Quello che poteva essere e non è stato
Si presentò a Roma con un'eloquenza suadente, un modo deciso e sbrigativo, rude ma al tempo stesso raffinato. Voleva intraprendere una rivoluzione culturale a Roma, cambiare il modo di lavorare, di vedere le cose, di vedere il calcio. Walter Sabatini è stato il primo direttore sportivo dell'era americana, l'uomo che, insieme a Franco Baldini, avrebbe dovuto dare un volto nuovo alla Roma targata USA. L'ormai ex direttore generale è caduto sul campo ormai qualche anno fa, schiacciato dalle pressioni e dai fallimenti della Roma di Zeman. Sabatini ha resistito fino a ieri, quando ha ufficializzato la sua resa incondizionata. È sfuggente, ironico, sicuro di sé e del suo lavoro. Il suo operato ha sempre diviso la critica e i tifosi. Indubbiamente Sabatini è stato fondamentale per ricavare risorse e per fare mercato pur senza disporre di grosse somme di denaro. Il suo acquisto spasmodico di giovani da ogni parte del mondo è servito a racimolare qualche euro da investire in operazioni più importanti. Alcune azzeccate, altre toppate in pieno. Ha portato a Roma talenti come Marquinhos, Benatia, Strootman, Maicon, Pjanic, Manolas, ha fallito con Iturbe, Bastos, Stekelenburg e Cole. Il suo difetto è stato quello di rivoluzionare ogni anno la squadra. Se pensiamo che la Juventus da anni vince con la stessa difesa (Barzagli, Bonucci, Chiellini) mentre a Roma i centrali cambiano praticamente ogni anno abbiamo la dimensione esatta della situazione. Bisogna pure considerare che la Juventus ha un fatturato ben più elevato della Roma e questo, alla fine, finisce per avere un peso sostanziale.
AMAREZZA - Dell'esperienza di Sabatini a Roma rimane un retrogusto amaro che faticherà ad andare via. L'impressione che, pur con tutte le difficoltà e con tutti gli errori commessi, si sarebbe dovuto e si sarebbe potuto fare molto di più. La sensazione di non aver appieno sfruttato tutto il potenziale che questa squadra aveva. Ci ricorderemo di ciò che è stato e chissà cosa sarebbe potuto essere.
TENACIA - Si presentò il primo anno all'Ata Hotel Executive. Era l'hotel del calciomercato, dove si facevano tutte le trattative fino all'ultimo secondo disponibile. A gennaio ha chiuso i battenti e con lui è svanito per sempre tutto ciò che è accaduto in quelle stanze: Sabatini arrivò il 29 agosto a Milano, all'Hotel Visconti, due giorni prima della chiusura del mercato. Era il primo calciomercato USA e c'era molta aspettativa. Il 30 agosto il ds giallorosso si spostò all'Ata Executive. Era arrivato il momento, il suo momento. Aveva entusiasmo, voglia di fare e tanto da fare prima del gong finale. Salì al quarto piano dell'Hotel, iniziò ad avere incontri con procuratori e dirigenti. Un via vai continuo che Vocegiallorossa.it vi ha testimoniato in diretta. Sabatini doveva lavorare fino a tarda notte e così, in tarda (tardissima serata) fece entrare noi di Vocegiallorossa in camera, dove era presente anche il suo braccio destro, Massara. Si concesse così 5 minuti di pausa, tra una sigaretta, un'altra sigaretta e ancora un'altra sigaretta. Il suo desiderio era di impostare un rapporto con la stampa trasparente e pulito, aveva grandi idee, grandi progetti per la Roma. Quello che trasmetteva era una voglia di fare pazzesca, un cellulare bollente e un'ansia perenne che lo portava a mettere in discussione tutto e tutti, se stesso in primis. Dopo averci salutato, il ds continuò a lavorare nella sua stanza al quarto piano dell'Ata Executive. Tre ore scarse di sonno e poi uno scoppiettante ultimo giorno di mercato, con le firme di Pjanic, Gago, Kjaer e Borini. Era un nuovo inizio e sembrava tutto bellissimo: “Spalletti sta portando avanti la rivoluzione culturale che volevo fare io 5 anni fa e che non sono riuscito a fare – le sue parole ieri sera -. Il mio rimpianto è di non aver vinto nulla qui”.
Solo la storia potrà dire cosa sarà rimasto di Walter Sabatini a Roma. Nel frattempo, rimarrà il rimpianto, un senso di profonda amarezza per quello che poteva essere e non è stato.