Graziani: "Il futuro dell'Italia appartiene a Pellegrini. Dzeko uno dei più forti d'Europa, ma potrebbe essere ancora più padrone dell'area"

05.11.2017 11:05 di  Gabriele Chiocchio  Twitter:    vedi letture
Fonte: TeleRadioStereo
Graziani: "Il futuro dell'Italia appartiene a Pellegrini. Dzeko uno dei più forti d'Europa, ma potrebbe essere ancora più padrone dell'area"
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© foto di Federico De Luca

Francesco Ciccio Graziani è intervenuto ai microfoni di Teleradiostereo.

Cosa ne pensa delle convocazioni di Ventura?
"Penso che siano le più giuste visto il momento del nostro calcio. Il fatto che abbia riportato Zaza mi fa piacere perché negli ultimi due mesi sta facendo cose straordinarie in Spagna col suo club. Sono contento abbia portato in rosa Jorginho, con tutto il rispetto per Gagliardini e Parolo, in quel ruolo vedendolo giocare nel Napoli mi sembrava una cattiveria lasciarlo fuori. Era già stato chiamato da Conte che poi lo aveva scartato".

La non convocazione di Pellegrini?
"Un po’ mi stupisce, negli ultimi tempi tra infortuni e il fatto che gioca poco è stato penalizzato ma il futuro è già scritto e appartiene a Pellegrini. Finiti i prossimi mondiali, con la possibilità di poterli disputare visto che siamo fiduciosi per lo spareggio, il futuro appartiene a Pellegrini e tanti giovani in rampa di lancio".

De Rossi, Verratti e Jorginho?
"Sono tre calciatori che interpretano alla stessa maniera il ruolo con caratteristiche diverse. De Rossi è più metodista, Jorginho ha più movimento e la stessa cosa si può dire di Verratti. Sono tre giocatori che. Mi sembra un esagerazione, probabilmente ne avrei lasciato a casa uno e mi sarei portato Pellegrini, che può fare bene la mezzala destra, è un bene avere giocatori con caratteristiche diverse".

Quale modulo userà Ventura?
"Il 4-2-3-1 con De Rossi e Verratti davanti alla difesa e le tre mezzepunte con Belotti o Immobile davanti".

Hai trovato problemi nell’ambientarti in una nuova squadra?
"No, non ho mai avuto problemi di ambientamento. Mi sono sempre trovato benissimo, sono stato a torino 8 anni, a Roma 4 a Firenze due, ho sempre cercato di farmi apprezzare e rispettare facendo il compagnone con tutti. In una squadra di club con alcuni vai più d’accordo che con altri inevitabilmente".

Che consiglio daresti a Defrel?
"Il problema di Defrel è un altro. Non è stato fortunato perché l’infortunio l’ha penalizzato. Giocare nel Sassuolo ha una sua valenza, ma quando vai nel grande palcoscenico in un teatro in cui la critica è più pesante le responsabilità aumentano, deve esserci una crescita non solo tecnica ma anche di personalità e carattere. Giocare all’Olimpico, al Meazza o allo Stadium è completamente diverso rispetto al giocare a Bologna o a Firenze, ci sono altre pressioni e se non si è bravi a farle proprie diventa un problema per un giocatore, anche se è bravo a giocare a calcio. Un esempio, Bernardeschi a Firenze sbagliava 2-3 passaggi e nessuno diceva niente, se faceva una cosa bella riceveva commenti positivi. A Torino sbaglia un passaggio e sente un mugugno, al secondo sente un rumore, al terzo fa un passaggio a dieci metri invece che a venti e lì il calciatore si condiziona".

Il compagno con cui sei andato più d’accordo e quello con cui ci sei andato meno?
"È una questione caratteriale, a Torino andavo d’accordo con tutti, però magari Santin mi trovavo meno spesso. Ci sono caratteri che si accomunano, altri un po’ meno. Con altri compagni ti trovi anche a fare  una cena con le famiglie e con altri no, ma questo non significa non avere un buon rapporto. A Roma con Pruzzo, Bruno Conti e Falcao ci trovavamo spesso ma con Agostino ad esempio no, è una questione di carattere".

