Conferenza stampa - Gasperini: "Il traguardo da porci è la qualificazione in Champions League. La Juventus c'è stata, ma la Roma era la strada giusta"

Conferenza stampa - Gasperini: "Il traguardo da porci è la qualificazione in Champions League. La Juventus c'è stata, ma la Roma era la strada giusta"Vocegiallorossa.it
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di Gabriele Chiocchio

Ecco le dichiarazioni in conferenza stampa di Gian Piero Gasperini.

Friedkin le ha chiesto come si fa a stare stabilmente in Champions League? Si è dato una risposta al perché la Roma non sia mai entrata in Champions League in questi anni?
«Io ho chiaramente i primi contatti dovuti con Claudio e lui mi ha descritto benissimo per filo e per segno quello che è la realtà di Roma, della squadra e di questa società e le vicissitudini che ci sono state, alcune positive altre negative in questi anni e poi ho avuto modo di incontrare la proprietà e ho incontrato delle persone che hanno un grande entusiasmo sulla Roma, non so se questo traspare, ma dalle parole che ho avuto io con loro ho detto che loro spendono molto tempo sulla Roma e nei loro pensieri hanno indubbiamente dei progetti ambiziosi che hanno fatto fatica fino a questo momento a raggiungere e che hanno individuato in me, attraverso Claudio, la possibilità di creare qualcosa di costruttivo e di forte. Ci siamo confrontati anche su quelle che sono un po’ le loro idee, è chiaro che loro sanno benissimo di questa situazione di fair play finanziario e di questi primi due mercati, però è anche una società, una proprietà molto forte che ha intenzione di investire nella Roma, ma di investire bene, in modo un po’ più sostenibile di quello che è stato magari in questi anni precedenti. E soprattutto vogliono riportare la Roma in alto e questo mi sembra molto sufficiente per poter avere avuto un'impressione molto favorevole e positiva».

Cosa l'ha convinta a venire qui? Che timori vede?
«Tutti quanti, da quando sono arrivato, mi mettete un po’ in guardia su questa situazione di Roma, di una città difficile calcisticamente dove è complicato raggiungere degli obiettivi, per tutta una serie di motivi, di ragioni. Io credo che questa debba essere una forza, non una debolezza. Il fatto che voi siete in tanti, poi mi parlano delle radio, poi mi parlano della pressione, però io da fuori vedo un grande entusiasmo, una grande voglia di calcio, una grande voglia di raggiungere obiettivi. Io penso e credo che tutte queste energie e tutte queste forze vadano probabilmente incanalate nel modo migliore. Se adesso, come dicevate prima, negli ultimi sei anni, o anche in precedenza, ci sono state difficoltà a raggiungere magari degli obiettivi sperati, probabilmente possiamo correggere qualcosa, no? Possiamo portare qualcosa in una direzione giusta che consenta magari alla Roma di essere più forte, più competitiva, anche perché le energie che si vedono sono straordinarie. Se Napoli è riuscito negli ultimi tre anni a vincere lo Scudetto, se Parigi è diventata la capitale d’Europa non più solo per il turismo ma anche per il calcio, cosa che fino a 15 o 20 anni fa non era, probabilmente vuol dire che si può fare anche qui, non solo a Torino, Milano o altrove. È chiaro che per poterlo fare bisogna costruire il mondo giusto, mettere tutte le situazioni nella spinta giusta. Siccome anche tutti quanti voi siete tifosi della Roma, quindi volete tutti il meglio per la Roma, come del resto lo vuole chi lavora dall’altra parte. Se riusciamo a fare questo siamo un po' più forti».

