Il gennaio dei sogni infranti
Altro giro, altro anno, altro mese di gennaio, altra sessione di mercato che si spera possa migliorare la Roma ove possibile. “Ove possibile”: di solito è questo il concetto che si fatica a digerire, con il classico bombardamento di voci ancora più confusionario quando ci sono ancor meno risorse che nel mercato estivo. Facciamo, allora, un breve riassunto della situazione: la Roma già spende più di quel che ricava e per questo, limitandoci a questo mese, tendenzialmente potrà far entrare solo una volta che avrà fatto uscire. Si può pensare di sostituire Kalinic solo se si troverà una sistemazione per Kalinic, si potrà pensare a migliorare il pacchetto dei centrali difensivi solo quando un Juan Jesus o un Fazio - difensori meno utilizzati da Fonseca, specialmente il brasiliano che è stato superato nelle gerarchie anche dall’acerbo Mert Cetin - saranno ceduti, eccetera.
Fin qui, tutto nella norma; la novità è rappresentata dal possibile (e tale sarà, finché non sarà certo) cambio del proprietario del pacchetto di maggioranza del club. La trattativa tra il gruppo di investitori capitanati da James Pallotta e il Friedkin Group, che ormai non è più un’indiscrezione, ma una certezza, come la stessa Roma ha dovuto comunicare su richiesta della Consob, ha fatto cominciare a sognare tifosi (legittimo, almeno fino a un certo punto) e addetti ai lavori (decisamente meno). “Niente più plusvalenze”, “finalmente si gioca per vincere” e altri stucchevoli ritornelli cozzano con la semplice logica consequenziale. Sorvolando sulla presunta non volontà di primeggiare della proprietà che potrebbe a breve passare la mano, per evitare di dover pareggiare disavanzi di bilancio con le cessioni, le strade sono sempre le stesse: ridurre i costi - quindi, cedere rimpiazzando con chi costa meno - e aumentare i ricavi, in modo trasparente o anche meno trasparente, ma nel secondo caso Friedkin - o chi per lui - dovrebbe, ad esempio, sponsorizzare la Roma per un centinaio di milioni di euro annui, cifra che, oltre a essere irrealistica, sforerebbe di un tantinello i parametri del fair value ammessi dall’UEFA. L’UEFA, altro nemico che mette paletti da dribblare il più possibile: cambiare proprietà non permette “anni franchi” dalle regole del financial fair-play, come altra leggenda mediatica (e non solo) vorrebbe. Tanti sogni che si infrangono, in un gennaio fin troppo lungo, che quest’anno potrebbe avere anche una ulteriore coda.