TRIGORIA - Balzaretti: "Non so se e quando tornerò in campo, ma ce la metterò tutta". FOTO! VIDEO!

Dall'inviato Luca d'Alessandro
02.09.2014 15:30 di  Gabriele Chiocchio  Twitter:    vedi letture
TRIGORIA - Balzaretti: "Non so se e quando tornerò in campo, ma ce la metterò tutta". FOTO! VIDEO!
© foto di Vocegiallorossa.it

Nella Sala Conferenze del Centro Tecnico Fulvio Bernardini di Trigoria ha avuto luogo la conferenza stampa di Federico Balzaretti e del responsabile sanitario Francesco Colautti.

“Grazie per essere venuti. Questa è una conferenza che ho voluto fare per chiarire la mia situazione. Ho parlato un pochettino dei miei problemi, lo faccio per dare un messaggio alla gente. Purtroppo è successo questo problema una decina di mesi fa, ho avuto questo dolore sul pube, non avendo mai avuto un problema simile pensavo fosse una cosa passeggera, tant’è che ho giocato la partita col Sassuolo. Alla fine di quella partita lì non avevo la forza di camminare, mi son fermato. Pensavo fosse una cosa breve, l’abbiamo trattata come fosse una pubalgia. Non ci sono stati risultati, abbiamo fatto altri esami, abbiamo riscontrato questo problema alla sintesi pubica, dove ci dovrebbe essere della cartilagine che ora non c’è più. Abbiamo provato con la società e con il dottore ad andare in America, anche grazie all’intervento del presidente, l’operazione non ha dato risultati. Abbiamo fatto vari tentativi, siamo andati a Monaco di Baviera, purtroppo non è andata bene. Ora abbiamo fatto quest’ultimo intervento in Germania, doppio, che serviva per sentire meno dolore, visto che purtroppo questo problema non mi permette di correre e di fare le cose minime. In palestra riesco a fare più cose, in campo quando corro più velocemente o calcio purtroppo non riesco a reggere quelli che sono i ritmi. L’infiammazione viene in maniera importante. Alla luce di questo abbiamo visto che il problema era persistente e quindi abbiamo fatto questi esami che hanno evidenziato un piccolo peggioramento. Essendo estremamente chiaro, come ho fatto con compagni, società e presidente, purtroppo devo fare ancora dei mesi di terapia. Non sappiamo ancora quanti di preciso. Bisognerà fare delle terapie, i dottori mi hanno dato uno strumento con cui dormire la notte, con campi elettromagnetici che speriamo migliorino la situazione a livello di dolorabilità. Purtroppo mi devo fermare per non so quanti mesi, c’è la possibilità che questo dolore mi rimanga per sempre, con tutte le conseguenze. Ce la metterò tutta, voglio guarire, mi sento ancora un giocatore e proverò a guarire. È una promessa che ho fatto a tutti. È molto difficile, sono sincero, è frustrante non riuscire a fare nulla. Abbiamo provato più di tutto quello che c’era da fare, purtroppo per ora i risultati non per colpa dei dottori, non sono andati a buon fine. Proverò in ogni modo a tornare a giocare, è la cosa che più amo fare. È la mia professione, tutti sanno quanto ci tenga, quanto dia me stesso per i compagni. Mi sento in parte in colpa con i compagni, vorrei gioire e soffrire in campo con loro, per ora soffro fuori ma ci sono sempre. Ringrazio la società che mi è stata vicina e i dottori, non mi hanno fatto mai mancare niente. È sintomo che la Roma è una grandissima famiglia, ed è la cosa più importante. Mi stanno supportando a 360 gradi, sto vivendo un periodo estremamente difficile anche a livello psicologico. Venire ogni giorno con la speranza di riuscire a stare bene e non starci è frustrante. A differenza di altre patologie, questa non si sa quando e se andrà via, non ci sono tempi di recupero, non si sa se quel che si fa funzionerà. Questa è la cosa più difficile da accettare. Ho fede in me stesso, ce la metterò tutta, ho una famiglia alle spalle che mi aiuta nel quotidiano. Ai tifosi dico che non mollo, non voglio mollare, ce la metterò tutta e di più. Voglio che sappiano che non si sa né se, né quando supererò questo problema”.

Nel tuo cuore, cosa c’è quando vieni a Trigoria?
“C’è la speranza. La risonanza di mercoledì scorso è stata particolarmente traumatica. Dopo tutto questo e con carichi di lavoro particolarmente alti la situazione è peggiorata. Ho tanta speranza, stiamo facendo un’altra terapia e ho speranza che la successiva possa dare i suoi frutti, per continuare il mio sogno di giocare a calcio. Magari non giocherò fino a 38 anni, ma l’obiettivo è quello di dare il massimo per la squadra, per la società, per tutti. Il mio dare tutto non può essere in campo, ma facendo qualsiasi cosa per tornare a giocare. Questo mi tiene vivo”.

