Bianda: "Se sono qui è perché posso fare bene, dipende da me"
Il difensore William Bianda, reduce da una stagione con la Primavera giallorossa, ha rilasciato un'intervista al magazine Onzemondial. Queste le parole del giovane calciatore
Com'eri a scuola?
«Non ero né il peggiore né il migliore. Chiacchieravo molto prima di andare al Lens. Era questo il mio problema principale. Nelle pagelle, era la cosa che spuntava sempre fuori»
Hai sempre amato il calcio?
«Sì! Non ho mai avuto altro per la testa. I professori mi dicevano sempre: "William, devi avere un piano B, non puoi essere sicuro di affermarti con calcio". Ma io non ne volevo sapere. Senza il calcio, non sapevo che fare. Per me era il calcio o niente. Sapevo cosa volevo diventare. Ho sempre voluto giocare, giocare, giocare! Non amavo guardare le partite alla televisione. Perché il mio obiettivo era essere al posto di quelli in televisione. Guardavo soltanto i match più importanti».
Il calcio ti è arrivato tramite tuo padre...
«Sì, è vero. Non dico che mi abbia spinto perché io amavo il calcio. Ma appena ha visto quanto mi piaceva, ha "accelerato le cose". Mi ha iscritto in un club, poi doveva lavorare quindi non poteva essere sempre lì. Quindi ha cominciato a venire mia madre. Quando gli cambiarono gli orari di lavoro, riuscì ad essere più presente. Quando poteva, era lì».
Come hai gestito il trasferimento dalla casa di famiglia al centro di formazione?
«La cosa più difficile è stata passare dalla regione parigina al nord nella Francia. Il Lens, nel centro di formazione, aveva moltissimi ragazzi dalla regione di Parigi. Ci aiutavamo a vicenda, c'era un bellissimo ambiente nel centro. Non ero troppo spaesato. Quando uscivo in città, era un'altra storia. Quello è cambiato da Saint-Ouen».
Quali sono i ricordi migliori del centro di formazione?
«Fuori dal campo direi l'ambiente! Si stava in camera, si ballava, si facevano delle sfide. Passavamo molto tempo nella sala giochi. Giocavamo alla play, facevamo dei tornei e nessuno voleva perdere. C'era davvero una bella atmosfera, ci si divertiva sempre e non ci si annoiava mai. Sul campo, il mio allenatore U17 Raymond mi ha davvero cambiato. All'inizio non potevo sopportarlo, era particolare. Quando è con te, ti sembra di non piacergli. Ti insulta, è duro, può pure sputarti (ridendo). Paradossalmente però è uno dei migliori allenatori che ho avuto. Quando parla ti spiega chiaramente le cose, e allora capisci perché si comporta così. Come allenatore ti fa davvero crescere. Fa di tutto perché tu possa arrivare in alto. L'obiettivo del giocatore è il suo stesso obiettivo».
Il ricordo peggiore?
«Facile. Tornavo dalla selezione e sono andato direttamente in classe. Ma a scuola era proibito presentarsi in tuta. Una volta ci siamo stancati e siamo andati due o tre giorni di fila in tuta. Il direttore ci ha chiamati e ci ha fatto buttare fuori da alcuni corsi. Poi ha chiamato mister Raymond ed ha iniziato ad urlare per tutto l'ufficio. All'inizio pensavamo sarebbe stato calmo, invece ha cominciato ad urlare addosso ad alcuni di noi. Quando è toccato a me, mi ha detto "parlerò con il tuo allenatore, non giocherai più, te ne tornerai a casa". Questo è stato il momento più difficile. Bisogna superare anche momenti difficili come dei rimproveri».
Il Lens è considerato un grande centro di formazione. Che ne pensi?
«È la verità! Ho visto i giocatori che sono passati per il club, è incredibile. Basta pensare a Jean-Kevin Duverne, Bellegarde, Mounir Chouiar, Modibo Sagnan, Cheick Doucouré… e molti altri! Ci sono anche Varane, Kondogbia, Aurier… Sai sempre che nel centro, per ogni generazione usciranno due o tre grandi giocatori. Al Lens fanno di tutto affinchè tu possa farcela e ti insegnano anche dei valori importanti».
Quali?
«Ti spingono a dare tutto! Accettano una partita sbagliata, ma non che tu non dia tutto in campo. A fine partita devi dire: « Sì, ho giocato male ma ho fatto del mio meglio, sono morto perché ho dato tutto per i miei compagni». Questi sono i valori del Lens. Bisogna sacrificarsi per l'altro. Questo è quello che esigono».
