Resta la Roma, un po' meno giallorossa
Un fulmine a ciel sereno, quando la tempesta si sapeva potersi scatenare, secondo previsioni, ma si continuava a uscire lo stesso senza l'ombrello. La giornata inizia con il comunicato della fine del rapporto tra la Roma e De Rossi. Ultima partita Roma-Parma, il prossimo 26 maggio. Una conferenza stampa indetta in fretta e furia. Una sorta di ultimo saluto mediatico per il capitano. Tutti presenti: squadra, società, staff. La sala Champions di Trigoria è gremita. L'aria che si respira è un mix di incredulità, delusione, tristezza. Gli stessi giocatori della Roma, scossi, provati, a sentire quel che aveva da dire De Rossi. Gli addii son sempre complicati. Più una storia d'amore è stata intensa, più lasciarsi crea turbamenti. Difficile da accettare, quando la decisione è unilaterale. La società da una parte, il calciatore dall'altra. Senza entrare nel merito di quello che possa essere il pensiero dei tifosi, ovviamente attaccati a Daniele persona, uno come loro e al professionista De Rossi, un idolo. Difficile essere nei panni di Fienga, neo AD, subito a dover fare la parte del cattivo, come capitò a Monchi con Totti (seppur con modalità differenti). Le riflessioni da fare ci sono. Scindere la razionalità dal sentimento è arduo.
Chi meglio del protagonista, De Rossi, può provare a spiegare a chi era in ascolto il punto di vista della società, difendendola da capitano, anche quando, appena il giorno prima, gli era stato dato il ben servito? "Time is everything" recitava Mourinho in un famoso spot. L'addio di Totti, da calciatore della Roma, fu annunciato con un anno di anticipo. Un rinnovo annuale, con una stagione "passerella", pensando di poter copiare il modello NBA che fu con Kobe Bryant coi Lakers. Questa volta, la rottura è più netta, perciò ancora da assimilare. De Rossi rimanda al mittente anche l'elogio di Fienga per il suo carisma da dirigente: "Fossi io dirigente, a uno come me rinnoverei". Dice, lascia intendere, conferma. Da "la società è divisa in più parti" a "poi, magari un giorno, parlerò con Pallotta o con Baldini" (ancora uomo ombra?), fino al "spero che Totti prenda più potere il prima possibile". Con De Rossi si chiude un'altra era del club. In tutti i sensi. Il numero 16 (vedremo se il numero resterà senza padrone, come la 10) è l'ultimo addio di una stagione negativa, caratterizzata più per chi ha salutato la Roma che dai risultati: Gandini, Monchi, Di Francesco, il medico sociale Del Vescovo, senza considerare le cessioni dei big in sede di calciomercato che fanno parte dello stesso gioco, ma con una sfumatura diversa. "C'è assoluta consapevolezza di errori commessi che vanno sistemati, la società è autocritica verso se stessa". La voce ufficiale della società. Prendere atto dei propri errori è sempre sinonimo di crescita. Difficile continuare a riporre una fiducia illimitata, basata su uno sviluppo aziendale, quando il club soffre. Dalla semifinale di Champions League, dalla speranza di poter aver colmato quel gap storico di una squadra tutto potenziale e poca sostanza, all'addio di De Rossi e una squadra di giovani dalle belle speranze. In attesa di sapere cosa riserverà il futuro al club, saluta De Rossi. Resta la Roma. Un po' meno giallorossa.