Quant’è stato difficile venire qui sapendo di non poter scendere in campo?
“Tanto, quello che manca più di tutto è la quotidianità del campo. Più del giocare la domenica. Giocare la domenica sono scelte dell’allenatore, ma il fatto di non poter condividere in campo scherzi, giochi e partitelle è molto pesante. Sono loro che mi tengono vivo, i compagni che mi aiutano e mi fanno sentire parte di questo gruppo. È logico che non è facile. Non giocando ti senti in parte distaccato, però la cosa che mi tiene vivo è questa, la speranza di poter rientrare e rivivere la gioia di una vittoria, ma da sudato, di avere quella stanchezza che ha accompagnato una carriera che penso da quando ero bambino, che è iniziata a 6 anni. Il fatto di andare a casa sudato, stanco, non dormire dopo la partita per le emozioni mi manca tantissimo”.

È vero che stai pensando a una riduzione dello stipendio?
“Ho parlato con il presidente. Per me la società ha carta bianca, qualsiasi cosa voglia fare non c’è problema. Non è questo il nodo centrale della questione, il nodo centrale sono i sentimenti di una persona. La società mi è sempre stata vicino. Se posso dire una cosa, credo che la società non abbia voluto fare nulla perché è una famiglia e perché vede che ce la sto mettendo tutta per poter guarire. Pesa le persone, non le tratta come calciatori. Questa forse è la differenza per cui molti vogliono venire qui. Credo, al di là del mio ingaggio, che una famiglia si vede proprio nel momento in cui il ragazzo non sta bene. Coccolare un ragazzo che fa 5 gol a partita è facile, far sentire importante un giocatore in un momento difficile è un valore aggiunto. Detto questo, qualsiasi cosa mi chiedano la farò”.

A Colautti: la diagnosi ritardata ha rimesso in discussione la rieducazione del calciatore?
“Parlerei di una patologia estremamente complessa, che ha aspetti multifattoriali che possono concorrere a far sì che questa patologia possa prolungarsi nel tempo. All’inizio è stato intrapreso un trattamento conservativo, e vedendo che non produceva gli effetti sperati abbiamo cercato di verificare se ci fossero aspetti che indirettamente potessero ritardare questa guarigione”.

Nella tua avventura alla Roma hai avuto momenti difficili, poi il gol nel derby. Adesso ti senti di aver avuto di più o aver perso di più? Vale la pena rischiare di trovarsi come Batistuta o Van Basten?
Colautti
: “Vorrei precisare che Federico non è stato sottoposto a trattamenti contro la sua volontà o pericolosi per la sua salute. Tutto ciò che è stato e che verrà fatto sono trattamenti consoni. La frase di Batistuta è stata molto forte”.
Balzaretti: “Tutto è stato deciso insieme, voglio ringraziare tutto lo staff medico. Detto questo, voglio provare a giocare. Da questo punto di vista non voglio avere un rimpianto. Mollare senza aver provato non rientra nella mia mentalità, ho sempre dato non il 100 ma il 1000%. Voglio arrivare a casa tutte le sere dando il 110%, poi se si vince o no non cambia. Voglio dare tutto per provare a giocare. Tutto quello che è stato fatto non è stato lesivo per la mia vita”.

C’è stato un momento in cui hai pensato di smettere?
“Sarei bugiardo a dire che non è vero. Credo di essere una persona estremamente lucida, anche nei momenti più difficili. Quando ti si prospetta una situazione così difficili è impensabile che non venga in mente. Subito dopo, grazie a Dio, entra la parte caratteriale, quella di non mollare. Sono ancora in questa fase”.

A Colautti: può spiegare meglio il problema?
“La sintesi pubica è un’articolazione molto importante, convergono su di essa strutture tendinee dei muscoli adduttori che fanno sì che ci si possa muovere nello spazio. C’è un’alterazione strutturale di questa articolazione, con due ossa che si fronteggiano. Nel caso di Federico, l’usura si è evoluta negli ultimi mesi in modo molto veloce e questo ha contribuito in modo decisivo al rallenamento del percorso riabilitativo”.

