La pre-rivoluzione di Walter Sabatini
È del tutto scontato, e di conseguenza inutile, sottolineare come i giudizi del lavoro svolto a Roma da Walter Sabatini dividano più o meno perfettamente in due ciò che circonda Roma e la Roma: stabilire ora se il DS abbia svolto o meno un buon lavoro in giallorosso è prima di tutto prematuro (ci sono ancora tre mesi pieni di contratto, e c’è chi si ostina a dire che magari non saranno gli ultimi), e poi abbastanza complicato, a causa del peso che ognuno vuole dare ai diversi elementi su cui tracciare una valutazione del suo operato. Si può però pensare ai propositi con cui il quasi sessantunenne di Marsciano varcava per la prima volta la soglia del Fulvio Bernardini nell’ormai lontano 2011 e a ciò che lascerà una volta svuotato il suo ufficio (e ce ne vorrà, almeno a giudicare da foto e stralci di video che lo raffigurano) per lasciare spazio al suo successore. Ciò da cui si era partiti lo ha ricordato lo stesso Sabatini nel dialogo con i giornalisti e con Spalletti nel postgara di Roma-Inter: l’intento era quello di fare una rivoluzione culturale in salsa giallorossa, che si sarebbe specchiata sul campo in una squadra fatta di giovani da crescere e con cui crescere, passo dopo passo. Una gestione non ottimale delle risorse a disposizione e dei risultati negativi anche oltre le aspettative hanno poi fatto accantonare tutto questo, in favore di una concezione più immediata che ha portato a due secondi posti e a una stagione, quella in corso, in cui si poteva ragionevolmente pensare di partire in prima fila per il titolo.
E se il ragionamento dietro a tutto ciò non fosse un semplice abbandono dell’utopia per tornare sulla terra, ma un accorgersi di un terreno non così ben preparato per quella rivoluzione, da riseminare per avere una base più solida per riprovare con più certezze in futuro? Dopotutto, la rosa trovata nel 2011 era un gruppo di giocatori - a detta di molti, moltissimi - giunto al capolinea, di basso livello patrimoniale (contratti dispendiosi per giocatori di età media e avanzata, calciatori vogliosi di lasciare il prima possibile la Capitale e giocatori di fatto da ritesserare come De Rossi) e dunque da cambiare in larga parte in ogni caso, a prescindere dall’idea di fondo con cui farlo. E forse si è sottovalutato l’impatto negativo, non solo ambientale ma prima di tutto materiale, di una non immediata partenza del fu progetto, che in quelle condizioni era destinato inevitabilmente a naufragare, anche oltre le cause dirette, alla prima difficoltà. Quello che è stato fatto dal 2013 in poi è stato un passo indietro, ma non da leggere come un’involuzione: ci si è probabilmente accorti che con delle fondamenta più solide, una rivoluzione sarebbe stata ancora possibile. Cinque anni dopo, nel 2016, la Roma non ha clamorosamente migliorato il suo bilancio, ora come allora largamente dipendente dai (per fortuna considerevolmente aumentati) ricavi della Champions League, ma ha accumulato un patrimonio tecnico ed economico di molto superiore a quello di partenza, e comunque sufficiente per scegliere la strada con i giusti presupposti, qualsiasi delle due poi sarà scelta. Il primo luglio, la Roma sarà pienamente proprietaria dei cartellini di Florenzi, Manolas, Nainggolan, Pjanic, Strootman e Salah, tutti titolari (o potenziali tali) ben al di sotto della soglia dei 30 anni, in quella fascia di età che nel 2011 era (colpevolmente, secondo alcuni), poco popolata (senza contare i possibili riscatti di Rüdiger, El Shaarawy e, in seconda battuta, Lucas Digne), e riaccoglierà Sanabria, Paredes e Gerson, oltre a poter contare su Nura, Sadiq e Ponce, il tutto condito da un allenatore come Luciano Spalletti, che è tornato forte di una completezza manageriale che lo rende adatto praticamente a qualunque contesto. Materiale, ora sì, perfettamente adeguato per far partire ciò che non era cominciato sessanta mesi fa o per decidere di non farlo. Quella di Sabatini doveva essere una rivoluzione, è finita per essere una pre-rivoluzione: magari il DS avrà il rammarico di non averla condotta in prima persona, ma, se dovesse verificarsi, nella Roma del futuro la sua firma rimarrà indelebile.