Slideshow, Rizzitelli: "Viola è il padre di questa società. La Curva Sud è fondamentale per la Roma"
È l'ex giallorosso Ruggiero Rizzitelli il protagonista dell'odierna puntata di Slideshow, in onda su Roma TV alle ore 19:30. Ecco le sue dichiarazioni.
A Cesena.
"L'esordio in Serie A, tra i professionisti, quelli che ho sempre sognato. È stata la mia prima soddisfazione, avevo vinto l'anno prima la Serie B".
Di Bartolomei e Conti.
"Di Bartolomei mi ha insegnato a stare in campo in A, mi ha dato consigli giusti. Ero un ragazzino che si affacciava da poco in A".
Il primo anno a Roma.
"Una soddisfazione immensa, quando sono arrivato qui non sapevo se dare del lei o meno. Vedere Conti, Giannini, Voeller, Nela, gente che ho ammirato in TV... non sapevo come comportarmi. Mi hanno fatto sentire uno di loro. Il passaggio tra Cesena e Roma è stato duro, venivo da una cittadina, alla presentazione ero spaeventato, l'impatto è stato devastante. Avevo anche paura, ero un ragazzino di provincia. Li ringrazio ancora".
Liedholm.
"Il classico allenatore di cui avevo timore, aveva una presenza importante anche se era a fine carriera. Mi ha insegnato tantissimo a reagire alle critiche".
Dino Viola.
"Cosa dire... è un signore, prima che presidente. La persona che tutti i giocatori devono avere come presidente. Ti seguiva. Alla presentazione ero spaventato e lui mi teneva a braccetto (si commuove, ndr). Seguiva la squadra, sempre, ovunque, spegneva le luci a Trigoria, controllava le piante. Parlare di famiglia è scontato, ma lui ha fatto di questo club una famiglia. A volte si è scontrato con realtà del mondo del calcio, mi strappò alla Juventus. Questa persona, questo presidente con più quattrini poteva fare ancora di più. Non è ricordato solo da me come insostituibile, non è retorica dire che è il padre di questa società. Grazie, presidente".
Il primo gol.
"Contro il Lecce, in Serie A, con esultanza sotto la Sud. Emozione incredibile, quello che sognavo. Sentii il mio primo coro, una soddisfazione che bisogna provare".
Rudi Völler.
"Mi ha aiutato tantissimo, io ho portato acqua per lui, mi facevo il mazzo ma se lo meritava. Mi ricordo una partita, avevo i crampi anche al cervello. Mi si avvicinò, mi disse che avrebbe corso lui per me. Mi ha dato la forza per correre ancora, dice tutto del gruppo che c'era".
La maglia azzurra.
"C'è rimpianto, arrivai giovanissimo con Vicini. A Roma nel 1990 mi feci anche male, non partecipai ai mondiali. Il rimpianto è tantissimo, subito dopo mi riguadagnai il posto e a Mosca fu esonerato Vicini, con Sacchi fu la fine di quella squadra. Lui fece fuori tutti i giocatori di Vicini, pensava che il suo gioco facesse la differenza. I valori in campo però sono dei giocatori. Sacchi non la pensava così, mi scontrai con lui, mi diceva che pensassi prima alla Roma e poi alla nazionale. È una conseguenza, la squadra è quella che mi paga. Se faccio bene alla Roma, merito la nazionale. Ognuno pensa quel che vuole, sono orgoglioso di quello che ho detto e che ho fatto".
Un gol contro il Bologna, di testa.
"Giornata drammatica, soccorsi Lionello (Manfredonia, ndr) per primo. Vidi che non respirava più, non riuscivo ad aprirgli la bocca. Arrivò Giorgio Rossi, prese le forbici per tagliare le fasce e gliele ha infilate in bocca rompendogli un dente per aprirla. Solo così è riuscito a farlo riprendere".
Il derby.
"Pensavo ai tifosi che il giorno dopo sarebbero stati presi in giro, c'è stata la rabbia del tifoso. Staccare così e cercare il gol alla fine era un gesto da tifoso. Ne ho fatti tanti di derby, a Torino e a Monaco. A Torino ho fatto 5 gol alla Juventus, due doppiette con due vittorie. L'anno scorso Quagliarella è riuscito a battere la Juventus. Il tifo è caloroso come quello di Roma, ma se avessi segnato qui i gol che ho fatto lì... a Roma dal ritiro mi parlavano della data del derby e non capivo, ricordo che chiesi e mi fu spiegato. Capii la differenza, il derby di Roma è unico".
Su Roma-Broendby.
"Un gol storico, ci ha permesso di arrivare in finale di Coppa UEFA. Ci siamo arrivati insieme io e Voeller, simbolo di grande cattiveria. Partita strana all'inizio, dopo lo 0-0 esterno si parlava di una partita scontata, ma all'inizio la squadra era spenta. Urlavo e i compagni non mi seguivano, mi è partita la vena. Ho iniziato a correre dietro a tutti, feci un fallaccio clamoroso, rischiai l'espulsione. L'arbitro mi ammonì e mi rivolsi ai compagni che mi guardavano con gli occhi sbarrati per svegliarli. Quella reazione scatenò pubblico e squadra, vincemmo alla fine".