Sul feeling con i tifosi.
«Il feeling con i tifosi, io credo che ci sia, c’è sempre stato. Roma è Roma, ma mai come Roma. Se rientra una parte mia, è chiaro che è inutile nascondersi: quello che conta sono i risultati. Poi bisogna capire quali sono i risultati. Io credo che noi dobbiamo porci prima di tutto l’idea – ed è quello che mi ha spinto veramente in modo forte ad affrontare questa realtà – che possiamo fare qualcosa di giusto, possiamo alzare il livello. Certo, se parto dai risultati che ha fatto Claudio nelle ultime 22-23 giornate, sono stati straordinari, ma questo significa una cosa: quello che conta più di tutti è la squadra. E lui ha dato una dimostrazione fondamentale. Al di là dei singoli, che sono sicuramente importanti, però gli stessi giocatori che erano in grandissima difficoltà di risultati, riuscendo ad avere un po’ più di atteggiamento anche per la squadra, è stato molto bello anche vedere tutti quelli che erano in panchina, come aiutavano, come spingevano. Questo è un valore da difendere, da mantenere, ed è la base sulla quale si può fare squadra e con la squadra poi ottenere il meglio. Non è che si possa, in una piazza come Roma, fare programmi a dieci anni. Si deve essere molto più veloci, molto più concreti. Però è anche vero che bisogna prendere la base di quella che è oggi e cercare di fare da lì un punto e cominciare a far crescere una squadra, sperare e volere fortemente che i tifosi si identifichino in quella squadra: per come gioca, per come affronta gli avversari, per come vince. E questo credo sia il primo punto che mi impongo, poi il resto viene di conseguenza».

Ranieri ha detto che lei sa cambiare la fisionomia di alcuni giocatori. Crede di poterlo fare con Dybala?
«Non dobbiamo cambiare la fisionomia di Dybala, è un giocatore che va bene così. Io spero che Dybala stia bene. Spero che Dybala abbia sempre una buona salute e una buona condizione. Per lui, come per tanti altri giocatori, è chiaro che c’è un prospetto di squadra che deve essere molto identificata in tutti i componenti, come è stata la Roma nella seconda parte, dove tutti spingono nella stessa direzione, al di là dei personalismi. E poi ci sono i singoli, sui quali, con lo staff e con tutti quanti, ci mettiamo a disposizione per cercare di migliorare un po’ di condizione, un po’ di tecnica, un po’ di tattica, un po’ di personalità. Se riesci ad alzare il livello anche dei singoli, la squadra ne trova giovamento. Questo fa parte del mio lavoro da sempre, forse perché ho fatto anche tanto il settore giovanile, quindi questo mi ha aiutato a lavorare anche sulla prospettiva dei giocatori. Gli obiettivi sono questi. Non ci sono giocatori che non sono adatti a giocare. Devono stare bene. Dybala, quando sta bene, è un grande giocatore. Quando ha delle difficoltà, anche a voi piace meno. E quindi noi dobbiamo cercare di far stare bene i giocatori il meglio possibile».

Con lei sono esplosi alcuni attaccanti fortissimi come Milito, Zapata, Scamacca e Retegui, qui ci saranno Abraham e Dovbyk. Cosa pensa di loro?
«Tutti quei giocatori che ha nominato erano giocatori forti. Io non penso di aver mai dato di più a loro di quello che già avevano, semmai qualche merito che mi posso prendere è di aver tirato fuori il meglio di quello che loro già avevano. Il fatto che spesso molti attaccanti hanno fatto bene, forse questo è anche un po’ il mio modo di giocare, perché hanno sempre fatto tanti gol, sono sempre stati tra le squadre più prolifiche, qualche volta anche le prime del campionato. Questo probabilmente è dovuto anche al modo di interpretare il gioco da parte della squadra. Questa è una mia caratteristica che vorrei riproporre sicuramente anche qui nella Roma. Adesso intanto si parte da quello che c’è e poi dopo tutte quelle che sono valutazioni di mercato e di possibilità di variare le cose verranno prese strada facendo».

