Conti: "I Friedkin mi ricordano molto Viola e Sensi, hanno capito che la Roma è anche amore. Da tifoso sono orgoglioso di Mourinho"
L'ex centrocampista della Roma, Bruno Conti, alla vigilia dell'anniversario del suo match d'addio al calcio ha parlato in una lunga intervista al Messaggero. Di seguito alcune delle sue risposte.
Ricorda i particolari di quella notte?
"Tutto, ancora oggi mi emoziono. Da Liedholm che annunciava la formazione, dicendo che dovevo giocare per forza perché era la mia festa, fino al lancio dello scarpino in Sud. A proposito, il ragazzo che all'epoca lo raccolse, mi è venuto a trovare a pochi mesi fa. Ricordo Bearzot, i miei compagni dello scudetto, dal bomber Pruzzo a Di Bartolomei, Ancelotti, tutti tutti. C'erano i miei figli piccoli, l'emozione è stata enorme. La sera prima c'era stata la finale di Coppa Uefa persa contro l'Inter, confesso che per la mia festa ero preoccupato, non potevo prevedere la reazione dei tifosi. Invece, è stata magica: non c'era un buco libero tra gli spalti, c'era più gente della sera prima. Incredibile, non la dimenticherò mai".
Lascerebbe Roma?
"Per nulla al mondo. Eppure ci sono stati momenti in cui ho rischiato di andarmene, sarebbe stato un dolore. Chi non riesce ad andare via dalla Roma non deve essere biasimato, non si può spiegare. Totti aveva scelto questo, io anche. Devo morire così".
Da giocatore e da dirigente ha rischiato l'addio.
"Sì, con Viola c'erano problemi, Maradona mi lusingava. Una sera l'ingegnere disse a mio figlio piccolo, Andrea, dove volessi andare. Gli rispose da Maradona. Il giorno dopo avevo pronto il rinnovo con la Roma. Poi con Sensi sono stato a un passo dai saluti, forse non aveva gradito le avance della Figc, che mi voleva affidare il settore giovanile. C'erano state anche altre incomprensioni, pure a inizio mandato da responsabile del ragazzi. Rosella Sensi ha avuto un ruolo determinante, grazie a lei sono rimasto e ne sono stato felice".
E poi pure con Pallotta?
"Mi dissero che volevano cambiare. Chiedevo a Baldissoni, che era il dg, dove avessi sbagliato. In niente, è così, poi presero Tarantino, volevano gestire il tutto attraverso algoritmi. Mi rifugiai nell'Academy. Ci rimasi male, ma pur di restare...".
Ha fatto l'allenatore, ma il meglio lo ha dato da responsabile del settore giovanile.
"Ma quando devi chiamare una famiglia per dire che il ragazzo non è stato preso o confermato, diventa difficile. Per il resto è un lavoro bellissimo, il mio mondo. La vittoria per me non è lo scudetto, ma De Rossi, Aquilani, Florenzi... cento milioni di plusvalenze".
Ha vissuto tanti presidenti, che ricordi ha di tutti e come considera i Friedkin?
"Guardi, sono sincero: mi ricordano molto Viola e Sensi, che si occupano da vicino della Roma. Sono presenti, lavorano, poi hanno capito come calarsi tra la gente, hanno individuato che il sentimento passa da lì. Hanno capito che la Roma è anche amore, oltre al business".
Hanno preso Mourinho, poi.
"Personaggio grandissimo, allenatore straordinario. Parlano i numeri. Una grande operazione tecnica e d'immagine. Da tifoso sono orgoglioso, esaltato".
Il suo gioiello da talent scout?
"De Rossi. Si capiva subito che aveva un'altra marcia. Totti? È stata un'intuizione di Gildo Giannini".
Lei ha il merito di aver portato Spalletti?
"Lo incontrammo di nascosto, eravamo innamorati della sua Udinese. Quella Roma è stata tra le più divertenti, e ha vinto. E ne sono orgoglioso".