Questione di priorità

21.09.2015 21:50 di  Gabriele Chiocchio  Twitter:    vedi letture
Questione di priorità
Vocegiallorossa.it
© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

“Allenatore o addestratore? Mi piace il campo, ma ci sono delle situazioni in cui bisogna essere anche psicologo. So cosa può significare, ma oggi la mia squadra ha fatto vedere di sapere quello che deve fare”. Parole di Eusebio Di Francesco, che per il terzo anno consecutivo ha fatto disputare al suo Sassuolo una partita più che positiva e ha bloccato i giallorossi sul piano del gioco prima che per quanto riguarda il risultato, che mai come nelle sfide all’Olimpico tra giallorossi e neroverdi è stato frutto di episodi e casualità, tra autogol fortunosi, giocate da campione e sviste arbitrali. E mai come nelle sfide all’Olimpico tra giallorossi e neroverdi è emersa la totale differenza di approccio al calcio di Garcia e Di Francesco: il tecnico francese già al suo primo anno di gestione ha puntato molte delle sue fiches sul lato psicologico, pungolando un gruppo incenerito da quanto vissuto nella precedente stagione e riuscendo a fargli tirare fuori ogni goccia di energia disponibile, mentre l’ex centrocampista giallorosso, considerato da sempre un allievo di Zdenek Zeman, ha ereditato dal boemo - oltre al modulo, il 4-3-3 - la mentalità di ricercare i punti attraverso il gioco e il lavoro settimanale: “Il mio segreto? Il lavoro, dare continuità ai movimenti in allenamento. I giocatori li memorizzano e la domenica viene facile”.

Entrambe le tipologie di lavoro (semplificando ovviamente il discorso) hanno difetti e benefici e non possono essere di certo una, due o tre partite a dover far preferire l’una all’altra, in contesti peraltro completamente diversi per ambiente, pressioni e obiettivi: è una questione di priorità e Garcia, che pure a Lille ha mostrato molto sul piano del gioco e delle idee, ha scelto di puntare ad avere una squadra più motivata che preparata tatticamente. Un gioco semplice e poco approfondito può essere comunque sufficiente se a praticarlo sono grandi giocatori - come quelli che la Roma ha, vedasi il gol del 2-2 di Salah - e a patto che i giocatori stessi siano sempre pronti, tirati a lucido e sul pezzo. Il doppio impegno e dunque la necessità di effettuare delle rotazioni ha però già dalla scorsa annata messo a nudo difficoltà prima di tutto nella gestione delle risorse, con un turnover più motivazionale che tecnico che spesso ha finito per proporre soluzioni discutibili come due giocatori inclini ad accentrarsi quando serviva ampiezza (a Verona), tre giocatori poco abituati a fare anche la fase difensiva quando serviva equilibrio (a Frosinone) e due difensori a disagio a giocare sul proprio piede debole contemporaneamente (contro il Sassuolo). La mancanza di un piano di gioco applicabile a prescindere dagli interpreti non ha dunque permesso a Garcia di avere un appiglio nel momento in cui la semplice somma delle parti, per un motivo o per l’altro, non è stata sufficiente per vincere le partite.

È difficile, pur con una stagione ancora all’alba, cambiare approccio e quanto fatto da Garcia ha comunque portato ad avere una squadra che nei momenti di buio e a un passo dal baratro ha saputo ritirarsi su da sola senza bisogno di scosse, un gruppo di giocatori coeso e pronto a mettere tutto quello che ha per andare oltre gli ostacoli; tuttavia, la svolta necessaria per passare dal difendere un obiettivo minimo ad attaccarne uno massimo e per dare un seguito a dei presupposti adatti per puntare in alto risiede nell’aumentare la potenza di fuoco, nell’avere più strumenti necessari ad alzare l’asticella e superarla senza farla cadere. Tradotto: o si trova la formula perfetta per mettere in campo ogni tre giorni, con le variabili legate a infortuni e squalifiche, una squadra sempre pronta, in forma e con giocatori adatti da soli, con le loro caratteristiche, a contrastare all’avversario di turno, semplicemente da preparare mentalmente di volta in volta, o si rende necessario lavorare maggiormente sul campo, cercando nel gioco sicurezze che possano fare da toppa a mancati incastri di formazione e accettando il rischio di non trovarle semplicemente dentro di sé. Garcia sembra aver fatto la sua scelta e aver stabilito le sue priorità, ma chissà che essere un po’ più Di Francesco non possa cambiare le cose.