Sarebbe contento di quale posizione in classifica a fine anno?
«Penso che il risultato massimo possa essere la qualificazione in Champions, non può essere una Roma in questo momento in grado di vincere lo Scudetto. Poi, dopo, non si sa mai, però credo che quello sia il traguardo massimo da proporci. Ma il traguardo migliore, per me, è quello di rendere questa squadra più forte, con giocatori il più possibile da Nazionale, il più possibile internazionali, costruire un nucleo sempre più ampio di giocatori che possano dare continuità a questa squadra e che possano creare il nocciolo duro sul quale, magari il prossimo anno, anche con più disponibilità, poter inserire quelle cose che possono alzare il livello, quei giocatori che in questo momento sul mercato non possono essere ancora trattati, ma che spero e mi auguro che la Roma, nel tempo, possa arrivare a fare. E questo è il primo programma a cui aspiro: una squadra che crei un nocciolo forte, duro, compatto, di esempio per tutti i nuovi che arrivano, che dia continuità, che dia forza, che dia solidità a una squadra. Se vogliamo, anche con giocatori relativamente giovani – in questo momento relativamente giovani – poi è chiaro che c’è sempre bisogno di un mix, ma che possono dare veramente tanto, perché questo, nella mia esperienza, è quello che poi ha portato a far crescere le squadre. Anche vendendo magari qualche pezzo, magari la Roma non ne avrà bisogno, non lo so, però può essere una forza anche questa: se hai del valore dentro, se hai dei giocatori che raggiungono una valorizzazione alta, poi ne trae beneficio tutto quanto il movimento».

In passato ha parlato di essere stato troppo accomodante. Ha cambiato idea o è dello stesso avviso?
«No, no, rimango nella stessa idea. Cioè, quando devi dare subito dei segnali importanti, devi subito portare la gente dalla tua parte. Poi questo non significa vincere tutte le partite o raggiungere traguardi impossibili. Però devi dare un’identità alla squadra e la gente si deve riconoscere un po’ in questa squadra, deve avere fiducia in questa squadra. Ma non c’è bisogno di dirlo, devi sostenerla, questo l’ho sempre fatto. E questa è l’ambizione più grossa, no? Se tu riesci a creare questa sinergia con il tuo pubblico, con la tua gente, poi superi anche meglio le difficoltà che sono dettate dagli avversari. Questo è un campionato difficilissimo. Se pensate a tutto quello che ha fatto la Roma, ma dietro ci sono squadre che sono fuori dalle coppe, squadre importanti, ci sono altre squadre emergenti che stanno spendendo anche molto per poter risalire. C’è una corsa, più che allo Scudetto, alle posizioni di Champions, che sono quelle che permettono di distanziarsi ancora di più e di creare un gap con le altre squadre. È evidente che quando entri in una piazza che ha così tanto entusiasmo, devi entrare forte. Devi entrare forte, ma forte non significa… cioè, quello che ritengo io forte è quello con una squadra che ti segue e crea un ambiente forte. Se riesci a creare questo – ho già fatto degli esempi prima – ti senti più forte in tutto».

Ha in mente un mantenimento dello zoccolo duro della squadra o ci sono alcuni più sacrificabili di altri?
«Allora, intanto dobbiamo partire da quello che c’è, che è tanto, visto i risultati che hanno fatto, soprattutto a livello di spirito, di mentalità e anche di prestazioni che hanno fatto. E questo è un valore che esiste e da quello si parte. Poi è chiaro che non possiamo essere gli stessi. È normale che mi aspetto un mercato in entrata che possa portare a un miglioramento, che possa portare a una prospettiva anche diversa, a, come ho detto prima, a dei giocatori che precostituiscano il nucleo vero. Poi questo farà parte anche di un mix, non è che sarà una rivoluzione in tutto. Però credo che la Roma debba guardare e aspirare ad avere anche nuove figure e nuovi elementi che possano portare più in alto la squadra».

