Capanna: "Totti e Nedved impressionanti dal punto di vista fisico"
Ha lavorato cinque anni con Claudio Ranieri, fianco a fianco, come preparatore atletico. Dal Parma all’Inter, passando soprattutto per Juventus e Roma. Riccardo Capanna – classe 1946 – è stato un uomo di fiducia dell’attuale tecnico giallorosso, “poi le strade si sono divise alla fine dell’esperienza con l’Inter, ma i rapporti sono rimasti gli stessi di sempre: ottimi”. Non fa più parte del mondo del calcio, però i ricordi dei suoi trascorsi restano vivi. Curiosità, l’immagine del profilo di WhatsApp è una foto del suo periodo romanista: “In quello scatto sembro un direttore d'orchestra, che dirige gli allenamenti…”. Capanna ha rilasciato un'intervista al Match Program della Roma.
Come iniziò a collaborare con Ranieri?
“Nel 2007, quando Claudio a gennaio andò al Parma subentrando a Pioli nel corso della stagione. Dopo aver siglato l’accordo con il presidente Ghirardi, mi chiamò e mi disse: “Ho firmato per il Parma, vuoi venire a lavorare con me?”. Risposi di sì senza indugiare. Il tempo di fare la valigia ed ero già in macchina. Ma ci conoscevamo da prima, attraverso il mio amico e collega Roberto Sassi. Sassi era stato il preparatore di Ranieri alla Fiorentina, al Valencia e al Chelsea. Ma quando il mister rimase senza panchina, Sassi accettò altre proposte e si staccò. Quindi, pensò a me. Iniziò così”.
E andò bene.
“I risultati furono immediati. Con il Parma ci salvammo facendo una piccola impresa sportiva, dato che la squadra era veramente nelle zone basse della classifica. La stagione successiva Ranieri fu ingaggiato dalla Juventus dopo la parentesi in Serie B. Furono due annate molto positive, chiuse entrambe sul podio del campionato”.
Estate 2009, Spalletti si dimette dopo due giornate e arriva la chiamata della Roma.
“Altra esperienza particolarmente felice. Una serie di risultati utili consecutivi impressionante (24, ndr), fino a sfiorare un incredibile scudetto. Ci andammo veramente vicini, peccato non esserci riusciti. L’anno dopo l’avventura finì a febbraio dopo la partita di Genova”.
Differenze tra Juve e Roma?
“Sono due società diverse nello spirito e nella storia, ma entrambe molto importanti per il calcio italiano. La Juventus è più aristocratica, la Roma più popolare. Ecco, questa potrebbe essere una sintesi giusta almeno per quello che ho potuto constatare in prima persona”.
Entrando nel merito della sua professione, quali sono stati i calciatori che – fisicamente parlando – l’hanno impressionata di più nella sua carriera?
“Beh, parlando di Juve e Roma posso citare un paio di nomi. Nedved per quanto riguarda i bianconeri. Era una bestia, maniacale nell’allenamento. Si parla tanto della cura di Cristiano Ronaldo nel prepararsi fisicamente, Nedved era molto simile. Stessa cosa per Totti in giallorosso, non a caso Francesco ha giocato fino a quarant’anni inoltrati, nonostante abbia affrontato in carriera alcuni infortuni”.
Ecco, a tal proposito: esiste un rapporto di incidenza tra preparazione atletica e infortuni muscolari?
“Per me no. C’è tanto di casualità e fortuna per quanto riguarda gli infortuni nell’arco di una stagione calcistica. Il calcio è uno sport traumatico: chi più e chi meno, prima o poi tutti i giocatori incorreranno in alcuni stop. È impossibile non farsi male. Ci sono diversi fattori che possono portare un calciatore ad avere problemi fisici”.
Ad esempio?
“Intanto, premettiamo. Non esiste alcuna soluzione ai traumi muscolari. Ho sempre sostenuto che se qualcuno la troverà, meriterà il premio nobel per la medicina. Come dicevo, esistono tante variabili che possono incidere nella gestione di un atleta. E nel calcio ce ne sono diverse e inaspettate. Tra queste, la gestualità”.
Spieghi.
“Non si può prevedere in partita cosa farà un giocatore, come si muoverà in campo. Quanto correrà o a cosa può andare incontro. Può succedere di tutto, senza possibilità alcuna di poterlo prevedere. Inoltre, va anche considerata la carriera del giocatore. Se nel corso del tempo ha avuto problematiche fisiche, è più facile che ci ricaschi. Cito un altro nome, Chiellini. Giorgio ha sofferto tanto di problemi al polpaccio, se l’è portati dietro per una carriera. Ripeto, deve dirti bene…”.
Dunque, più casualità che altro?
“Esattamente. E se in un determinato periodo in una squadra si concentrano diversi infortuni, la causa – a mio avviso – non va ricercata nella preparazione”.
Il pregio maggiore di Ranieri?
“Quella di avermi dato carta bianca nella cura degli allenamenti. Mi sosteneva. Si fidava al cento per cento del mio metodo. E non è poco per chi fa il mio mestiere. Per dire, Franco Scoglio al Genoa mi faceva sistemare i cinesini sul terreno di gioco perché voleva fare tutto da solo”.
Il suo metodo ha sempre previsto il pallone, pure dalle primissime sedute estive.
“Ho i miei convincimenti e ci sono arrivato dopo anni di studi. Ho sempre cercato di proporre attività che permettessero ai giocatori di fare quei movimenti che poi avrebbero effettuato durante la partita: finte, ripartenze, frenate, scatti e via discorrendo. Lo strumento del pallone è importante e preponderante, però non è detto che debba essere sempre presente. In una partita un calciatore è a contatto con il pallone solo pochi minuti, tutto il resto sono movimenti senza palla, dunque la tecnica di allenamento deve adeguarsi”.
La sua è una filosofia vicina alle metodologie di allenamento spagnole.
“Loro da tempo cavalcano questa idea e sono stati tra i primi a capirla. Ma devo dire che tutto il sistema si è adeguato nel corso degli anni, quelle lunghe sedute di lavoro a secco non servono più”.
La sua ultima esperienza professionale?
“Risale al 2014-2015 con la Virtus Entella, quella della promozione in Serie B. Poi ho preferito fermarmi e dare spazio ai giovani".
Lo ha più sentito l'amico Claudio?
“Ci sentiamo quando capita, il rapporto tra noi due non è mai venuto meno. Sono contento per quello che ha fatto dopo in Inghilterra, vincendo il campionato con il Leicester. Ranieri è un grande allenatore e un uomo leale. Lui è così, non recita. E anche per questo lavorarci assieme è stato estremamente piacevole. Parlo per me, ma anche per i calciatori che ha avuto alle dipendenze. È educato, rispettoso e sa anche essere psicologo con i ragazzi. Conosce i giocatori e sa come prenderli. Tratta tutti con estrema correttezza e all’ambiente trasmette un’allegria di fondo che permette di lavorare con serenità, ma pure con professionalità. Colgo l’occasione per salutarlo attraverso quest’intervista. Ciao, Claudio”.