Revolution #9

23.05.2019 19:45 di  Luca d'Alessandro  Twitter:    vedi letture
Fonte: L'editoriale di Luca d'Alessandro
Revolution #9

Siamo ormai agli sgoccioli di questa lunga, intensa, deludente (accetasi miracoli domenica) stagione. L'ultimo atto sarà l'addio di Daniele De Rossi, capitano, giocatore, tifoso della Roma. Dopodiché andrà in scena una rivoluzione. "Tu dici che vuoi una rivoluzione, bene, tutti vogliamo cambiare il mondo. Mi parli dici che si tratti di un'evoluzione, bene, tutti vogliamo cambiare il mondo". Il la, in tutti i sensi, lo dà l'attualità del mondo giallorosso. Da tempo, da quando il club è diventato internazionale, sia per proprietà, anche per gestione multicontinentale, si è cercato di attuare di cambiare la forma mentis legata a un'abitudine romantico-storica di una squadra dai tratti ben marcati, considerati spesso limitanti per essere ai massimi livelli mondiali stabilmente. È di 8 anni fa l'avvento, considerato come una liberazione dai molti tifosi giallorossi, sognatori di una squadra fatta più di stelle che di strisce. Il ritorno di Baldini, eroe romanista, considerato una garanzia di successo. Con lui dentro Luis Enrique, tatticamente il nuovo che avanzava, l'hombre vertical, capace di mettere in panchina De Rossi per qualche minuto di ritardo a una riunione tecnica. Una rivoluzione troppo progressista. Meglio ritornare al "4-3-3, sbrocco per te" Bohemien, dove Tachtsidīs era più funzionale di DDR. Finì anche quella volta il 26 maggio e non serve ricordare altro. Vivre la révolution! Arriva Garcia, il suo modo di vedere il calcio, le sue frasi a effetto, le 10 vittorie consecutive. Dai è fatta, finalmente si è presa la retta via. Non serve il record di punti storico della società. La rivoluzione diventa consuetudine, fino a marcire nel rapporto tra squadra-tecnico-dirigenza. Rivoluzione bis. Un passo avanti, uno indietro, ritorna Spalletti. La prassi è la stessa: foto propaganda dagli USA, frasi da romanista, il know-how di chi conosce l'ambiente (che si vuole rivoluzionare) e via in campo. A fare bene, quasi benissimo. Finché la rivoluzione non passa per il cuore della gente: Francesco Totti. Questa volta si tratta di una vera e propria fine di un'era, ma la Roma viene prima di tutto e Totti. Senza "il peso ingombrante" nello spogliatio ecco che finalmente la squadra può spiccare il salto. Invece no e... avete indovinato? Vive la revolución, si torna in Spagna. Nel mentre è successo che il metodo old stlye Sabatiniano bisogna evolverlo nello scouting da big data per portare in rosa giocatori mirati, funzionali. Un mix di modernità più quel pizzico di romanismo dato dal ritorno di Di Francesco dovrebbe far faville. Così è, anche questa volta. La Roma sogna, la gente con lei, il presidente si tuffa nella fontana di Piazza del Popolo dalla gioia. Sembra tutto così bello, troppo, non ci si è abituati. Un nuovo punto di partenza, gli introiti Champions, quelli dagli sponsor, la crescita del brand, del merchandising, il nuovo Stadio. Un calciomercato dopo, una stagione dopo si è tornati al punto di partenza. Via AD, DS, allenatore, capitano, medico (con modalità discutibili per modi e tempistica). Rivoluzione! "Dici che hai una vera soluzione, beh, sai, non aspettiamo altro che vedere il piano".