Fienga: "Non permettere la costruzione di un nuovo stadio significa tagliare le gambe a una società"

30.10.2020 08:29 di Gabriele Chiocchio Twitter:    vedi letture
Fienga: "Non permettere la costruzione di un nuovo stadio significa tagliare le gambe a una società"
Vocegiallorossa.it

Il CEO della Roma Guido Fienga, è stato ospite di SportLab per i 75 anni di Corriere dello Sport e Tuttosport. Ecco le sue parole.

Si va verso l'ingresso dei fondi e della divisione della distribuzione e della creazione dei contenuti?
"Sì, non è una divisione netta senza possibilità di sincronia, è più un effetto di quello che succederà. L'ingresso dei fondi sta accelerando un processo che l'impatto negativo del virus sta rendendo solo più urgente. La trasformazione dell'industria della distribuzione dei contenuti è partita mesi fa. Si utilizzano piattaforme che hanno contenuti totalmente diversi. Sky sta diventando una piattaforma d'accesso più che un ideatore di contenuti. Ci sono investimenti enormi da fare ma anche una modifica delle richieste dei consumatori. Il nuovo modello servirebbe a stabilizzare i flussi per le società".

Il prodotto calcio va spezzettato in forme nuove, la competenza dei fondi in questo è utile?
"Ovviamente sì, poi i fondi acquistano competenze. La capacità è quella di aggregare contenuto esclusive, competenze in settori limitrofi e competenze tecnologiche. Con l'introduzione del 5G i modelli di broadcasting classici verranno meno. La partita in senso pratico andrà ad attivare una serie di altri servizi accessibili semplicemente tramite un device".

I fondi portano liquidi, competenze e forse infrastrutture: non pretenderanno di comandare?
"Sui valori ancora non mi voglio spingere perché c'è una negoziazione in corso. Certamente stiamo facendo la scelta di un partner non solo perché porta dei soldi, ma anche perché porta un know how. Altrimenti saremmo andati da una banca, da un finanziatore. Io lo vedo come un arricchimento, stiamo parlando di un ingresso con percentuale di minoranza e questo perché si riconoscono a questi fondi competenze che oggi non ci sono, per fare qualcosa di diverso rispetto a quanto visto finora. Detto ciò c'è una negoziazione, l'idea è buona ma ora bisogna vedere".

Sui nuovi stadi.
“Non voglio entrare nel terreno scivoloso della politica. Il covid ha dimostrato che il calcio senza pubblico è un altro sport, ed è uno sport decisamente più brutto. Il pubblico ci vuole, la cornice è funzionale lo spettacolo. Lo stadio non è semplicemente un contenitore di pubblico, ma è un attivatore di business che serve alla società per crescere. Se vedete le top 20 squadre europee, quelle che hanno dimostrato una crescita sono quelle con gli stadi di proprietà. Non facilitare la costruzione di un impianto a una società significa tagliargli le gambe. Non ci sorprendiamo che una squadra che ambisce a stare nel primo gruppo di squadre sta nel secondo o nel terzo. Se vediamo l’evoluzione delle competizione, l’agibilità degli stadi è uno dei fattori considerato per stare nelle competizioni. Lo stadio non è un vezzo, è come dire che chi produce auto o biscotti non può costruire la propria fabbrica. Detto questo, è ovvio che la costruzione di uno stadio sostenibile debba rispondere a una serie di requisiti. Il Credito Sportivo sta facendo un’opera encomiabile, è sempre a sostegno. Se l’opera è sostenibile, si trova altra finanza e si attivano i flussi per ripagarla. Ma è un flusso che deve avvenire in tempi accettabili, sapere che un’opera forse viene completata dopo 12-13 mette in crisi qualsiasi investitore. Abbiamo sempre rispettato il lavoro delle istituzioni, riteniamo che se avessimo avuto uno stadio in gestione, di proprietà sarebbe stato meglio, perché la Roma dispone dell’Olimpico due giorni ogni 15, come le persone che si affittano in campo. Non possiamo gestire business collaterali, aprire negozi e musei, su cui altre squadre sviluppano quote di fatturato. Tutto questo per noi è 0 e lo sarà finché non potremo gestire un nostro stadio. È il senso d’angoscia che ci portiamo dentro, competiamo con concorrenti senza la possibilità di poter usare tutti i pezzi degli altri”.

Questa pandemia sarà un fattore di trasformazione o i danni che ha prodotto sono insormontabili?
“Penso che per un periodo sia salutare che ci sia un riassetto dei valori, perché ci sta uno storno di ricavi. Tutto il sistema sta perdendo ricavi ed è corretto che si faccia un efficientamento di costi. Non è avvenuto in tutti i settori, la riduzione dei trasferimenti è il primo grosso segnale. Se ne esce se tutti si riposizionano verso il basso, se non si ridistribuisce la perdita su tutta la catena, il sistema si rompe per forza. Io credo che tutte le discontinuità sociali portano a un rinnovamento. Il calcio ha una virtù che è quasi unica, abbina la capacità di attrarre investimenti con quella di generare sentimenti positivi ed è l’unica industria che ha un forte radicamento locale pur attraendo investimenti esteri. Se viene capito che il calcio e le squadre di calcio sono uno dei più grossi acceleratori di ripresa, allora forse appare più chiaro perché vada sostenuta la capacità di investire negli stadi, di programmare stagioni fattibili e lavorare insieme, nonostante i vincoli dati dal virus. Ne vedo poche di industry che hanno questa capacità”.