Cambiare sempre per non cambiare mai
Ci risiamo. La disastrosa partita contro la Fiorentina, che ha decretato l’eliminazione della Roma dall’Europa League e dunque l’addio all’ultima tangibile possibilità di mettere le mani su un trofeo in questa stagione, ha portato l’ambiente a chiedere la caduta di qualche testa, un cambiamento che possa dare una svolta alla squadra, ormai paralizzata dall’infinita serie di risultati negativi. Il direttore sportivo Walter Sabatini ha rimandato la questione a fine stagione, sostenendo che abbandonare ora equivarrebbe a una fuga, mentre il tecnico Rudi Garcia ha rilanciato con una rabbia comunque contenuta in conferenza stampa, in cui ha più volte battuto le nocche sul tavolo e ha salutato tutti dopo tre domande. Una situazione ciclica che puntualmente, dopo un anno di pace, si è ripresentata dalle parti di Trigoria, con l’invocazione di dimissioni un po’ di chiunque e la contestazione ai giocatori. Come se cambiare repentinamente elementi a caso abbia portato qualcosa di buono.
In quattro anni di gestione americana, si è provato ogni cosa: si è partiti dall’avanguardia di Luis Enrique per poi tornare all’antico con Zeman, si è tentato di costruire con i giovani e poi di vincere subito coi vecchi, si è puntato su Destro salvo poi scaricarlo dopo mezza stagione parzialmente negativa (perché i numeri di quella precedente non possono mentire), così Iturbe in estate sembrava indispensabile e adesso un giocatore da buttare. Non solo: anche prima del passaggio di proprietà, Totti era in alternanza problema e soluzione, la normalità di Ranieri medicina contro il calcio poco digeribile di Spalletti e Montella il rimedio contro l’abulia del gioco del testaccino. E si può andare indietro nel tempo a cercare richieste su richieste di scosse, cambiamenti, rivoluzioni, successive a sconfitte folli come quella di ieri, come quella contro il Cagliari nel 2013 o quella contro il Genoa nel 2011.
Non sarà forse proprio questa incapacità di gestire i momenti no, questa voglia di trasformare ogni risultato fortissimamente negativo in tragedia (senza l’aggettivo sportiva) a impedire di seguire il percorso intrapreso? Cambiare dirigenti, allenatori e giocatori a raffica non può permettere in alcun modo di consolidare un’idea di calcio e di formare quella consapevolezza necessaria per aspirare a grandi obiettivi. La rosa attuale avrebbe necessitato a priori di modifiche per la prossima stagione (un nuovo portiere, una nuova coppia di terzini, un attaccante giacché si è scelto di rinunciare a Destro, che peraltro potrebbe ancora tornare alla base, e l’eventuale sostituto di un partente di lusso), aggiungere altra carne al fuoco, come un ennesimo avvicendamento in panchina o in dirigenza, significherebbe appiccare un incendio che brucerebbe quel poco rimasto in piedi. Con tutte le conseguenze del caso: incertezze su quello che accadrà, magari meraviglia se dovesse uscirne qualcosa di buono ma sempre con la condanna di dover tentare un miracolo sportivo per ottenere risultati tangibili. E, da queste parti, di miracoli se ne sono visti davvero pochi.