AS Roma Calcio a 5, Forte: "Auguro alla squadra attuale di rinverdire gli allori di 40 anni fa, ribaltando ogni pronostico"

19.11.2023 01:00 di  Marco Rossi Mercanti  Twitter:    vedi letture
AS Roma Calcio a 5, Forte: "Auguro alla squadra attuale di rinverdire gli allori di 40 anni fa, ribaltando ogni pronostico"
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L'AS Roma Calcio a 5 ha intervistato Gianpiero Forte, ex allenatore che vinse il 1° scudetto con la società. Ecco le sue parole:

Cosa puoi raccontarci del primo storico scudetto?
«Potrebbe non bastare un’intera trasmissione. È uno di quei meravigliosi sogni che solo l'AS Roma sa regalare alla sua gente. Noi partimmo con il povero Franco Astrologo che non c’è più, che era in contatto con l’Avvocato Ettore Viola, che ne era il presidente. Diede incarico a Franco, che era suo amico, anche se era di fede laziale, ma questo da una parte rende tutto ancora più bello, di organizzare questa squadra, perché il padre, il Senatore Viola, che era lungimirante, un uomo unico che poi ho conosciuto personalmente. Ho dei ricordi bellissimi di lui mentre camminiamo insieme a Trigoria, con lui che mi chiede “Come va la squadra? Quali rinforzi dobbiamo prendere”. Una cosa incredibile, perché lui combatteva per la Champions League, ma si interessava anche al calcio a 5 perché gli avevamo dato questa grande soddisfazione: pronti e via, subito il primo scudetto organizzato dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio. Ci fu la televisione, venne il presidente della Lega Nazionale Dilettanti Ricchieri, c’era il Senatore Viola e tanti altri. Riprendendo il discorso tecnico, all’epoca io ero ancora calciatore, ma mi chiamò Astrologo e mi disse: “Devi mettere da parte gli scarpini e organizzare una squadra che rappresenti la AS Roma”. Capirai: io sono un tifoso romanista dalla nascita, la mia appartenenza ai colori giallorossi risale a un Roma-Napoli 8-0 con quattro gol di Da Costa, me lo ricorderò tutta la vita. Ero bambino, papà era tifoso del Napoli, mi portò all’Olimpico, io fui fulminato sulla strada di Damasco da questo centravanti, ruolo che poi ho ricoperto nella mia carriera. Da lì è nato il mio amore per questi colori. Presi questo incarico con grandissimo entusiasmo e grandissima passione. Erano rimasti due giocatori, che poi furono tra i più forti, infatti nominai uno capitano e uno vice. Erano gli ultimi rimasti di questa squadra che aveva avuto delle traversie ed erano Filippini e Albanesi, tutti e due finiti in Nazionale, anche al lavoro che poi facemmo come squadra e come società».

Fra i giocatori che conquistarono il primo scudetto, chi era il più talentuoso o colui che fece la differenza?
«Allora, il più talentuoso è facile dirlo, anche perché fu una mia scoperta. Viveva e giocava a Gaeta, giocava con me nel Calcio Gaeta quando abbiamo vinto il campionato Promozione: si chiama Mario Caneschi, recentemente inserito nella Hall of Fame del futsal italiano. Facile dire Mario Caneschi: non aveva nessuna esperienza nel calcetto, ma lo avevo visto sul campo di calcio e pensavo ne avesse le caratteristiche. Mi coordinai per farlo venire a Roma: non tanto per gli allenamenti a Trigoria, quanto per le partite. E lui è stato la marcia in più per tre anni, poi andò a giocare nell’Aniene. Partimmo con questo gioiello e con i due giocatori citati prima. Con tre giocatori non si andava da nessuna parte, pensai di rivolgermi a quei giocatori di calcio a 5 che conoscevamo ed erano di fede giallorossa. Il minimo comune denominatore multiplo per poter fare subito risultati era avere giocatori tifosi della Roma».

Quindi tutta la formazione era formata da tifosi della Roma?
«Tutti. La scelta venne fatta sulle conoscenze che avevamo dell’appartenenza al tifo giallorosso. Io ragionai pensando che facendo indossare la casacca giallorossa a questi calcettari, loro daranno il “fritto”, daranno tutto, e così è stato».

