Ennio Morricone raccontato dal figlio Marco: "Per papà la Roma era Roma, il giallorosso è nel nostro dna"

Ecco quanto riportato dal sito ufficiale della Roma:
Chiedi chi era Ennio Morricone, a suo figlio Marco. “Il personaggio lo conoscevano tutti, lo amavano, lo amano, per la sua musica, la sua infinita arte, ma l’uomo era soltanto mio. Lui era mio padre”.
A cinque anni dalla scomparsa del maestro, premio oscar, artista ineguagliabile, il Club ha voluto celebrarne la memoria invitando al “Fulvio Bernardini” il figlio Marco.
Morricone, oltre ad essere riconosciuto trasversalmente come una delle eccellenze senza tempo del nostro paese, nutriva anche un rapporto viscerale con Roma e la Roma. “Venire qui a Trigoria e vedere questa struttura è un sogno – le parole di Marco, 68 anni – È un centro tecnico bellissimo. Sotto tutti i punti di vista, sportivo e non solo. Ho fatto un giro nell’Archivio Storico e sono rimasto senza parole per la mole di oggetti, di cimeli, di maglie presenti. Poi, sai, questi colori papà li amava molto. Sono i colori di Roma e di conseguenza nel nostro dna c’è una traccia indelebile».
La Roma, per la vostra famiglia, che cosa rappresenta?
«Per papà la Roma era Roma. Lo disse anche in qualche esternazione pubblica: “Chi abita a Roma dovrebbe tifare la Roma”. Per me rappresenta una sorta di continuità. Sono in un posto, qui a Trigoria, che papà ha amato e ha rispettato, anche se il tifo ti fa incazzare. È bello anche così, fa parte dell’istinto che è in noi».
Come vivevate la partita quando eravate insieme?
«Posso raccontare diversi aneddoti, anche simpatici. Quando eravamo fuori, abbiamo girato fuori in ogni dove, papà si trovava a dirigere e io ero sempre nel retropalco o dietro le quinte, era ormai una tradizione acquisita. Quando la Roma faceva gol durante una partita, io glielo segnalavo. E lui, nel corso del concerto, voleva sapere anche chi aveva segnato. Ed era un problema, con 120-130 persone davanti che deve far suonare. Era un momento divertente, mi faceva diversi segni strani con la mano».
Allo stadio, invece?
«Io, per anni, sono andato allo stadio. Una volta andai anche grazie a Luciano Spalletti, con cui avevamo, abbiamo, un bel rapporto e con il quale condividiamo anche un simpatico aneddoto che poi vi racconterò. Dicevo, Luciano ci diede due biglietti, ma la partita andò maluccio, finì 0-0 e da quel momento dissi: “Basta, non vado più”. Ci restai male, sinceramente non ricordo quale partita fosse».
Esistono testimonianze di partite allo stadio con le famiglie Morricone e Leone fianco a fianco.
«Verissimo. Con Sergio e i figli andavamo spesso all’Olimpico, in diversi momenti storici. Pure nei periodi dell’Austerità, nel 1973, quando per Roma la domenica non si poteva andare con l’automobile. Lui in quelle occasioni circolava e usava la Rolls Royce… Sergio era un po’ così, lo dico bonariamente (ride, ndr). Era un’emozione andare allo stadio, condividere la passione tutti insieme».
L’aneddoto a cui facevi riferimento con Spalletti?
«Era il periodo finale del primo Spalletti a Roma. In quel momento Luciano non aveva un rapporto solidissimo con la proprietà, presieduta al tempo da Rosella Sensi. Abitavamo vicini, nello stesso palazzo, in piani diversi. Noi al dodicesimo, lui all’ottavo. Un giorno lo incontrai e lui parlando mi disse: “Mi sa che mi dimetto”. E, poco dopo, riferii a mio padre le sue parole. Lui, appena appresa la notizia, disse: “No, non può farlo”. Così scese velocemente davanti casa sua per cercare di convincerlo a restare. Io gli correvo dietro. Suonò alla sua porta, lui aprì e papà gli disse: “Lei non si deve dimettere, è una colonna di questa società”. E Luciano prese queste parole con un sorriso dolcissimo».
Si comportò come un tifoso qualsiasi.
«Sì, in quel momento uscì fuori la sua irrazionalità bambina, che è un po’ il sentimento che muove tutti i tifosi di calcio. Ho tanti di questi flash nella mia memoria. A volte mi fermo e mi vengono in mente. E così ripenso a papà».
Quanto hai apprezzato il murale dedicato a Ennio inaugurato nel 2022 nel quartiere di Tor Marancia, votato in un sondaggio dai tifosi della Roma?
«Ero presente all’inaugurazione, con tanta gente romanista in Piazza Lotto, sulla facciata di una palazzina ATER. Vedere quella faccia così, che ti guarda, con quello sguardo mi emoziona e mi fa tornare con i piedi per terra se tendo a svolazzare ogni tanto».
Quella è l’immagine di tuo padre che preferisci?
«No, c’è un’altra fotografia di papà che è meravigliosa, quella in cui indica con il dito di fare silenzio. È una foto storica, che vedete da diverse parti. Ecco, in una società dove tutti fanno un gran casino, tanta gente urla, fa più rumore il silenzio. Fa molto più rumore».
Cosa ha lasciato, a Roma, Ennio Morricone?
«Bella domanda… Posso rispondere cosa ha lasciato a me. A me ha lasciato il rispetto per la persona, un grande rispetto del lavoro, un grande rispetto della dignità umana. La città non so se l’ha capito. Papà non è stato distante, ma per anni ha scritto pezzi. Solo scritto. E, il fatto che lui scrivesse, lo portava ad avere meno contatto con la gente. Quando ha iniziato a fare i concerti, quindi avvicinandosi di più al pubblico, ai cittadini, mi chiedeva sempre: “Ma c’è gente?”. E c’erano i palazzetti pieni. Parlo di 15-16-18 mila persone. Dunque, se è stata recepita, ha lasciato un esempio di umiltà, di stare se possibile un gradino sotto, con il linguaggio straordinario della sua musica».
Roma, in ogni caso, gli ha intitolato l’Auditorium al Flaminio. Dal 2020 si chiama “Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone”.
«Di questo io e la mia famiglia dobbiamo ringraziare la Sindaca Virginia Raggi, che per questa causa si è spesa da subito, portandola a termine».
E grazie a te, Marco.
«Ma di che, grazie a voi, grazie a papà».
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