Una Roma senza equilibrio
Sono passati due anni e mezzo dall’arrivo a Roma di José Mourinho e in questi due anni e mezzo in molti hanno imparato quale sia la vera idea di calcio del portoghese, che era stato accolto come l’uomo che doveva riportare equilibrio tattico dopo anni di allenatori più votati all’attacco che alla difesa (facendo una estrema, al punto di essere errata, semplificazione del concetto) e che doveva rendere la Roma una squadra solida e per questo temuta dalle sue avversarie.
Spesso, però, si confonde il concetto di equilibrio con quello di dare estrema priorità alla fase di non possesso, demandando poi agli attaccanti il compito di segnare il famoso gol che “prima o poi arriva”. Da qui è nato un equivoco concettuale che in questi anni si è sempre più ingrandito fino a diventare enorme, anche grazie a chi, al contrario, esalta un certo tipo di calcio più associativo e aperto come unico modo di mettersi in campo nel 2023. Un dibattito, quello tra conservatori e progressisti del gioco del calcio, che andato via via appiattendosi sempre di più, con due posizioni totalmente inconciliabili e inderogabili: chi pubblica gli screenshot di riassunti numerici di match finiti 1-0 per la squadra che ha tirato di meno (aneddotica, non certo statistica) al grido di “il calcio è semplice” e chi mostra video di reti arrivate al termine di una ragnatela di decine di passaggi, una cui buona percentuale è a volte inutile ai fini della segnatura del gol stesso.
Ora, essere arrivati a questo punto nella discussione può essere sì considerato un male, ma di certo non arreca alcun tipo di danno al di fuori di quello che deve subire chi vorrebbe parlare di questo sport con un livello di approfondimento vagamente superiore; discorso diverso, e qui arriviamo a questioni di campo e di Roma, se a questa dicotomia è limitata la serie di concetti in cui si muove, almeno apparentemente, l’allenatore. Chi conosceva (davvero) Mourinho prima che arrivasse qui, sapeva perfettamente che la parola “equilibrio” non fa parte del suo vocabolario: per fare un solo esempio, nel 2010, ha vinto una Champions League mettendo in campo 4 attaccanti a Kiev e costringendo gente come Pandev ed Eto’o a fare il tornante a Londra o a Barcellona, non certo con una squadra composta in modo standard.
E anche qui a Roma ci sono state partite vinte riversandosi all’impazzata nella metà campo opposta così come risultati ottenuti rintanandosi negli ultimi 30 metri. La costante è che in davvero poche di queste prime 126 partite in cui José Mourinho ha allenato la Roma si è vista una squadra che veramente fosse equilibrata e in grado di vincere la partita per com’è e non per gli eccessi che è in grado di sviluppare. Perché a Milano ha scelto di essere eccessivamente difensiva e non è vero che qualsiasi altro atteggiamento avrebbe portato a un facile successo dell’Inter, così come contro il Lecce ha dovuto essere eccessivamente offensiva e non sempre capita che si riescano a trovare due gol nel recupero per rimontare la gara. Contro la Lazio c’è stato un momento in cui, accelerando un po’, probabilmente sarebbe stato possibile mettere in difficoltà la squadra di Sarri, ma non lo sapremo mai, perché è rimasto più importante conservare il punticino e non perdere, anche eccedendo nel proprio atteggiamento conservativo.
Non si sa ancora che Roma vedremo dopo la sosta, quando il calendario domestico vedrà impennarsi il suo livello di difficoltà e in Europa si giocheranno due gare già a loro modo decisive proprio perché a Praga, altro esempio, non si è andati in campo con equilibrio. Esattamente come non lo si faceva con altri tipi di allenatori, ma evidentemente queste sono cose che saltano all’occhio solo in determinati contesti.