Hai un aneddoto divertente da raccontare?
«La chicca più bella è questa. Io presi un giocatore che non era un fenomeno: si chiama Massimo Ronconi, dopo ha allenato il Perugia vincendo lo scudetto con il figlio di Gaucci. Comunque sia, stavamo preparando le Final Four al Foro Italico, lo riempimmo ogni sera. Ci allenavamo alle 3 del pomeriggio, quando si moriva di caldo. Allenandosi alle 3, questi ragazzi soffrivano, ma con questa maglia addosso erano disposti a tutto. Volevo allenamenti durissimi perché più erano duri gli allenamenti più sarebbe stata un sollievo la partita, per il pubblico, per il fresco e per tante altre cose. Io dicevo sempre: “La formazione la farete voi durante gli allenamenti. Chi sopravvive agli allenamenti andrà poi in campo”. Presero un po’ troppa alla lettere questo mio incipit e uno dei miei giocatori, non ricordo chi, spaccò tibia e perone a Ronconi, prima delle Final Four e a ridosso di quel 30 giugno, data della finale di Coppa Campioni a Roma, alla quale non avevamo diritto a partecipare. Fu un momento di grande dispiacere per tutti. Io dissi: “Cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno: avrai la soddisfazione di stare in tribuna a vedere la finale di Coppa Campioni con tutto lo staff”. Lui rispose: “A me dispiace non essere in campo con questa maglia per le finali nazionali”. A me, allora, scappò una promessa: “Ci vogliono minimo 30 giorni, ma mi devi fare una cortesia. Devi cercare di accelerare il recupero e io ti garantisco che, anche zoppo, ti faccio entrare in campo per 5 maledetti minuti. Ti do la mia parola d’onore: tu scenderai in campo con la tua maglietta della Roma di fronte a 5000 persone”. Contro l’Aniene, dopo due vittorie, eravamo già qualificati, loro già fuori. Negli ultimi cinque minuti mantenni la promessa: lui entrò, zoppicando, sorprendendo tutti. Vedere questo recupero ci trascinò poi fino al tricolore».

Cosa augura all’attuale AS Roma Calcio a 5?
«Di rinverdire gli allori di 40 anni fa, vincendo alla grande contro ogni pronostico. C’era l’Aniene di Giovanni Malagò e altre grandi formazioni, tra cui l’Hobby Sport di Michele Plastino. Dopo il primo scudetto, vincemmo anche il secondo alla grandissima. Il primo fu concentrato in un breve periodo, in un mese, il secondo fu un campionato vero e proprio. Andammo in giro per l’Italia e pure lì vincemmo tutte le partite, andando a fare là finale a San Marino contro il Marino, seguito da migliaia di persone. Vincemmo 4-1, io fui costretto dall’ira dei tifosi locali a rientrare prima negli spogliatoi, ma voglio regalare due chicche. La prima è che a San Marino venne a vederci Carlo Ancelotti, che mi disse: “Io sono innamorato della Roma, sono in vacanza qui a Rimini, sapevo di questa squadra e sono venuto a vederla”. Mi vennero i brividi. La seconda chicca riguarda il terzo anno. Ci fu una scissione tra i giocatori dei primi due anni, che, unitamente ad Astrologo, presero la strada di Orte: sette-otto giocatori, tra cui i più forti, andarono all’Ortana. Tre-quattro rimasero fedelissimi alla Roma, con me. La finale al Foro Italico fu proprio tra la AS Roma Barilla e l’Ortana, in pratica una nostra costola: uno scontro fratricida. 2-2 ai tempi regolamentari, 3-3 ai supplementari, poi i rigori. Segnarono tutti, tranne il nostro nuovo portiere che avevo portato io. Il destino mi ha voltato le spalle: il portiere dell’Ortana, infatti, anche lui scelto da me due anni prima, segnò. Io non ho chiuso occhio: ho girovagato per tutta Roma come un’anima in pena, è stato il mio più grande dolore sportivo».