Latina, Riccardi: "Non aver sfondato nella Roma l'ho vissuta malissimo. Ho mollato pensando che esistevano solo i giallorossi per me"
In una lunga intervista a Cronache di Spogliatoio, Alessio Riccardi ha raccontato di come è passato a essere un predestinato in casa Roma a giocare in Serie C per il Latina. Ecco le sue parole.
Hai iniziato con la Lazio C5 da piccolo.
"Solo perché era l’unica squadra nel mio quartiere eh!".
La tua famiglia è da sempre tutta romanista.
"Ricordo il giorno in cui mia madre mi disse: Alè, devi fare il provino con la Roma. Ero piccolo, lì per lì neanche ci credevo. Mi dicevo: Ma perché tra tutti i bambini che ci sono, proprio io?!. Fin lì il calcio era stato solo divertimento: giocavo ogni giorno con i miei amici".
Il tuo rapporto con Alberto De Rossi?
"In tre anni con lui, credo che mi abbia fatto saltare solo una partita. È uno dei mister che non scorderò mai. Mi lasciava libero di sbagliare, come giusto che sia. E mi è rimasto accanto anche dopo il mio addio alla Roma".
I tifosi hanno visto da subito qualcosa in te.
!Io giocavo solo per divertirmi. Poi comunque su Instagram mi arrivavano centinaia di messaggi dai tifosi. Lì ho iniziato a capire che in me vedevano qualcosa in più. Avevano delle aspettative. Non sentivo la pressione lì, anzi forse era una spinta in più per me. Li rappresentavo e mi piaceva".
Nel 2017/2018 inizi ad essere aggregato in Prima Squadra.
"Quella Roma era veramente forte. De Rossi, Dzeko, Kolarov… erano fenomenali. Non sbagliavano mai, erano campioni fortissimi".
Questo è sempre stato il tuo sogno?
"Sono cresciuto con Totti, era lui il mio idolo. Mi è dispiaciuto non essere allo stadio il giorno del suo ritiro: eravamo in trasferta, così l’ho seguito dal cellulare. Penso sia stata una giornata indimenticabile. Ho ancora i brividi".
Il 14 gennaio 2019 debutti con la Roma in Coppa Italia.
"Mi ricordo tutto benissimo: durante il giorno i compagni mi avevano detto: Oh guarda che stasera entri, eh!. E quindi io già dalla mattina avevo l’ansia. Quando poi il mister mi ha chiamato, ho pensato: Mamma mia, sto entrando all’Olimpico. Poi basta: come sono entrato in campo, ho pensato solo alla partita".
Poi cosa è successo?
"Ricordo che quando arrivò Ranieri, pensai: Oddio… ma ora mi tengono in Prima Squadra o mi rimandano in Primavera?. Fino a quel momento, ero stato lì perché mi voleva Di Francesco, ma per fortuna Ranieri mi fece rimanere".
Il 26 maggio 2019 Daniele De Rossi dice addio alla Roma e Ranieri ti volle in campo.
"Ero appena tornato da una trasferta con la Primavera, ma ha voluto che facessi parte di quel momento. Io, Pellegrini, Florenzi… e De Rossi tutti in linea? Forse è stata una casualità, non ci ho fatto caso. Ma è stato un momento emozionante, da brividi. L’addio di una bandiera del calcio. Ho ancora la sua maglia autografata, la tengo a casa con cura. Daniele è stato la Roma: come sono arrivato in prima squadra, mi è sempre rimasto vicino, mi ha riempito di consigli. Si respirava qualcosa di particolare quando c’era lui, percepivi l’aurea del campione. Era sempre perfetto: quando parlava non diceva mai una cosa sbagliata".
L’estate successiva a Roma c’è un grande rinnovamento. Arriva Fonseca e torni in Primavera.
"Ho fatto il ritiro estivo con la prima squadra, ma il mister non mi vedeva. Io ero ancora in età per la Primavera e mi hanno richiamato per giocare. Se avevo iniziato a percepire qualcosa? Lì per lì no, devo essere sincero. Facevo qualche allenamento con la prima squadra e poi ero titolare in Primavera. Anzi, è stato l’anno in cui ho segnato più gol. Era troppo presto anche solo per immaginare cosa sarebbe accaduto. Di mezzo ci si metterà poi anche il COVID, è stato un periodo complicato, ma mi dicevo: l’importante è che gioco".
La Juventus ti voleva dando alla Roma Rugani.
"Avevo fatto benissimo in Primavera, ma non ero stato riconfermato in Prima Squadra. Mi ricordo che una mattina mi sveglio, posto una foto su IG normalissima… forse di un’amichevole precampionato, e poi mi ritrovo il profilo impallato di messaggi. Non avevo letto nulla fino a quel momento. Dico veramente. Poi mi dissero: la Roma vuole venderti alla Juventus. E io: no, aspettate. Io non ci vado. Così carico un’altra foto, promettendo amore eterno… ricordo che quel giorno ricevetti 1000 messaggi al minuto. E per assurdo, non avevo fatto nulla in Prima squadra, giusto l’esordio. Ma forse questa è la bellezza di Roma: i tifosi. Ricordo striscioni e proteste sui social, sui giornali: volevano che rimanessi. Magari rivedevano in me qualcosa".
