Fondazione Giovanni Paolo II: " impensabile continuare a dare tutte le colpe agli ultras"
«Non saranno la tessera del tifoso e la linea repressiva ad eliminare la violenza negli stadi italiani e fare pulizia di certi tifosi. A questo sciatto modello sportivo del calcio italiano sta a cuore solo che il tifoso resti tifoso, che continui a essere un consumatore acritico del mito eroico dello sport. È facile capire come in tutto ciò la dimensione educativa sia assente». Queste le parole di Edio Costantini, presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport: «Tifoso -prosegue Costantini- è anche chi ha sempre creduto nello sport e vuole continuare ad andare allo stadio con la famiglia e non deve essere costretto a chiedere la tessera per schedare se stesso e la famiglia con due mesi di anticipo. Perchè mai siamo arrivati a questo punto, alla necessità di blindare gli stadi come prigioni e schedarne presso le Questure tutti i frequentatori? È impensabile continuare a dare tutte le colpe agli ultras. È invece il momento di prendere coscienza che la soluzione si gioca nella capacità di includere e non di escludere. Serve il coraggio di pensare a come ricostruire gli stadi non solo sul piano architettonico, ma anche come luoghi educativi, di incontro, di amicizia e di festa per tutte le famiglie».
«Chi invoca il pugno di ferro nei confronti dei giovani tifosi violenti -continua Costantini- tenta legittimamente di riportare la sicurezza negli stadi. Ma non ci si può fermare soltanto a questo. Buttare fuori i giovani maleducati dalle curve non impedirà che quei maleducati continuino ad essere tali nella vita quotidiana. Dobbiamo dunque decidere cos'è che vogliamo davvero: allontanare dai nostri occhi e dalle telecamere lo spettacolo triste del deficit educativo che caratterizza una certa parte della nostra gioventù, o cercare di creare le condizioni affinchè quel deficit scemi nel tempo?». «Di fronte a questo ragionamento i gestori dello sport-spettacolo solleveranno la solita obiezione: 'Educare è compito d'altri, non nostro'. Così commettono un grande errore: educare, oggi, è un affare globale, una responsabilità dell'intera collettività. Ben vengano le misure di sicurezza -conclude-, ma nella piena consapevolezza che saranno insufficienti se non sapremo regalare ai giovani un diverso approccio all'esperienza sportiva»