Si riparte, tra senso pratico e la ricerca di compromessi
La Roma è ripartita. Come può, come le è stato concesso, come probabilmente è giusto che potesse fare: dopo i test medici dei giorni scorsi, i calciatori hanno ricominciato ad allenarsi a Trigoria, rigorosamente in forma individuale e con tutti gli accorgimenti più volte descritti per evitare ogni tipo di contatto o prossimità. Farlo in un centro sportivo è senz’altro meglio che doverlo fare nelle loro - pur attrezzatissime - case e, oggettivamente, non c’è nulla di eticamente sbagliato in tutto questo. Un concetto che forse si fatica a digerire perché, come spesso accade, la consequenzialità dei concetti si perde in un lago di retorica, qualunquismo e populismo di cui, specie in un momento come questo, difficilmente avremmo potuto pensare di poter fare a meno. Per ora sono solo allenamenti; da qui a ipotizzare una ripartenza dei campionati ancora ce ne passa. Il presupposto è semplice: se è vietato il contatto fisico, a calcio non si può giocare. Inutile inventarsi cose tipo il non stringersi la mano a inizio partita, se poi a ogni calcio d’angolo fioccano (e devono fioccare, perché di calcio si parla) abbracci e spinte (più o meno punite, ma questo è un altro discorso).
Un altro presupposto è altrettanto semplice: se a calcio non si gioca, si ferma un meccanismo che potrebbe danneggiare economicamente in modo più o meno irreversibile (non ci sbilanciamo in previsioni più precise) società e dipendenti, esattamente come accade in qualsiasi altro settore, come può essere la ristorazione o il turismo, per cui bisogna ugualmente cercare e trovare delle soluzioni. La difficoltà, apparentemente insormontabile, è muoversi schiacciati da questi due presupposti, tanto forti quanto contrari tra loro, trovare un compromesso che possa salvare più capre e più cavoli possibile, tenendo sempre fissato a mente che per un certo periodo di tempo sarà impossibile ambire a tornare allo stato delle cose precedente la pandemia. È giusto lavorare per cercare un modo di ripartire, è altrettanto giusto non forzare le situazioni e quello che sta succedendo in Europa è la prova di come non ci sia una sola via di uscita, ma che ci sia un range di situazioni tra cui scegliere. In Francia, Belgio e Olanda si è deciso di fermarsi prendendosi il rischio di infiniti ricorsi e cause, in Germania si ricomincerà a giocare tra dieci giorni accettando, invece, il rischio sanitario, in Spagna e in Inghilterra si lavora come da noi. Lavorare per trovare soluzioni di solito è un bene, e mai come nei momenti di difficoltà il senso pratico dovrebbe prevalere su altro. Così come il non arroccarsi su posizioni inconciliabili: pensare a una ripresa o a una non ripresa del calcio senza alcun tipo di compromesso è quantomeno ipotesi di fantasia.