Bonini: "Il processo di evoluzione della proprietà americana non è stato accompagnato da stampa e parte della tifoseria"
AS Roma match program ha intervistato lo scrittore Carlo Bonini, tifoso romanista: "Da cronista non scriverei mai un pezzo su una partita, ma è successo in passato di affrontare alcune tematiche giallorosse relative al club e alla tifoseria. L’argomento mi stimola sempre parecchie riflessioni”, sottolinea Bonini.
E a proposito di questo momento della Roma, che riflessioni vengono in mente?
“È un momento un po’ controverso. I risultati arrivano, ma non ancora con continuità. C’è tanta impazienza dovuta dal fatto che si è vinto poco, e lo capisco, ma servirebbe più lucidità. Non solo in campo...”.
Andando più nello specifico?
“Ritengo che l’arrivo della proprietà americana abbia segnato un momento di forte discontinuità nel modo di vivere la squadra. La società è stata portata a una visione contemporanea, da ventunesimo secolo. La Roma è ora un club moderno, con la prospettiva di uno stadio di proprietà, con un respiro internazionale grazie a una presenza costante sui social...”.
Però?
“Tutto questo processo di evoluzione non è stato accompagnato allo stesso modo dal percorso intrapreso dalla stampa specializzata e da una parte della tifoseria. Queste componenti continuano ad avere un tratto molto antico. Un tratto non solo viscerale, passionale, che è una caratteristica di Roma. In poche città al mondo, per fare un esempio, si sta male il lunedì per una sconfitta. Faccio riferimento ad aspetti di forte immaturità ambientale. Mi sono esposto più volte, quindi non ho paura di prendere posizioni scomode, ma non mi piace vedere parti dello stadio mezze vuote. E non mi piace questa dimensione cannibale di macinare giocatori e allenatori con una velocità sconosciuta ad altre latitudini. È un problema, la squadra finisce per diventare spugna e assorbire tutte le pressioni”.
A suo avviso, l’ambiente contribuisce in qualche modo alle sorti della squadra pur non potendo incidere direttamente su un risultato sportivo?
“Secondo me, sì. Si innescano circuiti depressivi che non aiutano i giocatori e la tifoseria. Mi piacerebbe che questa città – intesa come tifosi e stampa – cominciasse ad avere un modo un po’ più raffinato di discutere di calcio. Può essere anche utile fare un processo dopo una sconfitta, ma se pensato in modo intelligente. Spesso ci si abbandona in una serie di sciocchezze inenarrabili. È una squadra che in 10-15 anni ha avuto a disposizione rose e allenatori importanti, ma ha vinto meno di quello che avrebbe potuto. È arrivata spesso seconda, come se mancasse ogni volta un soldo per fare una lira. A volte è successo per demeriti sportivi (come nel caso del post scudetto del 2001-2002), a volte per discutibili scelte arbitrali, a volte per altri motivi...”.
Se dovesse citare un episodio specifico per spiegare il fattore ambientale?
“Dico Luis Enrique, nel 2011-2012. Qui è stato tritato per dieci mesi, dal primo giorno. Poi è tornato a Barcellona e ha vinto tutto. A Roma ereditò la coda della gestione Sensi, aveva bisogno di tempo”.
Eppure, il tecnico spagnolo all’epoca si dimise.
“Vero, ma perché lo fece? Perché si dimise? Era logoro. Non ne poteva più. Non a caso si fermò un anno dopo essere andato via. Solo 365 giorni dopo ha accettato di ricominciare andando al Celta Vigo”.
Il Bonini tifoso com’è? Come nasce?
“Nasco tifoso della Roma da piccolo. Mio padre non era un grande appassionato, ma un giorno mi portò a vedere una partita in Curva Sud, Roma-Ternana. Da lì iniziò tutto, grazie anche a un mio amico di infanzia tifosissimo con il quale andavo all’Olimpico tutte le domeniche, o quasi. Con il passare degli anni la Roma me la sono portata nei viaggi all’estero che ho fatto. A New York, a Milano. Quando sei fuori l’apprezzi e la ami di più. E poi vado pazzo per il calcio. Come i miei tre figli. Oggi quando li guardo tifare mi viene da ridere perché assisto ad una storia che ricomincia”.
Il 14 ottobre, invece, nei cinema è iniziata LA storia di “Suburra”. prime sensazioni?
“Se devo giudicare le recensioni, tra giornali e media, il film è stato accolto bene. “Grandioso” per alcuni, per altri meno. Ma tutti riconoscono una straordinaria qualità nella costruzione dell’oggetto cinematografico: recitazione, regia, riprese e montaggio. Con questo film Sollima ha alzato l’asticella a un’altezza mai raggiunta prima. Un apice stilistico unico”.
Le ultime cronache dal Campidoglio quasi quasi vi stanno dando una mano dal punto di vista della promozione?
“Non lo so. Posso dire, però, che tutti quelli che cercheranno nel film un tratto documentaristico, di denuncia sociale rispetto alla contingenza, resteranno delusi. L’opera sceglie un punto di vista nero, dalla parte dei cattivi, fino alle estreme conseguenze. I tratti narrativi cambiano radicalmente. Per dirne una, il finale non è lo stesso del libro”.
Per l’autore è dura dover rivedere il proprio scritto?
“Lo si fa per necessità. “Suburra” è un libro di 500 pagine, con una struttura orizzontale. Nel film non era possibile riportare la stessa struttura narrativa del libro. Abbiamo lavorato a una sceneggiatura a imbuto, che riesce ad agganciarsi a tutti i protagonisti tenendoli sotto controllo fino alla fine. Una scelta felice e azzeccata. Ve ne accorgerete”.