Poco estro e poco starpower: così la lotta Champions è ancora più dura
Ci siamo messi alle spalle praticamente metà della stagione 2020/2021; un tempo sufficientemente lungo perché i vari trend dell’annata possano assumere un vero e proprio significato e non essere derubricati esclusivamente a “casi”. Inutile dire che il trend di cui si parla di più in casa Roma è negativo ed è quello del rendimento dei giallorossi nelle grandi partite, fortemente deficitario come confermato dal pesante KO nel derby. In queste gare la Roma non è quasi mai riuscita a imporre la sua identità e questo è testimoniato dalla scarsissima produzione offensiva messa in campo soprattutto contro formazioni più quadrate e dure difensivamente, come Napoli, Atalanta, Inter e Lazio. L’identità la dà l’allenatore, ed è giusto parlare di Paulo Fonseca, arrivati a un anno e mezzo di gestione da parte del portoghese. Che ha indubbiamente dimostrato di non essere un allenatore scarso, sotto vari aspetti: è riuscito a migliorare diversi elementi considerati poco utili, si è rivelato aperto mentalmente, non ha mai peccato nella comunicazione (aspetto secondario, ma parimenti da valutare) e la classifica, nonostante la sconfitta nella stracittadina, vede i giallorossi ancora in piena lotta per i primi quattro posti. Quello che sembra mancare al tecnico è un po’ di estro: Fonseca sembra attingere, di gara in gara, da una sorta di playbook, anche piuttosto raffinato e che denota dello studio del gioco di un certo livello, ma non riesce a uscirne per trovare soluzioni quando le cose non si mettono bene.
Che non significa (o, almeno, non significa solamente) ritardare troppo le sostituzioni o addirittura rinunciarvi, ma non trovare un modo per stabilire - o ristabilire - quel controllo della partita senza il quale la Roma rischia di subire da squadre di ogni angolo della classifica: facile pensare ai lunghi minuti di Roma-Inter, ma anche Cagliari e Torino, compagini che vivono momenti di grandi difficoltà, hanno avuto tratti delle loro gare dell’Olimpico in cui sono state in grado di spaventare, in potenza e in atto, i giallorossi. Poi, ci sono i giocatori, perché se l’allenatore non è in grado, da solo, di alzare la statura della sua squadra, allora ci deve pensare chi ha il pedigree per caricarsi la squadra sulle spalle. La Roma di questi giocatori ne ha appena tre: Džeko, Pedro e Mkhitaryan, nessuno di loro nell’apice della carriera e, quindi, fisiologicamente capace di tirare la carretta da solo per periodi troppo prolungati. Per il resto, la rosa è composta da calciatori di rendimento medio anche oltre la soglia della sufficienza, ma non dotati di picchi di personalità e qualità sufficienti per far girare da soli una gara di un certo livello. Anche in passato la Roma, come squadra, forniva prestazioni collettive non eccellenti; la differenza è che con il suo starpower era più volte riuscita a nascondere la polvere sotto al tappeto, cosa che quest’anno non si riesce a fare. La cosa, di per sé, è un guaio fino a un certo punto: l’affidabilità, fino a questo momento, non è mai stata un problema, ma la stagione è ancora molto lunga e venire meno anche in regolarità significherebbe perdere anche i presupposti per tentare l’aggancio alla Champions League.