Che caratteristiche devono avere i calciatori che vuole sul mercato?
«Sono pochissime le società che si possono permettere di andare a prendere giocatori già affermati. I giocatori te li devi costruire molto spesso in casa, devi prendere i giocatori emergenti con la possibilità che possano raggiungere dei traguardi, che possano crescere. E vedete che, per essere una squadra di alto livello, c’è bisogno di giocatori che raggiungano anche quegli obiettivi, che siano giocatori da nazionale, che siano giocatori internazionali, che nelle coppe siano giocatori di spessore e di valore. Questo è il programma che si vuole arrivare a fare, a volte anche con giocatori – anzi, molto spesso la necessità è con giocatori – emergenti. Io ricordo, non so, Mancini, Cristante, per dire due giocatori: in quel momento sono venuti via dall’Atalanta abbastanza presto e sono andati in nazionale. Io vorrei che tutti questi ragazzi, indipendentemente dall’età, il prossimo anno abbiano come obiettivo non tanto difendere quello che hanno fatto fino adesso – che quello comunque rimane, ed è comunque positivo – ma fare la migliore stagione. La migliore stagione possibile, la migliore stagione della loro carriera. Non è ancora arrivato il momento di accontentarsi e di gestirsi, è il momento di raggiungere l’obiettivo migliore, anche se hai trent’anni, anche se non sei vecchio, anche se ne hai ventidue e vuoi scalare delle posizioni. Questo deve essere un po’ lo spirito. Se riusciamo a mettere tutto questo, abbiamo più chance. Parto da una base fortunata che è quella che ha fatto Claudio e che è stata la dimostrazione. È stata la dimostrazione di come gli stessi giocatori abbiano avuto un cambiamento di prestazione e di risultati se subentrano quei valori. Quelli sono i valori veri che ti permettono poi di raggiungere dei traguardi. Sennò il resto è solamente difendere le posizioni e questo non è sufficiente».

In che posizione vede Pellegrini e Soulé?
«Pellegrini è un giocatore infortunato, ma il discorso vale per lui, vale per gli altri. Devono avere lo spirito e la mentalità di fare la migliore stagione. A voi piace Pellegrini quello che cacciava, che entrava, che faceva gol? Magari vi piaceva meno Pellegrini in difficoltà. Soulé è un giocatore offensivo. I giocatori offensivi devono fare gol, fare assist, prendersi rigori, fare un’annata importante con i nostri giocatori d’attacco. Oggi nel calcio moderno si attacca e si difende. Oggi nel calcio moderno conta essere squadra. Quello che stiamo vedendo del PSG è straordinario. Ha perso Messi, Mbappé, Neymar. Ha raggiunto traguardi che non aveva mai raggiunto nella sua vita. Anche con dei ragazzi forti, molto selezionati. Credo che il calcio sia questo. Il Napoli che ha vinto lo Scudetto ha vinto da squadra. Magari ci poteva essere una squadra anche più forte o meno, però è stata una squadra. E così gli esempi migliori. La Roma stessa è stata una squadra. Questi sono i principi. Non ce ne sono altri. Oggi il calcio cambia, cambia a una velocità che non ce ne accorgiamo. Bisogna saper fare tutto e andare forte. Quando vai a destra vanno forti. Il calcio italiano, se ha qualche problema, è che sono tanti anni che non vincevamo. L’Atalanta ha vinto un’Europa League dopo 25 anni che una squadra italiana non la vinceva. È un brutto segnale. A parte la Conference della Roma. Dal 2011 non riusciamo in Italia a vincere una Champions. Forse dobbiamo toglierci un po’ di luoghi comuni e cominciare a vedere le cose anche in un’altra ottica. Perché quello che funziona è altro. E quindi dobbiamo andare in quella strada lì, secondo me».

C'è stato veramente un inserimento della Juventus?
«Sì, però ho avuto la sensazione che questa fosse la strada giusta. Al di là di tutti i rischi che continuamente mi vengono elencati, io ho pensato che veramente questa potesse essere, per la mia carriera, ma anche per il mio modo di esprimermi, per il mio modo di fare calcio e per la possibilità di incidere, doveva essere e poteva essere la situazione giusta, fantastica da poter percorrere. E quindi ho ragionato su questo. Ho messo davanti questa situazione: sì, va bene, è quello che cerco, è quello di cui ho bisogno in questo momento. E ho la convinzione forte di aver fatto la scelta giusta».