Raphaël Varane è passato per il Lens e molti credono tu possa seguire le sue orme. Cosa ne pensi?
«Sì, spesso mi paragonano a lui. Ma è imparagonabile! Lui è un grande giocatore, un campione del mondo che ha vinto tutto al Real. Io sono io. Devo fare il mio percorso e la mia vita. Varane è un modello... se nel futuro potrò giocare al Real o al Barça sarà stupendo. Ma ora sono in un grande, grande club come la Roma. Non è un trampolino per un grande club, è un grande club! Ora devo lavorare tutti i giorni per arrivare al livello di un Varane».
Cosa hai pensato quando hai firmato il primo contratto con il Lens?
«Non so spiegarlo, troppi pensieri per la testa. Indescrivibile, una sensazione strana».
Hai festeggiato?
«No, io no. Forse la mia famiglia, di nascosto (ridendo). Dovevo iniziare subito la preparazione».
Come hai vissuto la prima esperienza tra i professionisti? Come te l'aspettavi?
«Era in Coppa di Francia. Sono entrato all'intervallo, c'era già uno scarto importante. In campo ero tranquillo. Non ho sentito la pressione perché avevo già provato spesso in allenamento. Il coach mi aveva parlato molto. Quando mi ha detto "entri a fine primo tempo" ha visto subito che ho sorriso. Ero troppo contento».
Hai giocato pochi match con il Lens. Non ti sarebbe piaciuto giocare di più con il club che ti ha formato?
«Sì certo! Soprattutto al Bollaert. Volevo finire bene la stagione ma mi sono infortunato a gennaio e ci ho messo del tempo per recuperare. Un vero peccato, volevo finire bene la stagione e salutare nel modo migliore. Volevo andare via dopo aver fatto una metà stagione in Ligue 2».
Cosa ti resta del Lens?
«Ho un gran ricordo del club. Mi hanno fatto crescere come uomo e come giocatore. Non smetterò mai di ringraziarli. Mi sono venuti a cercare al Red Star e gli sarò sempre grato».
Il Lens sta migliorando, lotta per salire in Ligue 1. Come ti fa sentire?
«Sono contentissimo, ho ancora molti amici nello spogliatoio. Sarei molto contento se tornasse in Ligue 1, anche perché non ha nulla a che fare con la Ligue 2. È un grande club con grandi strutture ed un grande pubblico. Lo stadio è sempre pieno, cosa che raramente succede in Ligue 2. È un club fatto per la Ligue 1».
Non hai avuto paura di tentare l'avventura all'estero?
«No, avrei paura se non potessi giocare professionista. Non è stato questo il caso».
Sei stato scelto da Monchi, famoso come scopritore di talenti. Un grande orgoglio, no?
«Certo. Monchi non ha bisogno di presentazioni. Mi ha scelto perché crede in me e spero di non deluderlo. È bello essere considerato un talento, ma non è la cosa più importante. Non ho dimostrato nulla. Non ho ancora giocato un match ufficiale. Preferisco non dire niente e lavorare».
Nella tua posizione ha scelto uno come Clément Lenglet a Siviglia...
«Spero di seguire una carriera simile ed impormi alla Roma. Dico la verità, se non pensassi di potercela fare sarei rimasto al Lens. Se sono qui è perché credo di poter fare bene. Ora dipende da me e da come lavoro in allenamento».
Sei a Roma da luglio 2018, come ti senti?
«Mi sono integrato bene. Non ho ancora trovato casa. Vivo in un appartamento vicino al centro sportivo. Lo abbiamo scelto con la mia famiglia e con Monchi affinché i tempi di inserimento siano più brevi possibile. Ho tutto a disposizione e posso concentrarmi sul calcio. Roma è una città bella. Ho cominciato a capire la lingua. In campo ho faticato un po' nei primi match. È normale, vengo da un infortunio di sei mesi. Devo ritrovare il ritmo. Mi sento sempre meglio e sono fiducioso».
Sei ansioso di giocare la prima partita tra i professionisti?
«Sì e no, sono un ragazzo paziente. Ho tutto davanti a me. Devo continuare a lavorare. Quando avrò la mia chance dovrò farmi trovare pronto. Ho già giocato alcune amichevoli. È veramente speciale giocare con certi calciatori, De Rossi, Manolas e Dzeko ad esempio. È davvero stupendo, ci sono calciatori speciali. Voglio giocare con loro in una partita tranquilla. Devo essere paziente, il momento arriverà».
