Bavagnoli: "La Roma un'opportunità da cogliere al volo. Ora le ragazze possono sognare di diventare professioniste"

30.03.2019 12:09 di  Gabriele Chiocchio  Twitter:    vedi letture
Bavagnoli: "La Roma un'opportunità da cogliere al volo. Ora le ragazze possono sognare di diventare professioniste"
© foto di Luca d'Alessandro

Il coach della Roma femminile, Elisabetta Bavagnoli, ha rilasciato una lunga intervista a The Equalizer, parlando del calcio femminile e della sua esperienza in giallorosso.

Secondo te, quali furono le ragioni per cui l’Italia aveva un grande campionato tra gli anni ‘80 e ‘90?
“Avevamo certamente molti ottimi giocatori, italiani e stranieri, in quel periodo. Era un periodo in cui lottammo un sacco di battaglie e portammo a casa alcuni grandi risultati. Pensando ad adesso, non ho dubbi che i giocatori di quell’epoca fossero pioniere del calcio femminile. Quando viaggiavamo con la nazionale e affrontavamo squadre più forti, ci rendevamo conto che avevamo ancora molto lavoro da fare per raggiungere quel livello. C’er una grossa differenza fisica tra loro e noi. Ma abbiamo lavorato sodo per ridurre il gap e in parte ci siamo riuscite, grazie al talento di alcuni nostri giocatori. Sfortunatamente, tuttavia, in Italia ci manca una cosa vitale: il desiderio di investire nel calcio femminile”.

Che ricordi hai del Mundialito? Quando lo avete vinto, vi siete sentite Campionesse del Mondo?
“Ho bei ricordi di tutte e tre le edizioni del Mondialito, che l’Italia ha vinto negli anni ‘80. Ho ricordi particolarmente saldi dell’edizione 1986, perché segnai contro la Cina e anche perché battemmo gli USA in finale. Mi stavo facendo un nome come calciatrice, ma mi sentii bene. C’era una grande competizione per entrare in nazionale”.

Come ti sei sentita a partecipare nella prima Coppa del Mondo Ufficiale? C’era grande interesse?
“Ero davvero eccitata di partecipare, non solo per me ma anche per le mie compagne. Eravamo felici, grate e pronte a mostrare al mondo che le donne potevano giocare a calcio e mettere su uno spettacolo. Ero una delle giocatrici più esperte in squadra, nei migliori anni della mia carriera. Chiudemmo quinte e - considerate le squadre che affrontammo - penso che fosse un ottimo risultato. Fummo eliminate dalla Norvegia, che era una delle squadre migliori, allora. Le persone erano davvero coinvolte, ma a casa non c’era molto interesse. Le nostre partite ottenevano solo poche righe sui giornali. Fortunatamente, ora c’è molto più interesse nel calcio femminile, ed è una buona cosa”.

Come giudichi lo standard della Serie A negli anni ‘80 e ‘90 rispetto ad adesso?
“Oggigiorno, le squadre femminili possono giocare in un modo più piacevole, perché il nostro modo di giocare è molto cambiato. Non giochiamo più uomo a uomo, come negli anni ‘80, e molte più persone guardano alla tattica e contribuiscono alla crescita del gioco in diversi settori. Parlando in generale, penso che le partite siano molto più godevoli, nonostante in passato avessimo giocatrici sicuramente migliori rispetto ad adesso. Non parlo solo di Carolina Morace e Adele Marsiletti, ma anche altre campionesse come Susanne Agustesen. Detto questo, le squadre di oggi hanno più qualità e investono molto di più nelle giocatrici, mentre ai miei tempi ci si costruiva attorno al talento dei singoli. Tuttavia, c’è una cosa che fa tutta la differenza del mondo tra quando giocavo e adesso: giovani ragazze che vogliono giocare a calcio, oggi, possono farlo facilmente, mentre ai miei tempi non c’erano centri di formazione per ragazze, quindi c’erano meno opportunità per loro”.

Secondo te, perché il campionato ha cominciato a perdere terreno rispetto alle altre nazioni? O non sei d’accordo con questo?
“Nei tardi anni ‘90 e nei primi 2000, il calcio femminile ha avuto un declino. Noi giocatrici ce ne siamo rese conto guardando agli altri paesi, dove il calcio femminile si stava sviluppando rapidamente. Nel resto del mondo, l’interesse nel calcio femminile stava crescendo grazie al mondiale 1999, che fu seguito da molte persone in tutto il mondo, ma in Italia l’interesse creato da una generazione d’oro di calciatrici, che era a fine ciclo, stava svanendo. Non c’era una vera nuova generazione pronta a prendere il testimone, perché i miglioramenti nella qualità della nazionale negli anni ‘90 non corrispose a un miglioramento delle strutture, che avrebbe permesso a giovani giocatrici di sviluppare il loro talento”.

