Cultura vincente cercasi
Probabilmente non aveva sbagliato Luis Enrique, nel 2011, a volere fortemente il mental coach nel suo staff a Roma.
Sono passati quasi 8 anni eppure non è cambiato molto.
La Roma non ha tenuta mentale: lo scorso anno, dopo la qualificazione agli ottavi di Champions, tirò i remi in barca e perse più di un mese in campionato. Il motivo? L’essersi rilassati dopo l’ottimo girone di Champions League.
A Roma è così: non essendoci la cultura della vittoria, se fai qualcosa di buono sei a posto per diverse settimane, puoi vivere di rendita. Non importa se si tratta di una partita, di un girone di Champions, di un filotto di 3-4 gare.
All’improvviso scatta qualcosa nella testa dei giocatori e, mentalmente, la squadra molla.
Così, sul 3-0, la partita è stata data per chiusa e quando ciò accade è poi difficilissimo rientrare in gara ed essere concentrati.
Dzeko, anima candida ancora non calatosi completamente nella paludosa mentalità nostrana, a fine gara ha dichiarato di non riuscire a spiegarsi il motivo di un secondo tempo del genere.
La fortuna continua a essere la stessa: né la Lazio e né il Milan sembrano in grado di avere continuità e solidità e questo consente alla Roma di cadere e ricadere nei propri vecchi schemi, scrollarsi la polvere di dosso e riprendere serenamente il cammino.