Roma TV - Capello: "La trattativa per allenare la Roma fu brevissima. Era necessario un attaccante come Batistuta per vincere lo scudetto. Non servì preparare Roma-Parma”
Nell'anniversario del terzo scudetto giallorosso, risalente ormai a 18 anni fa, Roma TV ha pubblicato uno speciale con protagonista Fabio Capello, allenatore del tricolore. Ecco le sue parole:
“La città di Pieris? Ricordo le giornate passate con i miei compagni di scuola, con il sole e con il vento, mi fanno sentire a casa. Avevo una casa piccola, mia sorella dormiva dagli zii, mi regalavano un vestito ogni 4 anni. Mio padre Guerino era un appassionato di calcio, aveva giocato in Serie C, voleva insegnare ai giovani ma viveva per il calcio. Era diventato presidente del Pieris, aveva grande passione nell’insegnare tecnica, voleva gente che sapesse calciare il pallone, avevamo una bellissima squadra. Allora avevo 14 anni e non vivevamo nell’oro, poi mi chiamò il Milan ma mio padre aveva già dato la parola alla SPAL".
"SPAL? Non avevamo il telefono a casa a Ferrara, avevo delle difficoltà. Mio padre capii e mi raggiunse a Ferrara, anziché sgridarmi venne da me a rincuorarmi. Prendevo l'autobus per andare in centro, abitavo insieme a Edy Reja, ci accolsero due signore in casa come figli. A Ferrara ho conosciuto mia moglie sull'autobus, sto insieme a lei da 49 anni".
"Roma? Il presidente della SPAL aveva problemi economici e decise di mettermi sul mercato, prima le società spostavano i calciatori dove volevano loro, non è come oggi che si sa tutto. Fu piacevole per me sapere che sarei andato a Roma, fece tutto il ds Cruciani, mi prese alla stazione e mi fece conoscere la Capitale. Giocai 11 partite il primo anno, vincemmo a Torino con un mio gol e fu molto importante. Andammo in testa alla classifica e all'epoca non era normale, devo ringraziare il mister Oronzo Pugliese. Purtroppo mi infortunai e fui operato al ginocchio. Mi curò il professor Rampoldi che mi consigliò di avere sempre la muscolatura al massimo se avessi voluto continuare a giocare. All'epoca non c'era tutta la fisioterapia di oggi, mi fece camminare in acqua".
"Herrera? C'è sempre stato un grande rapporto di fiducia con lui, fui una sorta di braccio destro per lui. Era un allenatore che era avanti rispetto all'epoca, tipo gli schemi senza avversario o giocare sempre la palla velocemente. Non ci si può allenare al 60% e pensare di andare a 100 all'ora. Ci si allenava un'ora sola ma al massimo, poi tutti a casa ma voleva vedere i frutti in campo. Le cose fatte lente non gli piacevano, ti cambiava".
"Taccola? Furono dette tante cose, noi arrivammo a Cagliari un giorno prima e andava tutto bene. La sera ebbe la febbre e ci dissero che non avrebbe potuto giocare. Durante il match, gli fecero un'iniezione ma si sentì subito male: fu fatto il massaggio cardiaco, la respirazione bocca a bocca, si fece di tutto ma il dottore era pessimista. Mi vengono ancora i brividi a pensare che un amico se ne sia andato in questa maniera, con il defribillatore si sarebbe salvato".
"Coppa Italia? All'epoca era un torneo all'italiana, vincemmo quasi tutte le partite, eravamo scatenati. Fu veramente giocare quelle partite con tanta voglia, fu bello vincere il trofeo. La beffa col Gornik? Segnammo ai supplementari ma non valeva, giocammo con lo Strasburgo, andammo ai supplementari ma fummo poi eliminati dalla monetina famosa".
"Juventus? Non sarei voluto andare a Torino. Ebbi la febbre un giorno e mi avvisarono che fui ceduto alla Juventus insieme a Spinosi. I primi tre mesi ebbi difficoltà alla Juventus, Agnelli pensava che pensassi ancora alla Roma. Da lì, le cose cambiarono".
