Il grigio tra Dzeko e Antonucci
Siamo arrivati a meno di una settimana dalla fine del calciomercato e della cessione di Edin Džeko non solo, ancora, non si vede traccia di ufficialità, ma, soprattutto, non si è ancora riusciti a decidere con (quasi) matematica certezza se sia un’operazione inaccettabile, mediocre, accettabile, superba o altro. Ci sono tanti (almeno due) aspetti su cui valutarla, in questo momento quello finanziario sembra (leggasi: è) quello preponderante e l’eccezionalità dell’affare non è descritta da chi scrive, ma da Cristiano Giuntoli, direttore sportivo del Napoli, che nel 2015, quando la Roma Džeko lo stava acquistando, dichiarava quanto segue: “Dzeko è stato pagato 20 milioni, Il bosniaco al termine del contratto non varrà mai 20 milioni e in proiezione costerà alla Roma 70 milioni”. Inutile girarci intorno, da questo punto di vista (e solo da questo) cedere Džeko è una duplice occasione: dare una importante sistemata ai conti del presente (che comunque andrà data, se non oggi sarà a giugno, e non è detto che sia meglio) e cominciare un processo di normalizzazione (stavolta sì) di quelli del futuro - qualora si voglia farlo, il che a oggi è un’ipotesi ancora tutta da verificare - operazione per cui è inevitabilmente necessaria quasi una tabula rasa a livello tecnico, perché smontare solo pochi pezzi e sostituirli significherebbe semplicemente rimanere nella terra di nessuno, con costi comunque poco sostenibili e una competitività comunque insufficiente per giocarsela realmente ai vertici della classifica. Una terra di nessuno che, però, non sarebbe neanche il grigio che Monchi ha invocato a livello ambientale, ma che a livello tecnico potrebbe essere la base da cui ripartire per cercare di costruire, finalmente, qualcosa di durevole e autosufficiente, nei limiti in cui può essere nel calcio del 2018 e del fair-play finanziario che cristallizza i rapporti di forza anziché rimetterli in discussione.
E questo grigio, chiaramente, non può essere il 18enne Mirko Antonucci con tutto ciò che il 18enne Mirko Antonucci rappresenta: una soluzione spesso invocata dal basso, ma quasi mai digerita quando imposta dall’alto (ricordate Verre?) e oggettivamente non conforme - a priori - ad ambizioni che si possono avere dentro e fuori da Trigoria. E che non si possono negare, anche quando si ha la consapevolezza di non poter far corrispondere ad esse una reale possibilità: una eventuale chiarezza a parole sull’impossibilità di andare oltre certi livelli non solo abbatterebbe anche quel poco di positività rimasta (e il contrario, checché se ne dica, è semplicemente una favola da raccontare ai bambini, con mille esempi a Roma e non solo), ma danneggerebbe anche l’immagine di quella che è e resta un’azienda quotata in borsa, con tutte le conseguenze del caso. Se la Roma cederà Edin Džeko sarà per lo stesso motivo per cui ha ceduto Mohamed Salah, Miralem Pjanić e tutti gli altri, con la possibilità (speranza?) di sfruttare questo ennesimo bivio per prendere una strada del tutto nuova, posto che quella vecchia ha portato frutti (vero) comunque relativi (altrettanto vero), e non avere più almeno parte dei motivi per cui quei giocatori sono partiti. Una transizione che può essere dolorosa, ma che a un certo punto diventerà inevitabile: forse è meglio anticipare i tempi per farsi trovare pronti.