Così, de botto: quello che stiamo vivendo da due anni

26.05.2023 16:10 di  Alessandro Carducci  Twitter:    vedi letture
Fonte: L'editoriale di Alessandro Carducci
Così, de botto: quello che stiamo vivendo da due anni
Vocegiallorossa.it

Chi è nato negli anni ’90, avrà ricordi più o meno vaghi dello scudetto del 2001. Dopodiché, ricorderà bene le prime avvisaglie di problemi economici, le dolorose cessioni dei giocatori più importanti, qualche Coppa Italia e tanti, troppi, rimpianti, a partire dallo scudetto sfumato con Ranieri, per poi proseguire tra stagioni sfortunate, cammini europei precocemente interrotti, polemiche arbitrali, giornate storiche come la rimonta al Barcellona poi sfumate con l’eliminazione con il Liverpool e via discorrendo.

LA RASSEGNAZIONE - Fino a un anno fa, sembrava impossibile, o almeno improbabile, poter anche solo associare la Roma a una vittoria importante, a una vittoria europea. Sembrava (era) troppo lontano il tempo in cui i giallorossi avevano vinto qualcosa di solido, qualcosa di storico, e la normalità sembrava essere quella del “facciamo finta tutti di crederci, raccontiamoci di potercela fare ma tanto, nel nostro cuore, sappiamo tutti che nemmeno si arriverà a sfiorare una vittoria importante. E più passava il tempo, più questa consapevolezza si solidificava, si sedimentava nell’animo di ognuno, diventando una certezza granitica, inattaccabile, inoppugnabile. Ogni nuovo acquisto dichiarava di voler vincere qualcosa e noi leggevamo con tenerezza le dichiarazioni, fingendo di credere che sarebbe stato possibile, sorridendo l’un con l’altro ma sapendo, in fondo, che non sarebbe accaduto.

LA SPERANZA - Anno dopo anno la stessa storia. Finché, all’improvviso, arriva José Mourinho, che può piacere o non piacere nei modi, nello stile di gioco, negli atteggiamenti in campo e fuori, ma al primo anno vince la Conference League e, l’anno successivo, arriva in finale di Europa League: “così, de botto, senza senso”, per gli appassionati di Boris. Senza avvisare, senza dare il tempo di abituarsi a un popolo che aveva, ormai, quasi rinunciato a sognare, a sperare, a credere di poter almeno lottare per qualcosa. L’abitudine alla sconfitta aveva permeato il Dna del tifoso della Roma, che si era serenamente rassegnato. Poi arriva lui, lo Special One, e senza dire niente a nessuno porta una Coppa europea a Trigoria. Poi, non contento, ci distrae polemizzando con arbitri e con la propria società, e mentre noi siamo assuefatti e imbambolati di fronte a questo continuo scontro dialettico, di fronte a un monologo costante e incessante, lui porta la Roma in finale di Europa League. Anche qui, senza aver prima avvisato. Come si è permesso? Ma, soprattutto, come ha fatto? Ci hanno provato in tanti prima di lui ma nessuno ci era riuscito. Qualcuno, al massimo, si era avvicinato. Poi è arrivato Mourinho e, con la delicatezza di un sognatore e l’irruenza di un toro in un negozio di cristalli, ha trascinato la Roma di impeto fin dove (quasi) mai si era spinta nella sua storia. Se non lui, chi merita l’appellativo di Special One?