"Milan? Successivamente andai ai rossoneri. Fu un periodo molto bello con Liedholm, vincemmo lo scudetto della stella, si inseguiva da tanto tempo. Liedholm mi ha insegnato che ci voleva calma, metteva tutto sul piano del dialogo ma in effetti si faceva quello che chiedeva lui, è stato l'allenatore che ho visto mettere le mani addosso a un giocatore che si era comportato male, lui pretendeva il rispetto e queste cose non le accettava. Magari uno della Prima Squadra faceva un'entrataccia su uno della Primavera e lui se la prendeva a muso duro".
"Al Milan da allenatore? Berlusconi mi chiamò e gli chiesi di tenere lo stesso Liedholm, per rispetto non volevo si esonerasse. Di questa cosa mi sento orgoglioso perché il rispetto è fondamentale. Poi il Milan prese Sacchi e diventai responsabile giovanili, feci diversi corsi per migliorare le mie conoscenze, ho fatto delle full immersion, Berlusconi voleva arricchirmi. Dopo il periodo di Sacchi, mi propose di rientrare nel giro. Il primo discorso che feci al Milan era che si doveva lavorare, si doveva smentire ciò che si era detto. Ho avuto la fortuna di allenare tanti campioni come van Basten, che giocò per sfortuna poche partite. Ad aprile Galliani mi chiese di parlare del contratto, ma io gli dissi che se avessi vinto me ne sarei andato, perché ero in scadenza. Gli dissi che se non avevano capito cosa valevo dopo 5 anni era inutile che fossi rimasto. E andai al Real Madrid".
"Al Real fu una stagione fantastica, purtroppo non rinnovarono il contratto a Luis Enrique, ottimo giocatore, che passò al Barcellona. Fu testa a testa fino alla fine, ma riuscimmo a vincere con una giornata d'anticipo. Mi richiamò poi Berlusconi e non potei rifiutare. Trovai una squadra fatta di giocatori che non mi convincevano. Fu infatti una stagione bruttissima e a fine anno rescindemmo il contratto, e finì così la mia esperienza rossonera".
"All'aeroporto incontrai il presidente del Perugia Garucci, che mi disse di chiamare il presidente Sensi, e mi diede il numero di telefono. Lui mi chiese di andarlo a trovare, mi fece guardare quello che diceva Zeman e io dissi che per migliorare quella squadra si doveva prendere giocatori da Milan, Inter, Juve, ma non era facile. La squadra era competitiva, mi piaceva. Così Sensi mi disse di mandargli il giorno dopo il mio avvocato, e la trattativa si concluse così. Parlai con la società e dissi che non avrei parlato con le radio romane, solo con quelle nazionali. Fu una decisione importante, la radio romane influenzano il tifo, e le loro bombe d'acqua arrivano fino ai tifosi. Bisognava fare una rivoluzione, non solo tra i calciatori. Sensi mi fece vedere Trigoria, era ancora come l'aveva creata Viola. Spostai le abitazioni dei ragazzi della prima squadra, loro non volevano perché erano più lontani dallo spogliatoio. Con me ci doveva essere rispetto, non tolleravo nulla. Non si può essere presuntuosi solo perché si è privilegiati. Questo era un mio principio. Una delle cose che mi è sempre piaciuta e ho copiato dal Manchester United, è che i Red Devils arrivavano sempre in divisa. È un senso di appartenenza. Non accetto che si arrivi in tuta al campo. La squadra il primo anno fece abbastanza bene, ma per vincere lo scudetto ci voleva un giocatore che garantisse un certo numero di gol, e acquistammo Batistuta. Aveva qualche problema, soprattutto al ginocchio, lo curammo e vincemmo lo scudetto. Batistuta? Si fermava a calciare alla fine degli allenamenti, urlava "gol" ancora prima di toccare la palla. Tirava veramente forte. Delvecchio? Un giocatore di buone qualità tecniche, grande voglia di sacrificarsi, tatticamente valido. Era un giocatore di equilibrio. Molte volte ripiegava lui a centrocampo perché davanti c'erano Totti, Batistuta, Montella, e magari Cafù che spingeva. La sconfitta con il Milan? I ragazzi erano abbattuti, ma io dissi che avevamo fatto una grande partita. E li mi sbilanciai: dissi che avremmo vinto lo scudetto. Giocare a San Siro non