La diagnosi del dottor Keita
Più che professore o rettore, Seydou Keita ha parlato da dottore, offrendo direttamente dall’interno una diagnosi della malattia che sta avvolgendo la Roma e che le ha - ormai di fatto - impedito di giocarsi il titolo fino in fondo contro la Juventus: “La differenza sta nella fiducia in questa partita e nel campionato la tranquillità, che a noi è mancata”.
Fiducia e tranquillità che a inizio anno erano a livelli straordinari, ma che piano piano, col palesarsi di piccole e prevedibili e grandi e meno prevedibili difficoltà si sono col tempo erose fino a quasi paralizzare la squadra, che riesce a esprimersi al meglio delle proprie possibilità solo quando liberata dalla pressione mentale che l’attanaglia. Non faranno una prova, ma la partita del de Kuip, con il fattore ambientale che ha preso il sopravvento su quello strettamente sportivo, e i venti minuti finali di Roma-Juventus, con i giallorossi che, sotto di un gol e di un uomo, non avevano più nulla da perdere, sono due indizi difficilmente ignorabili. Ed è difficile ridurre a un solo episodio o fatto la genesi del problema: le dichiarazioni di intenti di Garcia (che ha perfettamente spiegato domenica in conferenza stampa) dopo Juventus-Roma hanno in realtà sortito un effetto positivo nel breve periodo, la caduta contro il Bayern Monaco dopo un po’ di tempo può diventare più un alibi che una causa e l’assenza degli uomini di personalità come Maicon, Castan e Strootman non può essere da sola sufficiente a giustificare prestazioni incolori contro squadre di bassa o bassissima classifica. È stata la somma di questi - e di altri - elementi ad aver creato, un po’ a valanga, questo scompenso mentale che ora blocca la Roma insieme al deficit atletico piuttosto palese nelle ultime partite.
Non ci saranno sempre tifosi avversari armati di accendini e altri oggetti a a scatenare una reazione nervosa ai giocatori, così come non si può aspettare di essere spalle al muro per reagire e tirare fuori quel buono che questa squadra ha dimostrato di avere. Non sono bastate terapie d’urto come una quasi eliminazione in Coppa Italia con le riserve dell’Empoli e l’eliminazione reale con la Fiorentina o più a lungo termine come questa lunghissima serie di pareggi ottenuti, tra le altre, con squadre che non si sa neanche se finiranno la stagione, per far uscire la squadra dal guscio in cui ormai è rintanata da troppo tempo. La domanda, a cui neanche il dottor Keita ancora ha trovato risposta, è: cosa servirà per farlo?