Com'è lottare con Dzeko in allenamento?
«Quando arriva su di te, capisci subito che sei suo. Spalle alla porta è davvero davvero forte. Anche in area è fortissimo. È abilissimo davanti alla porta, si smarca benissimo. Questo è cio che amo. Giocare in allenamento con uno come Dzeko mi rende felice, perché so che in partita affronterò qualcuno meno forte di lui. Non critico gli altri, ma Dzeko è un'altra cosa. Non puoi che migliorare con giocatori come lui».
Nel tuo ruolo invece?
«Ci sono Manolas, Fazio, Juan Jesus. Mi piace che mi critichino quando sbaglio. Non mi lasciano solo. Mi danno consigli e sento che sto migliorando vicino a loro. Per esempio sto migliorando il piazzamento difensivo. Prima mi posizionavo male ma recuperavo con la mia velocità. Ad alti livelli non puoi farlo. Sono più attento alla linea difensiva e più concentrato».
Per quanto riguarda gli allenamenti, sei uno che lavora molto?
«Sì, lavoro molto. Ho ancora dei difetti e devo fare delle sedute extra. Il club fa di tutto perché io possa colmare le mie piccole lacune. Prima e dopo gli allenamenti, non lavoro poco. Per esempio, se l'allenamento è nel pomeriggio, faccio una seduta la mattina con uno dei coach. Spesso, cominciamo a rivedere il match del weekend per osservare gli errori, quello che è andato bene e quello che è andato male. In generale, dura 15 minuti. Poi si va in campo per mettere in pratica e correggere quello che bisogna correggere. È per questo che sono venuto qui, perché vogliono portarmi ad alto livello. E mi piace molto».
Come gestisci la comunicazione sui social?
«Tranquillamente. Gestisco un account Twitter, anche Instagram. Ogni tanto posto qualche foto, non li uso molto».
Che ruolo ha la famiglia nella tua carriera?
«In prima linea, sempre sempre con me. Mio padre mi ha dato dei consigli e mia madre è il mio punto di riferimento quando le cose non vanno bene. Confido spesso nei miei genitori, ma non allo stesso modo. Li trovo complementari. Sono un bel duo. Ognuno ha il suo ruolo. Poi ho il mio consigliere, Cyril (Rool), che è come se facesse parte della famiglia. Sono davvero contento di lavorare con lui, un ex calciatore con una carriera non male. Non ho bisogno di dirgli niente, lui sa già tutto. Tutto quello che vivo, lo ha già vissuto. Lo sa. Avere uno come lui al mio fianco è grandioso. Poi tutti conoscono la sua fama da giocatore. Era un bel delinquente (ridendo). Fuori dal campo non è così, è calmo e tranquillo. Ma quando parliamo di calcio, vedo che l’anima da calciatore rispunta fuori. Mi dice tutti i giorni di essere più cattivo nei duelli, e spesso non ha torto».
Vuoi diventare una star?
«Voglio diventare un grande giocatore. Star è una parola grossa. Voglio impormi in un grande club e ci sono già, è un bell’inizio. Ora devo continuare».
Com’è la tua giornata tipo?
«Dipende, se ho allenamento la mattina il pomeriggio ho la sessione individuale, o il contrario. Ma non tutti i giorni. Oppure esco tranquillamente in città. Esco spesso con Ante Coric, un mio caro amico, abbiamo legato molto».
Hai un obiettivo riguardo alle partite?
«Prima voglio esordire, poi vedremo».
Come lo immagini?
«Spero in casa. L’Olimpico è magnifico, nel derby con la Lazio mi sono impressionato! Invidio moltissimo i giocatori quando guardo le tribune e i tifosi, è pazzesco. L’ambiente mi ha davvero colpito. Beh, anche se dovesse essere in trasferta non sarebbe male (ridendo)».
Quali sono i tuoi punti forti?
«Direi la rincorsa. Ho già migliorato molto la gestione della profondità e sono bravo nei duelli in velocità».
E i tuoi punti deboli? Su cosa devi lavorare?
«Devo migliorare il piede destro, ovviamente le diagonali e devo lavorare sulla concentrazione. All’inizio della partita è facile, ma posso rilassarmi. Devo restare concentrato. E fuori dal campo sono un po’ troppo imbronciato».