La Roma è piatta
“Si vince tutti e si perde tutti”: il classico artifizio retorico per evitare di spartire responsabilità di risultati non positivi è senz’altro applicabile alla Roma, che domenica è uscita sconfitta da un derby in cui è risultato difficile - eufemismo - trovare protagonisti positivi di una sfida brutta da entrambe le parti, ma dalla quale i giallorossi sono usciti con zero punti, aspetto che è l’unico che conta, e che è ancor più l’unico che conta se in panchina c’è José Mourinho.
Con il portoghese è inutile aspettarsi un gioco collettivo brillante o esteticamente appagante e questo, dopo quasi una stagione e mezza, dovrebbe essere un fatto radicato nelle menti di tifosi, appassionati e addetti ai lavori. Presenza nella partita, unità di squadra e forza fisica sono la benzina che serve per attivare quei singoli che sono la chiave del calcio di Mourinho e che fino adesso - numeri alla mano - hanno comunque garantito un certo rendimento, al di là, ovviamente, delle carenze in fase realizzativa, senz’altro principale motivo di una classifica meno lusinghiera di quanto sarebbe potuta essere.
Questi singoli contro la Lazio hanno tutti deluso, mantenendo - parlando di alcuni - un trend che si trascina da diverse partite. È chiaro il riferimento a Tammy Abraham, che non solo segna col contagocce, ma è lontano parente anche di quel giocatore che, pur non andando in gol, infastidiva - altro eufemismo - le difese avversarie al punto di creare enormi spazi per i compagni. Poi c’è Pellegrini, che giocava sul dolore da parecchio tempo e che è andato KO e infine Zaniolo, che con due interessanti prestazioni consecutive contro Verona e Ludogorets sembrava aver imboccato la via giusta e che invece contro la Lazio ha mostrato tanto impegno e quasi nulla più.
Messa così sembra che l'assunto iniziale non sia poi così aderente alla situazione, ma se da Mourinho non dobbiamo aspettarci un gioco appagante, è lecito attendersi che i singoli su cui punta siano il più possibile tirati a lucido; e se questo non accade non si possono non dare responsabilità anche al portoghese, specie se - giustamente - in passato gli sono stati dati meriti proprio per questo. Ma oggi nessun calciatore della Roma è migliore della sua versione della scorsa stagione e il mercato, che doveva marcare la differenza, è stato momentaneamente cancellato dagli infortuni, anche se pure qui si può aprire un tavolo di discussione: si pensava, per esempio, che Matic potesse rappresentare un upgrade rispetto a Mkhitaryan versione mediano, ma la qualità di gioco che l'armeno, benché fuori ruolo, metteva in campo resta al momento superiore a quella di tutti i possibili interpreti di quel ruolo.
Il totale fa una Roma che veleggia nelle stesse posizioni di classifica di un anno fa, che in Europa ha trascinato un girone alla portata fino all'ultima giornata (rischiando grosso contro il Ludogorets nell'ultima partita) e che negli scontri diretti, per un motivo o per l'altro, continua a faticare esattamente come faceva in passato. La curva di apprendimento della Roma resta piatta, un po' come il gioco collettivo e le prestazioni dei singoli. Non certo un motivo di gioia, ma, alla fine della fiera, neanche di eccessiva preoccupazione: evidentemente, semplicemente, la Roma è questa qui. Piatta.