Lei è stato l'iniziatore di un tipo di gioco suo, con cui ha ottenuto grandi risultati. Qui è arrivato Juric e non è andato bene, ha capito quali sono stati i problemi? 
«La mia esperienza è diversa, anche se con Juric abbiamo condiviso tanti anni: da giocatore e lui da allenatore, e poi anche un periodo con lui come vice. Però sono passati anche parecchi anni. Nel frattempo le esperienze sono state diverse. Quello che è vero è che il mio modo di vedere il calcio – ma anche questo negli anni si è evoluto molto – si basa su due aspetti. Uno: se vuoi aspettare la squadra che perda palla. Due: se vuoi andarla a conquistare. E su questo ci giochi, ma sono validi tutti quanti. Non è che ho visto squadre vincere e perdere giocando sistemi diversi. Quindi, quella che è la mia caratteristica è che stare senza palla mi dà un po’ fastidio. Preferisco averla io, ma non sempre è possibile, dipende contro chi giochi. E quindi devi sapere fare un po’ di tutto. Se mi chiedi qual è la cosa ideale, è avere la palla noi e andarla a prendere alta. Però nel calcio devi sapere fare un po’ di tutto e per me è stato un motivo vincente, sicuramente. Però adesso lo fanno in tanti. Ci sono dei grandi cambiamenti anche nel calcio e devi avere una grande duttilità. E quindi il calcio si evolve sempre. Juric? Non posso sapere, chiaramente. Non posso parlare per lui, di sicuro».

Qual è il suo pregio e il suo difetto? Cosa proverà incontrando l'Atalanta da avversario?
«Per fortuna quella la incontreremo a gennaio, quindi c’è un po’ di tempo. La cosa che mi sento di attribuirmi è che lavoro, e che mi piace lavorare, e mi piace. Mi piace lavorare in campo, mi piace quando magari fai qualcosa che poi te la vedi nel giocatore, te la vedi in campo, te la vedi nella proposta. Mi piace convincere i giocatori. Non ho mai imposto niente ai giocatori, ho sempre cercato di convincerli. Molti risultati che ho ottenuto sono dovuti al fatto che loro hanno tratto giovamento da questo, e quindi hanno fatto poi – e il merito è stato sicuramente loro – dei risultati e delle prestazioni. Difetti? Faccio fatica. Forse me ne prendo troppe volte, ma non penso sia un difetto neanche questo (ride, ndr)».

Come pensa di organizzare la preparazione?
«Non ho mai fatto un gradone in vita mia (ride, ndr)! Quando giocavamo al Palermo, Zeman era alla Primavera del Palermo e noi facevamo un mega torello a centrocampo sempre, e i ragazzini della Primavera si giocavano i gradoni. Allora, anche su questo: intanto non è morto nessuno. Intanto credo che, come ho detto prima, per noi è importante che i giocatori si divertano e trovino il loro benessere, così come chi va in campo. Abbiamo la fortuna, tutte le mattine, di svegliarci e fare il mestiere che più ci piace, quello che facevamo da ragazzi. E in più lo fai anche con la Roma, e quindi ti devi sentire molto fortunato. L’allenamento è fondamentale, è un allenamento importante. È importante per tutte le professioni migliorarsi, e l’allenamento è fatto in funzione di: uno, stare bene; due, cercare di migliorare la tua prestazione. Non può essere un problema allenarsi, deve essere anche un divertimento, perché il gioco del calcio è essenzialmente divertente. Sono d’accordo su quello che si diceva prima, forse anche sull’esempio di Pellegrini: se non sorridi, non puoi giocare bene a calcio. Io la vedo come un brasiliano in questo. Un brasiliano triste non può giocare a calcio. E quindi anche un calciatore deve avere sempre un bello spirito. Probabilmente è così in tutto lo sport. Bisogna avere un bel clima di lavoro, di crescita l’uno con l’altro, di trasmettersi a vicenda le migliori situazioni per potersi migliorare. È finalizzato a questo il mio lavoro, non ci sono altre cose. Deve esserci anche un bel clima, non può mai essere un clima teso. Deve essere sempre un clima in cui, quando vai a giocare, ci sono sempre avversari molto difficili da superare. Gli avversari sono quelli fuori, non quelli dentro. E bisogna arrivare sempre con un bello spirito, perché i risultati da ottenere si fanno con molta fatica e sono difficili, e tutti quanti sono ben armati».