Quando guardi alla Serie A di oggi, con il passaggio tra i professionisti, ti chiedi mai cosa sarebbe successo se fosse accaduto ai tuoi tempi?
“È il rimpianto più grande della mia generazione quello di non poter beneficiare di quello che abbiamo oggi. Abbiamo strutture dedicate solamente al calcio femminile, staff tecnici qualificati, media interessati a questo sport e tifosi che vogliono seguire le partite femminili così come le maschili. Se tutto questo fosse successo per la mia generazione, sono sicuro che l’Italia avrebbe avuto più successo in campo internazionale e saremmo molto più competitive ora”.

Pensi che il calcio italiano femminile abbia le stesse caratteristiche di quello maschile, o l’approccio è molto differente?
“C’è un solo calcio e l’approccio è lo stesso. La differenza fondamentale tra uomini e donne è l’abitudine a giocare. I ragazzi si abituano a calciare da piccoli, in Italia abbiamo passato troppo tempo pensando che il calcio non fosse uno sport per ragazze. C’erano troppe barriere idelogiche alzate davanti alle ragazze che volevano giocare a calcio ed è solo recentemente che le persone si sono rese conto che non c’è differenza tra calciatori uomini e donne, e che entrambi sono liberi di esprimere il loro talento”.

Quanto è cresciuto, dal tuo punto di vista, l’interesse per il calcio femminile in Italia durante la tua vita?
“Penso che lo sviluppo del calcio femminile in Italia sia vitale. Possiamo fare ancora di più, perché in Italia le calciatrici non sono ancora riconosciute come professioniste e sarà un passo fondamentale se vogliamo che il gioco continui a crescere”.

Secondo te, la nazionale ha possibilità di andare lontano nella Coppa del Mondo e vincerla? Se non quest’anno, ci sono giocatrici che potrebbero farlo nel 2023?
“Penso che l’Italia possa superare la fase a gruppi, perché abbiamo la qualità necessaria per causare problemi a Brasile, Australia e Giamaica. Superare i gironi ci darebbe molta fiducia e non ci sarebbero più limiti, sarà decisiva la mentalità per andare avanti. Secondo me, nel 2023 raccoglieremo i frutti della battaglia che le calciatrici stanno combattendo adesso. Ci permetterà di essere una nazionale migliore. Nei prossimi anni vedremo più ragazze giocare a calcio e la qualità del campionato migliorerà”.

In un periodo in cui le opportunità per il calcio femminile erano poche, cosa ti ha spinto ad allenare? È particolare sfidare Carolina Morace, con cui hai lavorato insieme per tanti anni?
“Ho sempre voluto trasmettere la mia esperienza alle generazioni più giovani. Ho cominciato allenando gli uomini, prima di lavorare con le donne. Quando la Roma mi ha chiamato per vedere se fossi disponibile ad allenare la loro squadra femminile, sapevo che fosse un’opportunità da prendere al volo. Era come la fine di un ciclo. Ho ripensato a quando giocavo negli anni ‘80, alle battaglie combattute dalla mia generazione e a ciò che sognavo, e questa esperienza alla Roma mi ha permesso di realizzare quei sogni. È stimolante e un po’ strano sfidarmi con Carolina, non avrei mai immaginato di trovarmi faccia a faccia con lei come allenatrici”.

Ci sono più obblighi nell’allenare una squadra conosciuta come la Roma?
“Senza dubbio, il fatto che la squadra maschile sia così seguita ha dato alle donne molta visibilità dall’inizio. Questo ha spinto me e il mio staff a essere ancora più concentrati su tutto quello che facciamo. La Roma ci dà tutto quello di cui abbiamo bisogno, dunque dobbiamo sfruttare tutte le opportunità che ci vengono concesse. Questo significa che le ragazze possono allenarsi al massimo livello, in un contesto competitivo, ma inevitabilmente aumenta le mie responsabilità come allenatrice”.

Il tuo obiettivo è vincere trofei o sviluppare giocatrici?
“La squadra è formata da molte giovani, talentuose giocatrici, quindi inevitabilmente il primo step è quello di sviluppare il gruppo. Detto questo, abbiamo raggiunto le semifinali di Coppa Italia, quindi provare a vincere il nostro primo trofeo è diventata la priorità. Dobbiamo puntare a questo, dopo tutto quello che abbiamo fatto. Dopodiché, abbiamo idee molto chiare per la prossima stagione: vogliamo qualificarci per la Champions League e misurarci sul palcoscenico internazionale”.

Con Roma, Juventus, Milan e Fiorentina che hanno squadre professionistiche, ha senso per le ragazze entrare nel calcio e puntare a una carriera professionistica?
“Assolutamente. Grazie alle squadre femminili delle squadre professionistiche, molte ragazze possono sognare di diventare professioniste e di giocare per la loro squadra preferita. Per la prima volta da tanto tempo, c’è molto interesse nello sviluppo delle squadre femminili. Speriamo che si continui così perché ci saranno tante altre sfide all’orizzonte”.