Rizzitelli: "Mi piace molto Luis Enrique. Bojan sarà l'uomo derby"
Nel cammino che porterà domenica sera al derby di Roma, anche Ruggiero Rizzitelli, storico attaccante giallorosso, ha voluto dire la sua, intervistato da Vox Populi Romani: "E’ vero, mi definisco così: sono un tifoso-giocatore. Sono fortunato perché ho realizzato il sogno di tutti i tifosi: tifare una squadra, e poi, la Domenica, scendere in campo per giocare ed onorare quella stessa maglia. Ciò mi rende felicissimo e, al tempo stesso, mi dà una doppia responsabilità: come tifoso e come calciatore". Questo il resto dell'intervista:
"Puoi, quindi, immaginare che per me il derby era tutto meno che una partita come le altre. Iniziavo a pensarci già 15-20 giorni prima; lo sentivo molto. Mi faceva dormire male: addirittura mi è capitato, diverse volte, nei giorni che precedevano la partita, di svegliarmi e di ritrovarmi solo nel letto, perché mia moglie era andata a dormire nell’altra stanza in quanto io, nel sonno, non stavo mai fermo, mi giravo e mi rigiravo in continuazione".
In 6 anni, dal 1988 al 1994, lei ha giocato diversi derby: qual è quello che ricorda con più piacere?
“Beh sicuramente il derby di andata della stagione 1991-92: quello in cui segnai il gol dell’uno a uno, con un colpo di testa su un cross di Hassler, a 5 minuti dalla fine. Ci tengo particolarmente perché il gol è arrivato proprio quando stavamo perdendo le speranze: iniziavo già a pensare al giorno dopo, agli “sfottò”, a tutte le prese in giro che io e tutti i tifosi della Roma avremmo subito l’indomani…”
Complimenti, quello fu un bellissimo gol! Staccare in quella maniera su Bergodi, vista la differenza di altezza, non deve essere stato semplice…
“Scherzi? Bergodi è molto alto: mi dava parecchi centimentri. Per sovrastarlo saltai con tutto quello che avevo dentro; fu “il salto della disperazione” (ride…)
Veniamo a domenica. Che partita si aspetta? Dove -secondo lei- la Roma potrebbe soffrire e dove, invece, potrebbe fare male alla Lazio?
“Arrivano tutte e due al derby in un buon momento di forma; entrambe hanno vinto l’ultima partita prima della sosta. Lo stato d’animo, però, è diverso: la Lazio ha perso le ultime cinque stra-cittadine e sa che non può sbagliare. La Roma, invece, è più tranquilla. Non credo che domenica vedremo un “tatticismo” esagerato: il derby sfugge ad ogni logica e sono sicuro che tutte e due le squadre scenderanno in campo per imporre il loro gioco; nessuna delle due aspetterà l’altra. La Roma per vincere dovrà girare palla veloce e verticalizzare il più possibile".
Cosa temo della Lazio?
"Ho paura che vengano a pressarci alti; mi preoccupa l’idea che possano aggredirci già nella nostra metà campo non appena iniziamo l’azione”.
Più in generale, invece, cosa ne pensa del gioco che Luis Enrique sta cercando di dare alla squadra?
“L’idea di gioco mi piace molto. Sostengo -sempre- che una cosa è “giocare a calcio” e un’altra è “dare calci ad una palla”. Ecco, Luis Enrique mi sembra che insegni a giocare a calcio. All’inizio, il tecnico asturiano, mi aveva dato l’idea di essere “presuntuoso”: era arrivato a Roma e aveva provato ad imporre le sue idee senza considerare pienamente né il materiale umano a disposizione e né il campionato di Serie A. Come in un primo momento l’ho giudicato presuntuoso, ora, con la stessa onestà, devo, però, fargli i complimenti. Partita dopo partita, infatti, sto vedendo -nel modo di giocare della Roma- anche un approccio diverso di Luis Enrique: continua, giustamente, a vedersi la volontà di trasmettere il proprio credo calcistico, ma, ora, si vede anche la consapevolezza e la volontà di applicare quel suo stesso credo alle caratteristiche dei giocatori e del calcio italiano in generale. Non sono più i giocatori a doversi snaturare per adattarsi al modulo ma succede il contrario: Luis Enrique sta modellando il suo gioco in base agli uomini".
Che cosa ne pensa delle difficoltà iniziali che ha incontrato la squadra?
“Ci potevano stare. Società nuova, allenatore nuovo, giocatori nuovi, gioco nuovo. Era prevedibile. Tanti, tanti cambiamenti. Non c’era l’abitudine a giocare ad una certa maniera, ad interpretare la partita in un certo modo. Ti faccio un esempio. La prima cosa che ho notato -nelle prime gare- era l’atteggiamento dei difensori quando la palla ce l’aveva il nostro portiere e doveva ricominciare l’azione: erano tutti “spalle” al portiere. Questo è l’atteggiamento di chi non partecipa alla costruzione, di chi è abituato farsi trovare pronto solo in fase di non possesso. Ora, quando vedi le partite, se ci fai caso stanno tutti “fronte” al portiere, sono tutti pronti a ricevere palla per far partire l’azione: è cambiata la mentalità, il modo di approcciare alla gara".
Per chiudere, due battute veloci… Chi sarà l’uomo derby e poi… Ma in semifinale contro il Brøndby -la palla del 2 a1- chi l’ha messa dentro? Lei o Rudi Völler?
(ride)… “Per quanto riguarda l’uomo-derby… ti dico Bojan. Mi piace molto come giocatore. L’ho visto in ripresa contro l’Atalanta ma credo che debba ancora far vedere molto del suo repertorio. Ha bisogno di fiducia; sono sicuro che un gol al derby sarebbe l’occasione giusta per farlo sbloccare definitivamente. Per quanto riguarda il gol in semifinale, beh che dire... E' un interrogativo che si ripete. L’importante è che sia andata dentro. Dai facciamo così, lo dò a Rudi, tanto io.. avevo già fatto l’uno a zero!”