C’è stato qualcosa in questi mesi che si sarebbe potuto fare o che si sarebbe potuto evitare?
“Secondo me no. Quello che è successo è qualcosa che nasce negli anni, dalla mia conformazione, dal mio modo di giocare, dalla mia corsa. Probabilmente mi hanno portato a un’usura. Mi risparmio poco, di questo sono contento, se non mi fossi allenato quanto e come mi sono allenato non sarei mai arrivato alla Roma a 31 anni. Non ho rimpianti, però un po’ di usura precoce l’ho avuta in quella zona e purtroppo è arrivato un punto in cui quella zona specifica non ha retto più quegli stress. Non abbiamo sbagliato a fare nulla, abbiamo razionalmente pensato a interventi, terapie e ogni singolo lavoro. Per cui ci sono anche delle cose che al di là della natura e di quello che uno fa degenerano perché la natura fa il proprio corso. Gli interventi sono stati fatti tutti per un motivo, questa patologia è talmente profonda e forte che questi interventi non sono bastati”.

È vero che a Boston hai rifiutato un’operazione proposta?
“Sempre per quello che abbiamo detto, l’altra operazione prospettata a Boston secondo il nostro parere non era funzionale al mio problema, sarebbe stata una cosa tanto per farla e non sarebbe stato utile. Abbiamo pensato che la seconda operazione di Monaco sarebbe stata importante, pensavamo fosse la scelta giusta. Anche per casistica, aveva prodotto dei risultati. L’ultima parola è sempre la mia, ho scelto quel tipo di operazione che non ha dato risultati".


Sempre più calciatori si curano all’estero, come mai?
Balzaretti
: “Non è che si va all’estero perché sono più bravi o meno bravi, ma perché non si fanno le cose campate per aria. Il fatto di andare all’estero è perché persone con casi simili hanno avuto risultati. Nel mondo ci saranno 30-40 dottori che fanno quel tipo di operazione, si sceglie quello reputato migliore”.
Colautti: “E’ l’atleta che decide, ma è opportuno da parte nostra proporre ulteriori consulenze che non necessariamente devono essere stranieri. Tutto cercando la miglior professionalità possibile. Al termine della valutazione è il calciatore che decide qual è il suo orientamento e noi dobbiamo supportarlo”.

È cambiato il rapporto con l’allenatore? I compagni ti hanno “promesso" qualcosa?
“Sono io che prometterò qualcosa a loro. Il mister è fantastico, non ci sono parole per descrivere le sue qualità umane. Per noi è un padre. Mi fa più che sentire partecipe, mi chiama prima delle operazioni e dopo le operazioni. È a me che dispiace, contavamo tutti di poter stare bene. Mi dispiace non potergli dare sul campo un contributo, con me si comporta in maniera incredibile. È una persona speciale”.

C’è qualcuno in particolare che ti è stato vicino? Ti piacerebbe fare l’allenatore?
“Non ti rispondo, proprio perché mi sono detto che sentendomi ancora un calciatore voglio rimanere con la testa sul campo con gli scarpini e la maglia giallorossa. Voglio ancora giocare. Alla prima domanda, fare dei nomi è difficile. Ci sono compagni con i quali ho legato maggiormente come Daniele e Morgan, con cui ho rapporti più profondi e che mi stanno vicino più degli altri, al di là di questo problema. Tutti mi sono vicini, cercano di coinvolgermi, anche io quando riesco metto il naso fuori, mi danno questa forza. Tengo nuovamente a dirlo, è quello che fa la differenza. Nonostante sia un po’ in disparte, giustamente, tutto ciò mi dà la forza di andare avanti e riuscire a superare queste difficoltà. Tra un mese, due mesi, tre mesi, non si sa, magari riuscirò ad allenarmi e giocare senza dolore. Ora non vedo questo così vicino, per cui ogni mattina mi sono posto questo obiettivo. Il problema di questi mesi è che non riesco ad avvertire il dolore, devo fare qualcosa in più per capire, per questo mi avete visto correre in Austria, per me il test è correre. Non ho mai avuto problemi nel quotidiano, nel camminare o nell’alzarmi dal letto, il mio problema è che non riesco a correre. Facevo 10 metri e mi si infiammava. Abbiamo tentato qualche grado in più e veniva fuori di nuovo l’infiammazione. Ripeto, l’unica cosa che posso promettere è che ce la metterò tutta per guarire. Mi voglio sentire ancora un calciatore e voglio fare una corsa senza avere male. Vi ringrazio per essere stati qui, siete riusciti a trasmettere questo messaggio alla gente, alle persone che sono fuori. Credo che sia stato tutto chiaro”.

© foto di Luca d'Alessandro
© foto di Luca d'Alessandro
© foto di Luca d'Alessandro
© foto di Luca d'Alessandro
© foto di Luca d'Alessandro
© foto di Vocegiallorossa.it
© foto di Vocegiallorossa.it
© foto di Vocegiallorossa.it