Campione di serietà e umiltà

30.05.2013 18:45 di  Massimiliano Spalluto   vedi letture
Campione di serietà e umiltà
Vocegiallorossa.it
© foto di Paolo Forcellini

30 maggio 1994, una notizia tristissima irrompeva nei notiziari: Agostino Di Bartolomei, capitano della Roma dello scudetto '83, non c'era più. I tifosi e tutti coloro che ammiravano e stimavano il campione ma soprattutto l'uomo restavano sbigottiti, senza parole. Se ne andava uno degli uomini simbolo del riscatto giallorosso ma soprattutto una persona degna del massimo rispetto, un campione di serietà ed umiltà. Data nefasta, il 30 maggio; esattamente dieci anni prima (1984) si infrangeva il sogno del tifoso e del capitano, quello di salire sul tetto d'Europa con la sua Roma. Pochi giorni dopo Ago alzava l'ultimo trofeo con la maglia giallorossa, una Coppa Italia che stava strettissima a quella macchina perfetta sapientemente costruita da Liedholm e Dino Viola.

Nato a Roma e cresciuto nelle giovanili giallorosse, esordì in prima squadra il 22 aprile 1973 a Milano contro l'Inter. Fu un pareggio a reti inviolate. Sulla panchina della Roma sedeva Antonio Trebiciani che aveva preso il posto del “Mago” Herrera che, dopo l'ennesima sconfitta, era stato esonerato dal presidente Anzalone. Quel torneo si concluse con una Roma salvatasi all'ultima giornata malgrado la sconfitta interna con la Juve. Alla prima giornata del campionato successivo, il 7 ottobre 1973, Agostino realizzò la sua prima rete ufficiale; avversario era il Bologna, il suo fu il gol del 2-1, la rete della vittoria. Al termine dell'incontro Agostino ottenne il pallone della gara, un trofeo che regalò al padre; un gesto che parla dell'uomo Agostino Di Bartolomei e del suo grande cuore molto più di quanto possano farlo tanti freddi e spesso insignificanti dati statistici. Un anno a Vicenza e poi tornò nella sua Roma, diventandone il capitano con l'avvento di Dino Viola ed il ritorno di Nils Liedholm. Il 1° maggio 1983 il suo gol contro l'Avellino poteva diventare il punto dello scudetto, oltre che del 2-0 finale contro gli irpini. La sua corsa, l'inginocchiarsi con le braccia alzate e lo sguardo rivolto al cielo dopo quel letale rasoterra da fuori area resterà una sequenza per sempre scolpita nella mente del tifoso romanista; una delle icone più care di quell'indimenticabile stagione 1982 – '83.  La Juve, però, acciuffò il pareggio contro l'Inter e tutto fu rinviato alla domenica successiva. La Roma divenne campione d'Italia e lui il capitano di un'armata di invincibili, di una squadra sognata dai tifosi per oltre quarant'anni. L'anno dopo un campionato da vertice e poi, il 30 maggio, la delusione contro il Liverpool. Nulla, però, il tifoso poteva rimproverare ai suoi beniamini. Solo la sfortuna decise che la coppa non si doveva fermare a Roma. Il barone se ne andò a Milano portando con sé il suo pupillo; Agostino si ritrovò così in rossonero. Tre anni all'ombra della Madonnina e poi un'annata con i bianconeri del Cesena per poi terminare la sua attività agonistica nella Salernitana, conquistando una promozione in serie B, attesa per oltre vent'anni dai tifosi campani.

Dopo quella stagione 1989 - '90 Di Bartolomei si ritirò dal calcio giocato e si stabilì a Castellabate, nei pressi di Salerno. Qui, quella maledetta mattina del 30 maggio di diciannove anni fa, la storia umana di Agostino terminò facendo piombare nello sconforto chi lo amava e le migliaia di appassionati che avevano seguito la sua carriera. Ai tanti tifosi resta il ricordo di un uomo riservato, schivo, sempre lontano dalle manie di protagonismo e dalle luci dei riflettori, un campione che scendeva in campo e garantiva sempre il massimo dell'impegno, onorando i suoi sostenitori e la maglia che indossava. Ciao Ago, Grande Capitano.