Di Guglielmo: "Credo che finché il calcio femminile farà notizia solo quando ottiene risultati, non sarà questa la strada giusta per farlo crescere"
 Vocegiallorossa.it
Vocegiallorossa.itL'esterno della Roma Femminile, Lucia Di Guglielmo, ha rilasciato alcune dichiarazioni a margine dell'evento svolto al Maxxi, in occasione dell'evento "Stadi. Architettura e mito". Ecco le sue parole:
Cosa possono imparare le giovani giocatrici da questa esperienza?
«Penso che fare questo tipo di esperienza nella storia del calcio femminile abbia un grande significato per loro. Hanno l'opportunità, come giovani, di affrontare le squadre più forti del mondo. Devono capire a che livello sono, cosa devono fare per migliorare e cosa possono fare quando raggiungono il loro livello. Penso che questo sia il punto di partenza per trarre vantaggio da questa esperienza. È una competizione che arricchisce perché permette anche di capire dove siamo».
Vi sentite responsabili per le nuove generazioni?
«Più che sentirlo, forse a volte sono le persone che te lo fanno sentire. Ti fanno capire che sei un'ispirazione, che hanno rispetto per quello che fai».
Qual è stato il ruolo della proprietà americana per la crescita del club?
«Conosciamo benissimo il valore del calcio femminile negli Stati Uniti e sicuramente avere una proprietà che riconosca quanto sia importante investire sul movimento per farlo crescere è un punto di partenza importante. Questo è ciò che ti mette nella condizione di poter vincere e competere. Posso dire che c’è stato un cambiamento nel livello della qualità della nostra vita quotidiana: negli allenamenti, nelle strutture – per quanto si possa ancora migliorare tanto, la strada è ancora lunga – ma avere la possibilità di giocare con calciatrici importanti, che hanno vinto e con cui condividere lo spogliatoio, credo siano passi fondamentali per la crescita di questo movimento. Sicuramente oggi ci troviamo in condizioni di comfort che in passato non avevamo. Non credo che sia l’unica strada, ma certamente è quella più veloce per raggiungere il livello che si sta vedendo in Italia».
Cosa bisogna fare per far parlare delle cose belle che fate?
«La verità è che oggi il calcio femminile fa ancora fatica a trovare spazio nei giornali, nei siti più importanti e nei media in generale. Negli anni c’è stata una mancanza di copertura a livello mediatico molto significativa. Allo stesso tempo, però, non può essere solo quello il motivo. Credo che finché il calcio femminile farà notizia solo quando ottiene risultati, non sarà questa la strada giusta per far crescere il movimento. La Nazionale, pur essendosi qualificata a competizioni importanti, non è riuscita a ottenere i risultati attesi dopo il boom del 2019. È anche vero che per coinvolgere le persone bisogna essere in grado di portarle allo stadio, e per farlo serve offrire qualcosa in più. Quando questo è accaduto, il pubblico ha risposto presente, perché le persone sono curiose e si divertono. Bisogna trovare la continuità di questa curiosità».
Sull’Europeo.
«La cosa più bella è stata sentirci in una bolla. Non credo che ci rendessimo davvero conto di quello che stavamo facendo e non abbiamo mai avuto la sensazione che fosse l’ultima partita. Il finale è stato tosto, ci sono voluti alcuni giorni per metabolizzarla e ancora oggi fa male, ma con il tempo realizzi ciò che hai fatto, le squadre a cui hai tenuto testa e il modo in cui ti sei espressa. Io ci vedo un’esperienza bellissima, che ti porti dietro e che fa sì che le squadre avversarie, quando ti affronteranno, penseranno: “Ok, stiamo affrontando l’Italia”. Per me questo è un vanto, qualcosa che ci fa crescere ancora di più. Il rispetto degli avversari è una delle soddisfazioni più grandi».
Dovrebbe essere naturale vedere le persone che vengono allo stadio.
«Magari molte persone ci vedono in TV e poi si ricredono quando vengono allo stadio, perché l’esperienza dal vivo è completamente diversa. Sicuramente, anche a livello di pubblicità e di coinvolgimento, si può fare ancora qualcosa in più. Io lo vedo con la Roma: il Tre Fontane è sempre pieno e continua a esserlo, ed è una cosa davvero bella».
Essere donna è complicato nel calcio?
«Penso che essere donna sia difficile in generale, in qualsiasi ambito lavorativo. Spesso e volentieri siamo obbligate a fare qualcosa in più per partire allo stesso livello dei colleghi. È difficile, ma credo anche che sia una questione culturale. È sbagliato essere sminuite solo perché siamo donne. Non è un limite, né qualcosa di negativo: è semplicemente un dato di fatto».
Quanto ci vorrà per vedervi giocare in uno stadio più grande?
«Dare una tempistica è impossibile. È anche vero che, quando decidi di aprire uno stadio grande, devi riuscire anche a riempirlo, altrimenti si perde un po’ l’obiettivo. A volte è più gratificante giocare in uno stadio piccolo ma pieno, dove senti tutto il calore dei tifosi, piuttosto che in uno stadio enorme ma vuoto. Al di là delle strutture, che possono essere migliori, è il coinvolgimento dei tifosi a fare davvero la differenza».
Come hai fatto a conciliare studio e sport?
«La difficoltà è stata pensare di dover scegliere. La mia prima reazione è stata quella di portare avanti lo studio. Dopo la prima convocazione in Nazionale ho pensato che avrei potuto investire sulla me calciatrice. Dopo la prima laurea ho voluto proseguire con gli studi: è stato impegnativo, ma ho avuto la fortuna di poterlo fare qui a Roma, grazie alla collaborazione con l’Università di Pisa. Ce l’ho fatta, e credo che la cosa più bella sia che, ogni volta che l’università mi dava qualche pensiero, avevo il calcio come sfogo, e viceversa».
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