale, predominante. Non dimentichiamo mai che questo è un gioco, se diventa un lavoro già in età giovanile abbiamo sbagliato tutti. Quando le componenti vanno nella giusta direzione, con talento e disciplina, si arriva».
C’è però anche il procuratore, che sta pilotando il calciomercato: cosa ne pensa di questa figura?
«I procuratori sono importanti, sono buoni compagni di viaggio nella maggior parte dei casi. Fanno parte di quei fattori che devono aiutare il ragazzo, insieme a noi e alla famiglia. L’obiettivo è unico, per tutti: far arrivare i ragazzi in prima squadra, e deve essere condiviso dalle prima citate componenti. A volte non succede, purtroppo, e quando si blocca questo ingranaggio è un problema. Ma in questo momento stiamo collaborando molto bene con tutte le parti in causa, sono sincero, ora sta ai ragazzi restare concentrati».
Un altro tema importante, si lega anche alle strutture, soprattutto per il settore giovanile.
«Le strutture sono fondamentali. Su questo aspetto c’è poca cultura in Italia, è il problema più grande che abbiamo. Spesso mancano proprio gli spazi per giocare e allenarsi. Come fai a far allenare quattro squadre in un solo campo? Noi abbiamo 8 campi, non tutti hanno il privilegio di poter lavorare in queste condizioni in Italia. Ci sono stati investimenti importanti da parte della proprietà. Negli Stati Uniti le strutture sono fondamentali, la mentalità statunitense è diversa da quella italiana e grazie a questa mentalità la famiglia Friedkin ha investito tanto per migliorare Trigoria, per farci crescere. Il nostro centro sportivo è all’avanguardia e ci permette di lavorare nelle migliori condizioni. Abbiamo anche un liceo dentro Trigoria: per noi la formazione dell’essere umano è al primo posto. Non tutti i nostri giovani arrivano a essere professionisti, bisogna dare ai ragazzi gli strumenti necessari per affrontare la vita, è un aspetto fondamentale nella crescita».
Si parla di crescita anche umana: sotto questo aspetto, quale peso ha l’allenatore?
«Gli allenatori, come me, devono fare quello che richiede la proprietà: formare calciatori per la prima squadra. Tutti sono importanti: il magazziniere, l’ufficio stampa, i segretari, tutti. Ma l’allenatore deve essere prima di tutto un istruttore. Alla Roma la classifica delle nostre squadre giovanili la guardiamo a tre partite dalla fine del campionato. Ci interessa migliorare partita dopo partita, concentrandoci su ogni singolo ragazzo».
A proposito di figure di rilievo. Quale è il rapporto con due romanisti come Lei, Claudio Ranieri e Bruno Conti?
«Con Claudio c’è un ottimo rapporto, iniziato come uno splendido rapporto professionale. Ho lavorato insieme a lui e mi ha agevolato tantissimo nel mio lavoro. È importante per un allenatore Primavera avere il profilo giusto in prima squadra, se ti dà i giusti consigli, le giuste aperture, è più semplice. Poi, con il tempo, è maturato anche uno splendido rapporto umano. Su Bruno…che altro posso dire? Mi ha scelto lui alla Roma, mi ha dato i giusti consigli, poi insieme siamo arrivati fin qui, è una sorta di secondo fratello per me, davvero non saprei descriverlo in altro modo».
Parlava di rapporto tra allenatore Primavera e quello della prima squadra. La scelta di Gasperini si inserisce anche in quest’ottica, considerando che per voi i giovani sono fondamentali, e il tecnico ha svolto un eccellente lavoro nella valorizzazione dei giovani dell’Atalanta, non ultimo con l’U23?
«Gasperini rappresenta una garanzia per il nostro settore giovanile, nella sua carriera ha fatto esordire tanti giocatori dal vivaio. Forse la considererete una risposta facile, ma è la verità, guardiamo i dati, i calciatori che ha fatto crescere e migliorare: per noi è un’autentica garanzia. Non servono le mie parole su di lui, è sotto gli occhi di tutti il suo lavoro».
Piacenza, Siena, Livorno, Lucchese, club in cui lei ha militato, e nobili decadute che, chi più chi meno, si stanno riprendendo: come si spiega queste pagine nere del calcio, che ciclicamente si ripetono?
«Aggiungerei anche la SPAL. È molto triste vedere queste squadre in cui ho militato in queste condizioni. Ho fatto 14 anni di Serie C, dopo gli anni nella Primavera della Roma, mi intristisce davvero tanto la situazione. Non me la sento di chiamarle ‘nobili decadute’, sono legatissimo a queste città dove ho giocato, ho amici lì, e militano ora in categorie che non sono le loro. Sono piazze con tanta passione, tanti tifosi, e si dovrebbe rispondere adeguatamente a questa passione, ma alle volte non succede. Non so dare molte altre spiegazioni. La richiesta è forte in queste città, io avevo 20.000 persone allo stadio a Livorno».
Testata giornalistica Aut.Trib. Arezzo n. 20/2010 del 11/11/2010
Partita IVA 01488100510 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246
Direttore editoriale: Alessandro Carducci
© 2025 vocegiallorossa.it - Tutti i diritti riservati