è mai facile, è lo stadio più difficile emotivamente. Ma vedere una squadra giocare in quel modo in quello stadio, poteva essere solo un buon auspicio. Samuel? Giocatore formidabile, lui e Aldair sono stati i difensori più forti che ho mai allenato. Juventus-Roma? Ho preparato la partita nei minimi dettagli, ho fatto vedere tantissimi video. Avevo avvertito i ragazzi sui movimenti di Zidane, ma passarono 10' e da un suo cross arrivò il loro gol. Passarono altri 10 minuti e 2-0. Questo per dire che si può spiegare quanto si vuole, ma poi si deve andare in campo. Totti era in giornata "no", decisi di inserire Nakata e fece gol. Poi misi anche Montella, che segnò. Sono stato elogiato tanto, ma con un altro risultato sarebbe stato tutto diverso. Terzini? Candela a livello tecnico era un centrocampista, formidabile. Cafù anche era tecnico, uno dei più forti al mondo. Roma-Parma? Non serviva prepararla, serviva andare in campo e vincere. Se non capisci che sei arrivato a tagliare il traguardo dopo tanta fatica, non tagliarlo sarebbe stato da stupidi. Abbiamo rischiato di perdere il campionato per l'invasione, se anche un tifoso qualsiasi avesse provato a toccare un giocatore del Parma rischiavamo di buttare all'aria tutto. In campo ero una belva. Totti? Un rapporto di amicizia, ammirazione. Ai tempi era ancora giovane, volevo che si esprimesse al meglio e non si accontentasse, con la qualità che ha. Qualità superiore a tutti, forse solo Cassano poteva eguagliarlo, ma le teste erano differenti. Franco Sensi? Raporto di stima e convinzione con lui. Tutte le scelte erano condivise, non ci fu mai un capriccio da nessuna parte. Furono 5 anni bellissimi, se non si rema tutti dalla stesa parte non si conclude nulla. Parlo anche dello staff. Il problema della Roma è che si continua a far festa, si continua a parlare della vittoria. A Torino, Milano, Madrid, se vinci hai fatto il tuo. Non c'è quella rabbia continua e quella concentrazione per raggiungere gli obiettivi. Magari contro le altre big si fanno grandi partite e si vince perché la squadra c'è, poi si perdono punti con le piccole. L'anno successivo perdemmo il campionato per un fallo non fischiato, a Venezia, quello di Maniero su Aldair in mezzo al campo. Anche in quel caso fui furioso".
"Non avevo nessuna intenzione di andare ad allenare alla Juventus, ero convinto ancora che la Roma potesse dare qualche cosa. Ma sentii di essere arrivato a fine corsa, tornavo a casa non contento. Dopo 5 anni un allenatore è ripetitivo, anche se cerca di cambiare qualcosa. Allora mi chiamò il giornalista Tosatti, e mi chiese se fossi interessato alla Juventus. Io dissi che se ne poteva parlare, e ci andai. Fu Tosatti il trait d'union con la Juve".
"L'esperienza con l'Inghilterra? Fu fantastica, ci lasciammo per John Terry, ci eravamo qualificati per gli Europei. Accadde che il Board decise che Terry non poteva più essere il capitano della Nazionale, ma nel contratto c'era scritto che il capitano veniva scelto solo dal manager. Il ruolo del capitano in Inghilterra è importantissimo a differenza dell'Italia, è un punto di riferimento, quando parla gli altri ascoltano. Per la questione sul fratello di Rio Ferdinand, di razzismo, il tribunale aveva fissato l'udienza per il 7 di luglio, ma facendo ciò venne già giudicato colpevole, e io avrei dovuto toglierli la fascia. Non potei accettare questa cosa, considerarlo colpevole. La federazione voleva andare contro il contratto, e ci salutammo. È stato un peccato, mi piaceva".
"Bella l'esperienza anche con la Russia, ma anche la più difficile, soprattutto per la comunicazione. Avevo il traduttore, ma non era la stessa cosa. Non trasmetti ai giocatori ciò che vorresti".
"Il calcio è lo sport che mi è venuto più naturale, mi ha dato grande soddisfazione. È tutto quanto, è la vita. Ho fatto il calciatore, l'allenatore, il telecronista, ma voglio essere una persona normale, andare in giro ed essere come gli altri. La normalità mi è sempre piaciuta".