Il prestito al Pescara?
"L’ho vissuta proprio come una sconfitta personale. Il mio sogno era sempre stato quello di giocare per la Roma. Arrivi lì, vedi che quando sei più piccolo ci sei e ti portano quasi in braccio… e poi svanisce tutto. Improvvisamente. L’anno al Pescara l’ho vissuto malissimo. Passavo il tempo a dirmi: Cosa ho sbagliato? Ero assalito dai dubbi. Dopo quella stagione, sono stato praticamente un anno fermo. È stato un anno veramente difficile. Ti dico la verità: ero arrivato al punto in cui volevo smettere. Non mi divertivo più ad andare al campo per allenarmi e giocare. Solo grazie ad una persona, che mi è stata accanto, non ho smesso".
Qualcuno ti è stato vicino?
"Tantissimi compagni mi sono rimasti vicini. Mi scrivevano: Ma come fa a star fermo uno come te? Dai, è impossibile. Tu devi giocare a calcio, non puoi lasciare tutto così. Bouah e tanti altri mi scrivevano tutti i giorni per darmi la forza".
Il tuo arrivo a Latina?
"Sono stati i primi a ricredere in me. Il mister è venuto a Roma per parlarmi e farmi sentire la sua fiducia. Ha significato tantissimo per me, soprattutto visto il momento. Mi serviva ritornare in campo, divertirmi e avere uno sfogo. Ora quando entro in campo, mi sento come ai tempi della Primavera dove mi divertivo e basta. Poi si può perdere e vincere, ma è proprio questo il bello. Per fortuna, non ho smesso".
Il tuo percorso nelle giovanili azzurre?
"L’anno di EURO2018 è stato il più bello in Nazionale. Nunziata stravedeva per me. E poi la maglia azzurra è il sogno di tutti i ragazzi che giocano a calcio. Era un gruppo eccezionale, ci volevamo bene davvero. C’erano Colombo, Rovella, Ricci… tutti ragazzi che ora fanno la Serie A. Quel mese vissuto insieme è stato stupendo, è volato. Ci siamo divertiti tanto e in campo si vedeva. Peccato per il finale: eravamo distrutti. È stato un match davvero senza senso: perdevamo 1-0, poi l’abbiamo ribaltata… eravamo ad un passo dalla vittoria e invece hanno pareggiato all’ultimo secondo. Poi, sconfitti ai rigori. Una tragedia".
Che ricordo hai di quel periodo?
"Mi sentivo importante. Per l’Italia e per la Roma. Sentivo di essere uno che in campo poteva dare qualcosa in più. Non sono mai stato un leader di molte parole, cercavo di trascinare la squadra a livello tecnico durante le partite".
Arrivo anche la chiamata di Mancini per uno stage in Nazionale Maggiore.
"Io non sapevo nulla. In quella settimana dovevo essere convocato con la Roma per la sfida contro il Cagliari e i compagni già mi dicevano: Guarda che entri. Poi mi feci male alla caviglia e lo staff iniziò a dirmi: Meglio che non vai, anche perché poi arriva la chiamata dell’Italia. E io dicevo dentro di me: Ok che è la Nazionale, ma ho la chance di stare in Prima Squadra. Perché devo andare in U19 o U20?. E invece no… Guarda che ti vuole Mancini. Scioccato. Sono stati due giorni stupendi a Coverciano per uno stage con tutti giovani, anche in vista del Mondiale U20 e dell’Europeo U21".
Oggi chi è Alessio Riccardi?
"Non sono un ragazzo che porta rancore. Tanto quando fai bene, torna tutto. Ora, giorno per giorno, lavoro per me. Avrei solo dovuto continuare a giocare come so fare. E invece faccio mea culpa: c’è stato un momento in cui ho mollato veramente. Avrei dovuto prendere la loro scelta come una spinta in più per farli ricredere, ma in quel periodo non riuscivo ad accettarlo. Ho sbagliato a pensare che ci fosse solo la Roma per me. Ma c’è chi mi ha fatto capire che sono nato per giocare a calcio. Mi sono detto: Ok, ora lì non è possibile, ma devo rimettermi in gioco. Il mio sogno? Giocare in Serie A. Non devo smettere di crederci, ma ora penso a portare il Latina il più lontano possibile".
Anche Calafiori fu costretto a lasciare la Roma, che rapporto hai con lui?
"Calafiori è un fratello. Abbiamo vissuto insieme tanti momenti belli e brutti. Mi ricordo come fosse ieri il suo infortunio al crociato, era appena salito in Primavera. Era una delle sue prime partite. È stato un momento difficile, proprio come quando si è dovuto staccare dalla Roma. Lui è davvero super romanista. A differenza mia, però, ha avuto la forza di continuare e infatti ora è titolare al Bologna. Se lo merita".
Adesso vivi solo per il calcio?
"Faccio questo tutto il giorno: mi alleno, gioco e penso al calcio. Dai poi ho un passatempo… la playstation. Mi piace giocarci, tanto, ma proprio tanto. Penso che non la mollerò mai"