L'azzurro (non) come il giallorosso
“Pensare che è l'ultima volta che mi la sono tolto è qualcosa di doloroso, questa è una mia parentesi che finisce”: con queste parole Daniele De Rossi ha annunciato l’addio alla nazionale dopo 4818 giorni, 117 presenze (quarto all-time, dopo Gianluigi Buffon, Fabio Cannavaro e Paolo Maldini), 21 gol (dodicesimo nella graduatoria, miglior centrocampista di sempre), una Coppa del Mondo vinta con un rigore siglato in finale, un secondo posto europeo nel 2012 e un bronzo alla Confederations Cup 2013. Dall’Italia-Norvegia che apriva il percorso per il trionfo di Berlino all’Italia-Svezia (sempre una scandinava) che chiude la campagna iridata peggiore degli ultimi 60 anni, De Rossi ha unito praticamente tutti i CT che ha avuto: Lippi, Donadoni, Prandelli, Conte e Ventura non hanno quasi mai rinunciato al suo apporto, seguendo la sua evoluzione tattica avuta nel corso degli anni, da centrocampista con doti di inserimento (non a caso, segnò all’esordio a Palermo nel settembre 2004) a mediano più difensivo con alcune gare giocate anche da difensore centrale e una leadership nello spogliatoio di Coverciano cresciuta di pari passo con quella mostrata dentro le mura di Trigoria.
La nazionale italiana perde una colonna portante, finisce una storia durata oltre 13 anni che probabilmente sarebbe stata coronata dall’eredità della fascia di capitano da Buffon, un po’ come invece effettivamente accaduto alla Roma con Francesco Totti: De Rossi ha dichiarato di tenere all’Italia come alla Roma, il destino ha voluto che la parte giallorossa del suo cuore rimanesse un po’ più grande.