Roma-Inter, la finale.
"Una finale che ancora oggi non digerisco. In quel torneo facemmo un cammino straordinario, anche in quelle due partite meritavamo di vincere la coppa. Il nostro errore fu San Siro, non eravamo come l'Inter, squadra esperta di queste competizioni. Voglio ricordare quel rigore concesso per cui qualcuno urla ancora allo scandalo, possiamo urlarlo anche noi. Dopo il rigore eravamo ancora a protestare, loro hanno segnato di nuovo. Nel ritorno ce la mettemmo tutta, presi subito un palo, se avessi segnato subito la partita avrebbe avuto un'altra storia. Questa coppa volevamo dedicarla al grande presidente. Da lassù ha visto quella volontà. La Curva Sud è fondamentale per la Roma, è quella che ti dà l'entusiasmo, ti trascina nei momenti difficili. Oggi vediamo che questa curva non c'è e si vede. Giocare in uno stadio deserto è un dolore immenso, la squadra ne risente, è il cuore di questo stadio. Diventa tutto noioso e triste, faccio un appello a chi deve ricucire questo strappo, si vengano incontro. Questi ragazzi non hanno colpe".
La Coppa Italia.
"A Genova, contro la Sampdoria. Non vincemmo la Coppa UEFA, ma regalammo la Coppa Italia al presidente. Vedo Ciarrapico a destra. La cosa bella è che la moglie del Presidente fu la prima a venire in campo ad alzare la Coppa, era giusto che Ciarrapico si facesse da parte. Se lo meritava la famiglia Viola, la coppa che volevamo era la Coppa UEFA".
Il pianto per la coppa.
"Mi fa male, ancora. Sono immagini che non voglio mai vedere. È dura, non riesci mai a dimenticare, era una cosa che volevamo tutti e non ci siamo riusciti. Ci abbiamo messo l'animo, il cuore, non ce l'abbiamo fatta. Credo che la gente ha ammirato quella squadra, si era creata una famiglia. Eravamo un gruppo unito, non dei campioni. Ma nessuno poteva dirci che non ci mettevamo il cuore, era una grande squadra per quello (si commuove, ndr)".
Abbraccio di squadra.
"Quando si giocava contro di noi, le altre dovevano faticare. Alla palla persa c'era il compagno che rischiava la gamba per te, spero che qualche giocatore di oggi capisca che il gruppo è fondamentale, trascina tutti. La gente per essere trascinata deve vedere queste immagini".
Totti.
"Ho avuto l'onore di farlo esordire. Ero un ragazzo, faceva impazzire i vecchi. Chi si permetteva di fare certe cose veniva picchiato, lui è l'unico che subiva fallacci dai nostri difensori, ma quando ricapitava rifaceva il dribbling, segnale di personalità. Ricordo Collovati, Oddi, Nela, gente con esperienza. Ho avuto la fortuna di fargli fare l'esordio, ricordo Boskov che lo chiamava ragazzino. Grande Francesco".
Mazzone.
"La persona che mi ha fatto male. Mi ha fatto lasciare Roma, mi ha fatto litigare con mia moglie. Non volevo andare via, fui costretto. Non ho avuto un bel rapporto con lui. In un derby venivo da un infortunio, ci tenevo tantissimo a esserci, non per essere titolare. Feci di tutto, mi allenavo anche di notte per essere presente. Il sabato, nonostante stessi bene, mi disse di farmi da parte. Da lì ho perso la testa, si è rotto tutto. Fui richiamato a fine campionato da Sensi insieme a Mazzone, ci disse di lottare tutti per la Roma. Eravamo quintultimi, dissi che vivevo di quello, che ero pronto. Da lì ci fu la grande risalita, cinque vittorie in sei partite. In quell'episodio qualcuno disse di prendere ognuno la sua strada, lo dovetti fare io e Mazzone rimase".
Il primo gol contro la Roma.
"Ricordo che mi aspettavo fischi, ma che la Curva capì perché andai via. Dopo due minuti segnai sotto la Sud. La gente mi applaudì lo stesso, qualcosa ho lasciato".
A Marienplatz, dopo il meisterschale con il Bayern.
"Io e il Trap che cantiamo Volare. Non volevo andare in Germania, il Trap mi ha convinto ad andare in una squadra immensa. Grande soddisfazione, una gioia immensa".
La Hall of Fame.
"C'è solo da inchinarsi, vuol dire che ho lasciato un segno. Vivo di Roma, ho trasmesso questa cosa a mio figlio, portai Gianluca il giorno dello scudetto. Una passione viscerale e questa è la dimostrazione. Se penso di essere stato votato come leggenda allargo le braccia e ringrazio".