Com’era Zibi Boniek?
"Zibi era un grande, spettacolare. Era uno con cui potevi cazzeggiare dalla mattina alla sera. Oltre ai pranzi, anche dentro la nostra fabbrica, visto che noi eravamo operai di quella Roma, era un divertimento unico. Zibi accetta le battute e le fa , è un compagnone. È stato un piacere giocare insieme a lui. Io sono più un compagnone che un musone".

Il tuo rapporto con gli allenatori…
"Ho avuto Radice, De Sisti, Liedholm. L’unico con cui sono stato un po’ in conflitto era Giacomini l’anno in cui sono stato a Udine. Lì non mi sono mai trovato bene. Con Radice e De Sisti ho avuto un rapporto al di fuori oltre che professionale, parlando di rapporti familiari. Con Liedholm ci ho parlato 15 volte in un anno, il Barone era uno che parlava con gli occhi, dovevi capire cosa ti diceva attraverso gli occhi, con un gesto. Era una persona corretta, quelle poche volte che non giocavo me lo spiegavano, Liedholm no. Non ti dava la maglia e dovevi capire che quella settimana non avevi fatto così bene da meritarti la maglia. Quando non giocavi dovevi capirlo da solo, sono caratteri diversi ma ho avuto affetto e stima per il Barone, perché ho capito che nell’anno in cui ho giocato con lui sono migliorato su alcune cose. Con Eriksson ho avuto un altro bel rapporto, era portato al dialogo, ti offriva il caffè se ti incontrava, eri più vicino all’allenatore perché c’era un rapporto diverso".

Cosa ti ha meravigliato di Di Francesco?
"La capacità di farsi punto di riferimento, di essere credibile al punto da portarsi dietro la squadra nei suoi metodi e pensieri e nel suo modo di fare calcio. Non era facile perché senza un pedigree importante i calciatori potrebbero prendere il sopravvento. Attraverso il lavoro e le sue idee gli ha fatto capire che si possono fare grandi cose, i calciatori lo hanno trovato molto credibile. Lo seguono a testa bassa, qualsiasi proposta la accettano e questo per un calciatore è molto importante".

Da giocatore ti piacevano le donne, adesso non più?
"Quelle mi piacciono sempre (ride, ndr)".

È vero che quando accendi la tv e vedi l’Italia ti viene da piangere?
"Quello no, ma quando vedo l’Italia voglio stare da solo. A volte mi invitano degli amici, ma io l’Italia me la vedo da solo. Non mi piacciono i commenti, è un culto. Preferisco da vederla da solo a casa senza nessuno che mi rompa le scatole, tranne mia moglie".

Col Torino non avete vinto lo scudetto facendo il record di punti…
"Abbiamo anche spesso mazzolato la Juventus, avremmo vinto dieci campionati di fila con quel numero di punti. Il bello di quel periodo è che non ho mai giocato un derby con meno di 70mila persone. Oggi vedi un derby al Grande Torino e a malapena vedi 25mila persone. Come all’Olimpico, all’una c’erano già 30mila persone. A Roma meno di 50mila persone non le vedevi, entravi in campo ed erano tempi meravigliosi".

Dzeko?
"Questo Dzeko è straordinario, l’anno scorso ha fatto un campionato meraviglioso, complice l’aiuto dei compagni che ha ripagato in maniera meravigliosa. Se potessi dargli un consiglio, gli direi che calcisticamente deve diventare un po’ più cattivo a livello di possesso palla e di far salire la squadra. Ha volte dà l’impressione di essere un po’ molle, deve essere più reattivo su alcune cose. È già uno degli attaccanti più forti d’Europa, ma potrebbe diventare ancora più forte e avere un ruolo maggiore, anche nel gioco di testa. Se mette fisicità e potenza, con quella classe, ma chi lo sposta? Solo di testa farebbe 10-12 gol. La cattiveria calcistica, l’aggressività, a volte possono fare la differenza. A volte credo che lui, soprattutto nel gioco aereo, debba fare molti più gol. I gol mangiati possono capitare, mi preoccupo se un attaccante non si mangia i gol, purtroppo quelli si fanno e si sbagliano. Lui con quella stazza fisica potrebbe essere ancora più padrone dell’area di rigore. Pruzzo non aveva quella stazza, ma di testa andava molto più alto di lui. Di testa saltava quasi un metro da terra".