Il capitano racconta il capitano: Giannini fa gli auguri a Totti
“Un giorno venne da me un dirigente e mi disse: 'Qui c'è un ragazzo, sei il suo idolo, posso metterlo in camera con te?'. 'Certo, qual è il problema…', risposi. E da lì, dalle sue prime convocazioni, è partita la conoscenza che poi è diventata amicizia”. Esordisce così Giuseppe Giannini su Totti ai microfoni di gianlucadimarzio.com. “All'inizio parlava pochissimo. Si aggregò a noi che aveva 16 anni. Lo abbiamo visto crescere, era un giovane di prospettiva, si vedeva che aveva qualità importanti e poi è riuscito a dimostrarle con la stessa maglia e nello stesso ambiente. Una rarità nel calcio di oggi. All'epoca ero quello che lui seguiva, anche la mamma (Fiorella, n.d.r.) ogni tanto mi chiamava per consigliare a Francesco la cosa più giusta. Una volta mi chiamò e mi disse: 'Peppe, si vuole comprare la Golf, che devo fare?'. 'È normale, Fiorella, è un ragazzo che tra un po' prende la patente...'. E alla fine non gli davo consigli, seppur giovane sapeva già come comportarsi in campo. Io intervenivo quando qualche compagno era arrabbiato se lui faceva qualche giocata, qualche numero in campo e magari vedevo dell'astio in qualche entrata. Questo era il mio compito. Un paio di volte sono dovuto intervenire, ma lui non lo sapeva perché non volevo metterlo in soggezione. Doveva esprimere la sua personalità e l'abbiamo lasciato libero di farlo. E poi lui caratterialmente si è fatto subito ben volere da tutti ed è riuscito con facilità ad integrarsi”. L'ex capitano della Roma prosegue così: "Ero il suo idolo? Mi fa piacere, sono onorato perché lui sa chi ero allora e sa benissimo il rapporto che c'è stato e che c'è, anche la stima nei suoi confronti. Sono orgogliosamente preso da questa cosa”. "Chioccia? Era giovane, e romano, ed era giusto che la società puntasse su di lui.
Io e Mihajlovic abbiamo parlato con Boskov dicendogli che era un ragazzo da tenere in considerazione. Dovevamo fortificare quello che un allenatore vedeva: Boskov prima, Mazzone poi. Ogni tanto Carlo mi chiamava. 'Stagli vicino, consiglialo'. Ma era una cosa tra me e Mazzone. Franscesco non sapeva niente di quanto mi diceva l'allenatore. 'A Pe', stagli vicino... I giornalisti, le ragazze, le macchine…'. Erano discorsi tra allenatore e capitano. Noi lavoravamo per tenerlo sereno. Un patto tra romani. Mazzone, io, e poi lo era anche Francesco. A Roma si usa essere così, cordiali e a disposizione di una persona che avevamo capito stava attraversando un momento importante. Andava tutelato e difeso ma senza che lui venisse a saperlo. Lo reputo il più grande giocatore italiano di tutti i tempi. I numero sono incancellabili, rimangono e parlano chiaro. La maglia numero 10? Non credo che possa essere ritirata. È bello che possa essere da stimolo ai nuovi giovani che la Roma sicuramente tirerà fuori. Ritirarla? Non credo, e credo che non lo voglia nemmeno Francesco”.