Ni hao Gervinho; la freccia nera in un paese rosso
Se n'è andato velocemente, così come velocemente era arrivato. Gervinho ha effettuato l'ultimo scatto a Roma e ha salutato tutti per cercare fortuna in un paese dove il calcio non sanno neanche cosa sia. Dalla Cina con furore è arrivata l'ufficialità, attesissima da chi non ha mai compreso il suo talento grezzo, poco incline al tocco pregevole e molto allo strappo in velocità. D'altronde, per un giocatore ribattezzato “la freccia nera”, la lentezza è un concetto astratto. L'hanno spedito in Cina con Paccocelere Internazionale come l'ultimo degli stolti, per usare un eufemismo! Eppure, chi non ha la memoria corta forse un piccolo rimpianto per la sua cessione l'avrà. "Me ne servirebbero due come lui. Io non lo venderei", aveva detto Spalletti non più di una settimana fa. Parole al vento, non ascoltate da chi di dovere e dunque passate in secondo piano. Era il giocatore simbolo di un calcio, quello di Garcia, a tratti spumeggiante e, almeno per la prima stagione in giallorosso, concreto. E non è un caso che, partito Garcia, anche Gervinho abbia fatto le valigie. Il feeling col tecnico francese era un qualcosa che andava al di là del campo, sbocciato fin dai tempi del Lille. Garcia si fidava di Gervinho come un padre si fida del figlio ed è per questo che il suo gioco si basava tutto sulle fasce, quelle che l'ivoriano percorreva in lungo e in largo lasciando dietro di sé una scia luminosa. Sono state tante le multe prese per eccesso di velocità dal numero 27, almeno quando riuscivano a prendergli la targa. Ora, degli spettatori con gli occhi a mandorla godranno nel vedere le sue accelerazioni, sempre se ce la faranno a seguire con lo sguardo il suo incedere...
È inutile girarci intorno. Per i tifosi era diventato quasi un pretesto, o un peso da cui liberarsi, e adesso non avranno più modo di indicarlo come capro espiatorio, magari tirando fuori qualche difetto fisico che a lui scivolava addosso. Quanta ironia è stata fatta su quel taglio di capelli, mascherato con una vistosa fascia che contribuiva all'aerodinamicità dei suoi scatti. Con la palla al piede sfiorava i 35 km/h, appena 9 in meno del fulmine Bolt. Negli ultimi mesi gli infortuni lo avevano debilitato e un giocatore che punta tutto sulla velocità, come lui, deve stare bene fisicamente per potersi esprimere al meglio. Una vita in corsa quella di Gervinho, sin dai primi calci al pallone dati ad Abidjan (rigorosamente senza scarpe), o come le prime partitelle sulla spiaggia coi suoi coetanei. E nessuno si deve sorprendere se i cinesi, che imperversano nel calciomercato così come nell'economia mondiale, hanno scelto lui come manifesto per rilanciarsi. Gli ultimi romantici vedranno nella sua cessione il piegarsi senza opporre resistenza del mondo Occidentale di fronte all'invasione cinese. Qualcuno in fondo in fondo spererà di stare su Scherzi a parte, come nel caso di Luiz Adriano, e sognerà di rivedere all'orizzonte la freccia nera correre spedita verso Trigoria. Nel frattempo però... Ni hao Gervinho. Porta un bacione a Hebei!